mercoledì 20 febbraio 2013

I profitti delle multinazionali nel mirino del G20

I colossi globali pagano anche solo il 5% di tasse, contro una media europea del 30%, per lo più caricato su piccole e medie imprese Con una certa sorpresa di commentatori e mondo dell'industria, alla vigilia del G20 finanziario di sabato scorso a Mosca è esplosa la questione dell'elusione e dell'evasione fiscale delle multinazionali. Tema vecchio, si dirà, ma mai cruciale quanto adesso, nel pieno dell'austerità e della recessione economica che riducono pesantemente le entrate fiscali.

il manifesto | Autore: Antonio Tricarico *

 
Di fondamentale importanza è per i governi europei, che negli ultimi mesi hanno così iniziato a guardare nei conti delle corporation, soprattutto quelle nordamericane. In Russia i ministri delle finanze tedesco, francese e inglese hanno manifestato ai loro colleghi l'intenzione di usare gli incontri del G20 sotto la presidenza di Vladimir Putin per compiere passi in avanti sulla lotta ai paradisi fiscali, ma con un approccio diverso dal passato. Non si cercherà solo di isolare queste giurisdizioni e fare breccia nei loro registri e nelle loro banche - opera spesso ardua, se non impossibile - ma si proverà a inseguire le multinazionali prima che i loro profitti arrivino al sicuro nei paradisi. Il problema così diventa quello dell'armonizzazione della tassazione dei profitti da impresa nei vari paesi, tema su cui però l'Europa è più divisa che mai.

Proprio nel Regno Unito - che fino ad oggi ha sempre tenuto un occhio di riguardo per le grandi imprese globali - nelle ultime settimane la questione è diventata politica. Amazon, Google e Starbucks hanno infatti ammesso di aver pagato negli ultimi 12 mesi una cifra irrisoria in tasse, a fronte di un boom di profitti. Così il governo conservatore di David Cameron non ha potuto che correre ai ripari, unendosi a chi da tempo chiedeva un'azione multilaterale in materia. Con la sviluppo dei mercati globali, e soprattutto di quello unico dei capitali, il problema è senza dubbio internazionale e va affrontato a questo livello. Le multinazionali possono facilmente eludere il fisco, falsificando in maniera tecnicamente legale la loro base imponibile nel paese dove operano sostanzialmente in due modi: spostando i ricavi tra aziende che sono parte dello stesso gruppo ma hanno sede in paesi diversi, e segnatamente verso quelli dove la tassazione è minore; oppure falsando sempre all'interno del gruppo i ricavi con fatture orchestrate e scambiate ad arte tra le varie aziende (sgonfiate nei paesi ad alta tassazione e più alte dove il fisco morde di meno). Un gioco da ragazzi, che oggi sembra la norma soprattutto nei settori emergenti (elettronica e commercio elettronico), e non solo in quelli tradizionali. Tra questi ultimi spicca però sempre quello petrolifero, in cui è ben noto che i bilanci delle major europee si ripuliscono in Olanda, ovvero nel paese dove sono «ben accolte» società con bilanci in dollari e dove sono in atto accordi preferenziali con i paradisi fiscali per la protezione delle informazioni. Quindi il problema non è solo Londra e la sua famigerata City - che è essa stessa un paradiso fiscale autonomo da Downing Street - ma tante giurisdizioni presenti nella stessa area euro: in primis Lussemburgo, dove quasi tutte le imprese hanno un veicolo finanziario proprio, quindi Cipro, specializzata nell'area del Mediterraneo, e l'Irlanda, valida alternativa per il mondo anglosassone.

Secondo il rapporto Ocse pubblicato sul tema due settimane fa, le grandi imprese riescono a pagare anche solo il 5% di tasse, contro una media europea del 30%, per lo più caricato sulle piccole e medie imprese, molto meno internazionalizzate. La stessa Ocse pone l'accento sulla necessità di rendere automatico lo scambio di informazioni tra le diverse legislazioni, ma soprattutto di prevedere l'obbligo per le multinazionali di presentare bilanci non consolidati, ma spacchettati nel dettaglio paese per paese.

Il nostro governo uscente non ha detto gran che in Russia, nonostante l'Italia soffra particolarmente del fenomeno, visto anche il numero esiguo di multinazionali rimaste che però si danno parecchio da fare, come dimostrano le cronache. Per altro diverse di queste sono ancora parzialmente in mano pubblica - si pensi a Eni e Enel - ma l'esecutivo preferisce incassare i dividendi senza chiedere come sono prodotti. Nel frattempo la Guardia di finanza ha iniziato a ispezionare Google, Amazon e Apple, e si interessa a Ryanair.
Alla fine della riunione il G20 moscovita ha dato mandato all'Ocse di redigere un piano di azione per luglio, mentre tre gruppi di lavoro inizieranno da subito a guardare questioni specifiche.

Singolare che tutto questo avverrà con Putin padrone di casa, quando la Gazprom e le grandi imprese russe ripuliscono da sempre i bilanci a Cipro, paradiso oggi diventato un inferno per la crisi finanziaria che ha contaggiato le sue banche e quindi il governo del paese. Dopo l'emorragia di 211 miliardi di dollari di elusione che hanno lasciato la Russia dal 1994 a oggi - documentata dall'autorevole Task Force on Financial Integrity - anche lo zar Putin, volente o nolente, inizierà a fare la voce grossa.

*Re:Common

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