mercoledì 27 febbraio 2013

... e i banchieri si aumentano i compensi

Nel 2011 il Monte dei Paschi chiude il bilancio con una perdita consolidata di 4,68 milioni. Il titolo senese, in Borsa, nello stesso anno brucia il 65% del proprio valore. Eppure il direttore generale Antonio Vigni nel 2011, complice la buonuscita da 4 milioni di euro, è stato il banchiere più pagato d'Italia: 5,4 milioni di euro in totale.

 IlSole24OreMorya Longo
Poco, certo, rispetto ai 23 milioni di dollari portati a casa nel 2011 dal banchiere più pagato al mondo: il numero uno di JP Morgan James Dimon. Ma sufficiente per mantenere vivo il dibattito anche nel nostro Paese: dopo cinque anni dall'inizio della grande crisi finanziaria, passati ad additare i super-stipendi, poco sembra essere cambiato. In Italia. In tutto il mondo. I banchieri guadagnano sempre cifre da capogiro, mentre il mondo reale diventa sempre più povero.

Negli Stati Uniti le retribuzioni dei top manager di banche e società finanziarie sono aumentate – secondo i dati della Sec pubblicati da Bloomberg – del 20,4%. E si tratta di un'anno di "austerità", per i banchieri, se si pensa che nel 2010 la maggiorazione era stata del 26%. Cifre che appaiono in linea con la crescita dei super stipendi dell'intera Wall Street: secondo Forbes, nel 2011 (non esistono ancora i dati 2012) la busta-paga dei top manager delle 500 maggiori aziende è salita dell'11,46% a 10,5 milioni di dollari medi.

In Europa non siamo da meno. Bob Diamond, numero uno dell'inglese Barclays, nel 2011 ha guadagnato 20 milioni di dollari. Alfredo Sàenz della spagnola Banco Santander ha intascato 16 milioni di dollari (seppur in lieve calo rispetto al 2010). Josef Ackermann, di Deutsche Bank, ha guadagnato 9 milioni di dollari, in aumento del 5% rispetto all'anno prima. E anche in Italia gli stipendi, seppur inferiori a quelli di alcune banche estere, restano elevati: oltre a Vigni, secondo il libro «Banchieri e compari» di Gianni Dragoni, ci sono Alberto Nagel e Renato Pagliaro di Mediobanca (rispettivamente 2,93 e 2,59 milioni), poi Pier Francesco Saviotti del Banco Popolare (2,03 milioni) e Federico Ghizzoni di UniCredit (2,01 milioni). Secondo un'analisi di Uil-Credito, nel 2011 gli stipendi dei top manager bancari in Italia sono saliti del 36,23% a 26 milioni di euro totali: cifra "drogata" dalle dimissioni di 4 top manager, ma comunque enorme.

Soprattutto perché nello stesso arco di tempo gli stipendi della gente comune si sono mossi in direzioni "leggermente" diverse. È l'Istat a dimostrare nel 2011 il reddito disponibile degli italiani è solo dello 0,4% superiore a quello del 2008, prima della crisi finanziaria. Nel 2011, secondo l'indicatore sintetico "Europa 2020", il rischio di povertà in Italia è salito al 29,9% dal 26,3% del 2010. Ed è la stessa Uil-Credito a calcolare che lo stipendio dei top manager bancari sia 85 volte più alto di quello dei dipendenti. Discorsi simili si possono fare guardando nelle tasche degli amministratori delegati di tutto il mondo.

Il problema è che questa disparità non è giustificata neppure dalle performance delle stesse banche: in Italia nel 2011 l'utile netto degli istituti di credito si è ridotto, complessivamente, di 26,3 miliardi di euro. E in Borsa le stesse banche hanno bruciato, quell'anno, il 45% del loro valore. Anche negli Usa 33 delle 50 maggiori società finanziarie hanno avuto performance borsistiche negative, a dispetto della crescita del 20,4% dei compensi dei manager.

Ecco perché la distanza che c'è tra top manager ed economia reale è sempre più stridente. Ed è per questo che da più parti si cercano soluzioni. La notizia del giorno è che l'Unione europea intende porre dei limiti (si veda articolo a fianco). In Svizzera il 3 marzo si terrà un referendum: la proposta è di limitare drasticamente i bonus dei top manager e dare più poteri alle assemblee degli azionisti in tema di remunerazioni. Ci sono poi casi di autoregolamentazioni: è il caso di Deutsche Bank, che intende riprendersi i milioni di bonus elargiti ai banchieri coinvolti nello scandalo del libor. Piccoli passi, certo tardivi. Ma pur sempre in avanti.


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