global project Francesco Silvi
21 / 9 / 2016
Da Ventotene alla legge di bilancio. L’autunno del Governo Renzi
Il vertice di Ventotene del 22 agosto si è svolto dopo la doccia fredda della stima del Pil del secondo trimestre del 2016. Sotto le aspettative e pari a zero[1], il dato del Pil arriva prima della presentazione alle Camere della Nota di aggiornamento del DEF, il 27 settembre, e del successivo avvio della discussione della legge di bilancio del 20 ottobre. Tutto in preparazione del referendum costituzionale di novembre.
Così il governo Renzi si trova davanti alla situazione in cui a livello nazionale il referendum avrà bisogno delle giuste spinte ed a livello europeo dovranno essere trovate le modalità e le motivazioni necessarie per derogare agli obiettivi del fiscal compact.
In ogni caso il dato del Prodotto interno lordo ci fornisce una situazione in cui dalla debole crescita del 2015, con un Pil in crescita dello 0,8% in termini reali e il rapporto deficit/Pil al di sotto del famigerato 3%, si ripresenta lo spettro della recessione. Dopo il triennio negativo 2012-2014, a seguito della crisi dei debiti nazionali europei, la “ripartenza” non ha fondamenta solide.
Fonte: Istat
Così l’andamento negativo della produzione fotografa il risultato delle politiche di austerità attuate in questi anni in Italia e in Europa, dove l’ossessione per il livello di indebitamento e il controllo dell’inflazione hanno impedito di praticare politiche espansive e anti recessive per anni.
Rispettare il parametro del 3% tra deficit e Pil, in un arco temporale in cui il Pil ha avuto andamento fortemente negativo, ha portato ad attuare sforzi notevoli per raggiungere risultati minimi di contenimento del deficit, sacrificando gli investimenti e la produzione.
Fonte: Def e Nota di aggiornamento al DEF di vari anni, Istat
L’allentamento dei vincoli del pareggio di bilancio. Le trattative per la “flessibilità”.
Dopo anni di politiche di austerità e del loro sostanziale fallimento, sia nel rilanciare la crescita della produzione che nel contenimento del deficit, il 2014 è l’anno dell’allentamento (minimo) dei vincoli europei sul pareggio di bilancio.
A questo punto è utile tornare al vertice di Ventotene. Dalla portaerei Garibaldi Angela Merkel ha sottolineato l’importanza del Jobs Act come riforma strutturale necessaria per la crescita[2]. Sulla reale portata del Jobs Act in termini occupazionali, spesa pubblica e crescita già si sta scrivendo molto[3], ma è interessante anche contestualizzare questa riforma all’interno del fiscal compact.
Tra le procedure per il rientro nel pareggio di bilancio sono state individuate delle situazioni nelle quali è possibile derogare al piano di rientro, la cosiddetta “flessibilità”. Una di queste è il contractual agreementscioè l’impegno di mettere in campo le “riforme strutturali". Così la riforma del mercato del lavoro e l’inserimento di incentivi alle assunzioni, insieme ad altre riforme promesse, è stata la chiave di volta per il governo italiano per strappare una deroga al proprio piano di rientro nel 2015. È l’impianto stesso del fiscal compact, dei suoi parametri e delle funzioni economiche utilizzate che permette di adottare strumenti solo dal punto di vista dell’offerta, cioè delle imprese. La riduzione del costo del lavoro e dei salari è la principale leva per innescare la crescita, poiché l’unico scenario ipotizzabile è puntare sull’export[4].
Un primo tentativo di derogare agli accordi del fiscal compact fu fatto per il 2014, motivandolo con la difficile situazione economica del paese e l’esito della trattativa fu negativo. Nel 2016 invece la trattativa è impostata sulla possibilità di avviare investimenti aggiuntivi rispetto alla spesa già programmata, avendo avuto maggiori spese di carattere eccezionale a causa dell’emergenza migranti.
In attesa del risultato della trattativa la partita in gioco è come allargare le fitte maglie delle procedure del pareggio in bilancio. Dal 2013 il pareggio di bilancio programmato in Italia viene continuamente rinviato[5], mentre i vari interventi predisposti a livello europeo, dalle politiche monetarie non-convenzionali della BCE come il Quantitative easing (QE) al piano Juncker per gli investimenti, non sono riusciti a incidere realmente e rilanciare la produzione in Europa.
Nuovo centralismo contro l’autonomia dei Comuni
La crisi economica esplosa nel 2008 e i seguenti anni di recessione e contenimento della spesa pubblica hanno avuto un impatto molto forte verso i Comuni italiani. Non solo dal punto di vista della riduzione delle risorse, ma nella stessa architettura istituzionale del federalismo e dei vari livelli di governo. Le esigenze di bilancio e l’urgenza di affrontare/rassicurare i mercati hanno portato lo Stato centrale a intervenire fortemente nel rapporto con i Comuni e le Regioni, tanto che per questi ultimi anni si è parlato di un nuovo centralismo, dopo la stagione del federalismo. Una fase che ha coinciso con la crisi della Lega federalista di Umberto Bossi e Roberto Maroni e la sua mutazione nella Lega “sovranista” di Matteo Salvini (dimostrando come questo partito sia un soggetto politico strettamente legato alle trasformazioni economiche ed istituzionali, e mai vera opposizione).
Se già nel 2013 veniva evidenziato come i profondi tagli ai trasferimenti dello Stato verso i Comuni riducevano gli spazi di autonomia fiscale degli stessi[7] e l’attuazione della delega per il federalismo fiscale fosse in ritardo, la riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi va ad intaccare le ripartizioni delle funzioni tra Stato e Comuni in tema di finanza pubblica, dando maggiori competenze allo Stato centrale.
Ripercorrendo questa fase anche dal punto di vista delle cifre, nel periodo 2010-2015 i Comuni hanno contributo al “risanamento” della finanza pubblica per oltre 12 miliardi di euro, soprattutto tramite la riduzione della spesa per investimenti, diminuita di quasi 4 miliardi nel lustro 2009-2013, il 22 per cento[8]in meno dal valore iniziale. Poiché circa l’80 per cento delle infrastrutture pubbliche sono finanziate tramite gli investimenti locali, è evidente anche la portata del crollo di investimenti nelle infrastrutture pubbliche[9]. Scontando anche una forte riduzione del proprio personale a disposizione, si è creato un circolo vizioso di blocco delle assunzioni e aumento delle esternalizzazioni che incrementa i costi di erogazione dei servizi[10].
A fianco di questo si inserisce il decreto Madia con cui si vuole aggredire anche il mondo delle partecipate pubbliche, un settore che è già stato sotto la lente di ingrandimento dei vari commissari per la Spending Review. Il referendum per l’acqua del 2011 ha bloccato temporaneamente l’appetito dei privati, ma la difficoltà dei Comuni ad investire in questi settori, nelle infrastrutture o di fare una semplice manutenzione dell’esistente ha riportato in auge tentativi di riforma in senso centralistico e privatistico.
Questi sono tra i principali elementi che si possono osservare nella fase di neo-centralismo delle istituzioni italiane che sono da leggere in connessione con l’evoluzione del fiscal compact e delle politiche economiche europee. L’anno che viene rappresenta la fine dell’istituto del Patto di stabilità poiché entrerà in vigore anche per i comuni il pareggio di bilancio, più in linea con le procedure UE. L’obiettivo è di continuare la stretta sui conti, riducendo maggiormente il già minimo di spazio riservato agli investimenti.
Spazio urbano e spazio europeo
La dialettica in atto sulla flessibilità del fiscal compact e il destino del pareggio di bilancio ha messo in luce tutti i limiti dell'austerity, ma rimane ancora all’interno di una prospettiva di politica economica basata sul lato dell’offerta, per sostenere le imprese e il rilancio dei profitti nel breve periodo, con il capitale privato alla ricerca di nuove rendite. Il QE e le politiche monetarie non convenzionali hanno attutito le difficoltà della zona euro, tuttavia hanno mostrato i loro inevitabile limiti di intervento.
Ora la trattativa è aperta sugli investimenti e sulle infrastrutture ma per intervenire in questi settori non basta semplicemente aumentare di un po’ la spesa pubblica. Non è una questione contabile di aumentare per il prossimo anno le spese di un “+ tot percentuale”. Ciò che si è perso in questi anni di forte disinvestimento è enorme in termini di accumulazione o di semplice mantenimento del capitale pubblico. Senza contare ciò che significa aver bloccato le assunzioni nel pubblico impiego, peggiorato per anni le condizioni dell’istruzione pubblica mentre il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli molto alti.
E se è chiaro il legame tra infrastrutture e città, il nuovo centralismo dello Stato italiano, tra riforma della Pubblica amministrazione della ministra Madia e referendum costituzionale, è un processo per aumentare il controllo centrale sugli investimenti e le infrastrutture, sulle reti e i servizi locali. All’interno di un quadro progettuale ancora legato ai grandi eventi e alle grandi opere che colonizzano lo spazio economico urbano mentre il partito della nazione registra la perdita di diverse grandi città nell’ultima tornata elettorale.
È importante evitare di leggere il rapporto città-stato solo come governo centrale-governo locale, poiché lo spazio urbano ha caratteristiche e relazioni proprie non mediate dalle gerarchie istituzionali[11]. Così non bisogna dimenticare che il capitalismo ha portato avanti maniera strumentale la bandiera del federalismo o nuove ipotesi di centralismo a seconda della fase economica e della propria convenienza[12].
Avanzare l’ipotesi di auto-governo territoriale o di neo-municipalismo significa interrogarsi anche su come intervenire in uno spazio urbano in continua tensione con le politiche economiche nazionali ed europee. L’attuale minima apertura delle strette maglie del fiscal compact non contiene in sé una programmazione di politiche di bilancio espansive. Se è prevedibile aspettarsi politiche di investimento e infrastrutturali “non-convenzionali” (cioè non totalmente in linea con l’austerity) per la mera sopravvivenza della UE, ciò che è tutto da costruire è l’apertura a politiche realmente non-convenzionali in tema fiscale e socio-assistenziale, politiche (post)industriali, di redistribuzioni del reddito e di diritti sociali.
Bibliografia
D’Antoni, M., Fantacone, S. (2015). “il Pareggio di bilancio”, in “La Finanza pubblica Italiana, Rapporto 2015”.
De Novellis, F., Signorini, S. (2016). “Cenni di ripresa, tagli alle imposte e trattativa con l’Europa” in “La finanza pubblica italiana, rapporto 2016”.
Di Vaio, G. (2016). “Capitale pubblico e produttività”, in CDP (a cura di) “Rapporto Finanza locale 2016”.
IFEL (2015). “La finanza comunale in sintesi – Rapporto 2015”.
Harvey, D (2013). “Le città ribelli”
Zanardi, A. (2013), “La finanza locale: riforma tradita e ricentralizzazione” in Zanardi (a cura di) “La finanza pubblica italiana, rapporto 2013”
[1] http://www.istat.it/it/archivio/189844 con il dato confermato il 2 settembre http://www.istat.it/it/archivio/190026
[2] http://video.repubblica.it/politica/ventotene-merkel--piu-sicurezza-e-piu-crescita-per-creare-posti-di-lavoro/249697/249842
[3] Tra gli ultimi articoli di Marta Fana http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/solo-un-grosso-spot-il-dossier-sul-jobs-act-che-nasconde-il-flop/
[4] D’Antoni, Fantacone, (2015). “il Pareggio di bilancio”, in “La Finanza pubblica Italiana, Rapporto 2015”.
[5] De Novellis, Signorini, (2016). “Cenni di ripresa, tagli alle imposte e trattativa con l’Europa” in “La finanza pubblica italiana, rapporto 2016”.
[6] D’Antoni, Fantacone, (2015). “il Pareggio di bilancio”, in “La Finanza pubblica Italiana, Rapporto 2015”.
[7] Processo che stava avvenendo diffusamente in Europa. Zanardi (2013), “La finanza locale: riforma tradita e ricentralizzazione” in Zanardi (a cura di) “La finanza pubblica italiana, rapporto 2013”.
[8] IFEL (2015). “La finanza comunale in sintesi – Rapporto 2015”. L’IFEL è l’Istituto per la Finanza e l’Economica Locale, Fondazione dell’ANCI.
[9] Di Vaio (2016). “Capitale pubblico e produttività”, in CDP (a cura di) “Rapporto Finanza locale 2016” della Cassa deposito e prestiti. La CDP è un soggetto di certo non disinteressato sia verso la finanza locale, come storicamente soggetto prestatore dei comuni, che come National promotional institutions per l’Italia all’interno del piano Juncker, dal lato degli investimenti.
[10] Su questo e altro è da leggere il lavoro che sta svolgendo il gruppo per l’audit sul debito di Roma capitale di Decide Roma. http://www.decideroma.com/rapporto
[11] Sassen, S. (2008). “Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal medioevo all’età globale”
[12] Harvey, D (2013). “Le città ribelli”
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