La Commissione Ue, come ventilato nelle scorse settimane, ha comunicato al Consiglio che si oppone alla richiesta italiana di deroga per estendere la cosiddetta reverse charge, cioè l’inversione contabile dell’Iva, alla grande distribuzione. Il meccanismo, in pratica, prevede che l’imposta non sia più versata al fisco dai venditori (in questo caso i fornitori di supermercati, ipermercati e discount) bensì dagli acquirenti, considerati a minor rischio di evasione. Ma secondo l’esecutivo europeo la novità introdotta per alcuni settori dalla scorsa legge di Stabilità non è in linea con l’articolo 395 della direttiva sull’Iva e non è nemmeno dimostrato che sia efficace nel contrastare le frodi, come sostenuto dal governo italiano. Ora il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dovranno trovare – e in tempi brevissimi – altri 728 milioni. In caso contrario, infatti, a fine giugno scatterà la cosiddetta clausola di salvaguardia che la manovra legava alla reverse charge: l’aumento automatico delle accise su benzina e gasolio di una percentuale sufficiente per coprire l’ammanco.

Via XX Settembre ha reagito facendo buon viso a cattivo gioco, facendo sapere che la decisione di Bruxelles “era una delle possibilità” – cioè non è stata una sorpresa – e il ministero “è già al lavoro per trovare una soluzione che escluda l’applicazione della clausola e altre forme di incremento delle tasse”. D’altro canto Padoan già il 7 maggio aveva garantito “l’impegno del governo a eliminare tutte le clausole di salvaguardia e dunque anche un aumento delle accise”. Ma la missione non sarà semplice, tanto più che la nuova tegola arriva a pochi giorni dal decreto con cui è stata messa una pezza al “buco” delle pensioni.
Vanessa Mock, portavoce di Pierre Moscovici, il commissario agli Affari economici e monetari che ha anche la delega alla fiscalità, ha motivato la decisione spiegando che, innanzitutto, a richiesta dell’Italia prevedeva “una vasta applicazione del meccanismo dell’inversione contabile” (a supermercati, ipermercati e discount). Cosa che “non è in linea” con la direttiva comunitaria. Ma soprattutto “la procedura di inversione contabile non si può utilizzare sistematicamente per compensare la sorveglianza inadeguata delle autorità fiscali di uno Stato membro” e “non ci sono prove sufficienti” che la misura richiesta contribuisca alla lotta contro le frodi e l’evasione. E’ adatta, secondo Bruxelles, alla prevenzione delle ‘frodi carosello‘ – quelle basate su attività fittizie con l’obiettivo di ottenere crediti di imposta – ma non di tutte le altre che portano all’evasione dell’Iva. Non solo: l’esecutivo Ue è del parere che questa misura potrebbe comportare “elevati rischi” di spostamento delle frodi verso il settore del commercio al dettaglio e altri Stati membri.
Palazzo Chigi e il Tesoro sostenevano al contrario che far pagare gli acquirenti fosse un buon modo per contrastare l’omissione dei versamenti e le detrazioni indebite. Tesi contro la quale nei mesi scorsi sono saliti sulle barricate Confindustria e i fornitori della grande distribuzione, a partire dalle imprese agricole. Che paventavano “conseguenze devastanti”, perché sarebbero andate ogni anno in credito Iva e avrebbero poi ottenuto il rimborso solo durante l’esercizio successivo. Con il risultato di diventare obtorto collo “finanziatori” dello Stato e doversi indebitare per far fronte alle uscite correnti. La confederazione degli imprenditori, che a marzo aveva presentato un documento di denuncia alla Ue contro la reverse charge, ha subito espresso “soddisfazione” per il semaforo rosso della Commissione. “I fornitori della Gdo possono tirare un sospiro di sollievo, evitando di dover subire le pesanti conseguenze finanziarie che il reverse charge avrebbe loro causato, non consentendo un veloce recupero dei crediti Iva che queste imprese avrebbero maturato”, osserva viale dell’Astronomia.
C’è da dire che i precedenti non facevano sperare in un via libera: nel 2006 a incassare il no di Bruxelles sono state GermaniaAustria. E di recente anche UngheriaRomania si sono viste respingere la richiesta. La Commissione sta invece ancora vagliando lo ‘split payment‘, un altro meccanismo contabile anti-evasione in base al quale prevede l’Iva per le forniture alla pubblica amministrazione deve essere versata direttamente dagli enti pubblici e non dai venditori. La sua eventuale bocciatura costerebbe altri 998 milioni di euro, per un totale di circa 1,7 miliardi. Confindustria è contraria anche a questa norma, “le cui ricadute finanziarie sul sistema imprenditoriale”, si legge nella nota diffusa venerdì, “si stanno rivelando altrettanto gravi”.