La grande trasformazione della guerra contemporanea è un libro in cui ho provato a studiare il fenomeno della guerra senza concedere niente all'emozione: guardare l'Italia che entra in guerra, nella Prima guerra mondiale, per capire che cosa è stato il Novecento a partire dal nostro presente.
Alessandro Colombo
Coordinatore scientifico del progetto La Grande Trasformazione 1914-1918 di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Il 24 maggio 1915 l'Italia va in trincea. Siamo mai usciti da quella guerra? La grande trasformazione della guerra contemporanea prova a riflettere su questa questione. Indica le differenze (perché non siamo nella stessa guerra di cento anni fa) ma anche indica che molto è cominciato cento anni fa.
Proviamo a farci delle domande banali, ma non di meno vere e soprattutto non nostalgiche: La guerra del 1915 parla solo dei nostri nonni? Non parla anche a noi? Siamo entrati in trincea nel 1915. Ne siamo mai usciti? Qual è il rapporto tra pace e guerra? Dove sta il fronte della guerra? Ci sono ancora confini? Per provare a rispondervi chiediamoci: che cos'è oggi la guerra?
In questi primi quindici anni del ventunesimo secolo, il "camaleonte" della guerra ha cambiato nuovamente aspetto. Basta guardare le guerre che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi in questi giorni: dalle guerre civili-internazionali di Siria, Iraq e Yemen alla "guerra ibrida" nell'est dell'Ucraina, dalla guerra in Afghanistan alla guerra ad alta tecnologia condotta dagli Stati Uniti contro i gruppi jihadisti dal Medio Oriente al Pakistan alla Somalia. Sebbene diversissime tra loro, tutte queste manifestazioni di violenza hanno in comune il fatto di essere totalmente estranee a ciò che ci ostiniamo a considerare la forma tradizionale o normale della guerra: uno scontro geograficamente e temporalmente definito tra stati centralizzati, territorializzati e ordinati in forma gerarchica, sul modello di quello che furono le due guerre mondiali nel trentennio 1914-1945, e di quello che il terrore di una guerra nucleare continuò a essere anche nei quarant'anni successivi della guerra fredda.
Rispetto alla Grande guerra di cui si celebra in questi giorni il centenario, la guerra attuale è un fatto meno catastrofico ma apparentemente senza fine, politicamente secondario - almeno in quanto non contrappone più le principali potenze del sistema internazionale - ma sempre meno controllabile dalle diplomazie, circoscritto a un numero di combattenti incomparabilmente minore di quello dei grandi eserciti di massa del 1914 ma, in compenso, destinato a colpire i non combattenti in misura incomparabilmente maggiore di allora.
Soprattutto, le guerre di oggi non sono più eventi limitati nello spazio (il fronte occidentale e quello orientale, il fronte europeo e quello pacifico) e nel tempo (dal 1914 al 1918, dal 1939 al 1945) quali erano, invece, le guerre "convenzionali" del passato. In assenza di soglie cerimoniali e solenni come la dichiarazione di guerra, e mano a mano che si moltiplicano le forme coperte o non-convenzionali di aggressione quali gli omicidi e i rapimenti mirati, la cyber-warfare e lo stesso terrorismo, pace e guerra, guerra legittima e violenza criminale tendono a diventare indistinguibili e, quel che è peggio, non sono più distinti da tutti nello stesso modo.
Quando si può dire che sia cominciata la guerra civile attualmente in corso in Iraq? E, d'altro canto: quando si potrà dire finalmente conclusa la guerra globale al terrore? Quale è il teatro geografico delle sue operazioni? E dove corre la distinzione tra combattenti e non combattenti?
La difficoltà a offrire una risposta condivisa a questi quesiti imprime sulle guerre contemporanee il sigillo vero e proprio della loro novità: il fatto che, appunto, esse sembrano non cominciare e non finire mai, col risultato di rendere sempre più difficile sapere quando e dove si è in pace e quando e dove si è in guerra.
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