Nel XI secolo Hasan Ibn-Al Sabbah fondò una setta di grande importanza gli “Hasheshins” (assassini) perché dedita al consumo dell’Hashish, nome con il quale gli arabi designavano la canapa.
Tale setta utilizzava l’Hashish come stimolante ed
eccitante, per tutti coloro che dovevano compiere omicidi con movente
politico, onde il nome di “assassino”, assuntore di Hashish, per
definire colui che commetteva un omicidio. La canapa indiana è una
pianta dioica annuale originaria dell’Asia centrale di cui si utilizzano
le sommità fiorite delle piante femminili, non fecondate. Dalle
infiorescenze si ottiene una resina di color bruno detta Hashish; la
Marijuana o Marijuana è data sempre dalle infiorescenze femminili
essiccate e polverizzate.
Nella Storia Naturale Medica (1896) si riferisce che: «Tutta la pianta è inebriante e narcotica. La varietà Cannabis indica fornisce il hashish».
Ritorno sulla Cannabis poiché i principi attivi che
contiene sono usati, da molti anni, nel trattamento di alcuni sintomi
della sclerosi multipla, nell'epilessia, nel controllo del dolore nei
pazienti neoplastici, nella prevenzione della nausea e del vomito in
chemioterapia e nel glaucoma.
Alcuni ricercatori dell'Università McGill di Montreal
hanno pubblicato (Canadian Medical Association Journal) una ricerca
condotta su 23 soggetti di 45 anni di età media, tra cui 12 donne. Tutti
erano affetti da dolore neuropatico cronico conseguente a traumi del
sistema nervoso (incidenti stradali), o complicanze chirurgiche: hanno
inalato, usando una pipa, una dose di 25 mg di cannabis (contiene circa
il 10% di Thc, tetraidrocannabinolo), tre volte al giorno per cinque
giorni.
La cannabis ha ridotto parzialmente il dolore, ma
innalzato il tono dell' umore e migliorato la qualità del sonno. I
costituenti non-psicomimetici della Cannabis, il cannabidiolo (Cbd)
hanno una interessante azione ansiolitica e antidepressiva e,
ricercatori brasiliani (Università di Rio de Janeiro), li hanno valutati
anche per i disturbi ossessivi-compulsivi, panico, stress
post-traumatico.
I cannabinoidi, sostanze psicoattive della Cannabis,
vengono studiati nella sintomatologia ipercinetica, per le proprietà
neuroprotettive, per la possibilità di essere un nuovo farmaco nella
malattia di Huntington.
A tutto questo si aggiunge la speranza per la terapia
del tumore al seno e vi sono sperimentazioni nel tumore della prostata;
si è dimostrato infatti che i recettori dei cannabinoidi, presenti nel
tessuto prostatico, se stimolati, hanno un effetto anti-androgenico.
Potrebbero essere interessanti studi clinici per
valutare gli effetti su pazienti con carcinoma della prostata con
metastasi e solo per gli effetti analgesici della Cannabis.
Ottima base, nella ricerca di una efficace cura del
glaucoma, lo studio di anni fa sul Journal of Glaucoma (la possibilità
terapeutica della cannabis nel glaucoma è nota dal 1995), a opera di
ricercatori dell’Università di Aberdeen nel Regno Unito.
Attualmente, nel glaucoma (termine che sintetizza un
gruppo di disturbi dell’occhio) la pressione intraoculare non è più
considerata la causa della patologia bensì, assieme ad altre condizioni,
un importante fattore di rischio.
Scopo dello studio dei britannici era quello di
valutare gli effetti della somministrazione orale di una piccola dose di
delta-9-tetraidrocannabinolo (delta-9-THC) e cannabidiolo (CBD) sulla
pressione intraoculare, nonché stabilirne sicurezza ed efficacia.
Nella sperimentazione, uno “studio-pilota”, a soli
sei pazienti che presentavano un glaucoma ad angolo aperto, con uno
spray adoperato per via sublinguale, furono somministrati 5 mg di
delta-9-THC, o 20/40 mg di CBD, o un placebo. Le somministrazioni
vennero effettuate con un’unica dose alle 8 del mattino; a distanza di 2
ore le persone che avevano assunto THC hanno mostrato una riduzione
della pressione intraoculare rispetto al placebo.
Solo dopo 4 ore la pressione ritornò ai valori
elevati della misurazione iniziale. Va segnalato che in un paziente,
dopo somministrazione di THC, si manifestò un leggero attacco di panico.
Secondo questo studio, un’unica dose di 5 mg di THC,
oltre ad essere ben tollerata, è in grado di ridurre temporaneamente la
pressione intraoculare.
I cannabinoidi, tra cui il THC, sono in grado di
migliorare anche la circolazione sanguigna della retina; a essi vengono
attribuite azioni neuroprotettive e antiossidanti, potrebbero pertanto
diventare utilizzabili nella terapia del glaucoma.
Quelle che possono danneggiare, in modo irreversibile
nella malattia (danno glaucomatoso), sono le cellule ganglionari della
retina, indispensabili per la visione.
Ophtalmic Research (2007 marzo) ha pubblicato una
sperimentazione di studiosi statunitensi sul possibile ruolo del THC
nella terapia del glaucoma.
Anche in quest’ultimo caso il THC ha evidenziato un
effetto neuroprotettivo, nonché la capacità di preservare l’integrità
delle cellule ganglionari della retina attraverso la riduzione della
pressione intraoculare.
Da non dimenticare, nel trattamento del glaucoma,
l’utilità dell’estratto di gingko biloba che ha dimostrato di migliorare
il flusso sanguigno oculare, la visione e la pressione intraoculare.
Nel glioblastoma, il più comune tumore maligno
intracranico, è rapido, molto aggressivo nella maggioranza dei casi e
lascia ben poche aspettative. I glioblastomi multiformi (astrocitoma di
grado IV), la cui prognosi è la peggiore assieme ai linfomi maligni (la
speranza terapeutica è nella chirurgia e nella radioterapia), potrebbero
aver trovato un nuovo e forse temibile avversario.
Il merito di questa speranza, solo tale per ora , è
di un gruppo di ricercatori spagnoli e tra questi alcuni della
Complutense University di Madrid: hanno dimostrato che i cannabinoidi
della cannabis potrebbero distruggere questi tumori bloccando la
crescita dei vasi sanguigni che lo alimentano.
Sono circa 60 i cannabinoidi presenti nella cannabis
indica e tra questi, come già detto, il delta (9)-tetraidrocannabinolo o
THC e il cannabidiolo (CDB) che non possiede attività psicoattiva.
Lo studio sperimentale, pubblicato su Cancer Research
molti anni fa, è di grande importanza in quanto apre nuove prospettive
nel trattamento del glioblastoma multiforme poiché ha dimostrato, per la
prima volta, come i cannabinoidi siano in grado di bloccare la crescita
dei vasi sanguigni (angiogenesi) del tumore e che tale trattamento
potrebbe funzionare negli esseri umani.
Uno degli scopi che si sono prefissi il dottor Manuel
Guzmàn e i suoi collaboratori è capire se i cannabinoidi siano in grado
di prevenire la crescita del tumore attraverso il blocco
dell'approvvigionamento di sangue.
Precedenti studi avevano già dimostrato come i
cannabinoidi fossero in grado di bloccare la crescita di vasi sanguigni
in animali da esperimento, di indurre l'apoptosi, di rallentare la
crescita dei tumori, gliomi compresi. Ed è il
delta-(9)-tetraidrocannabinolo (THC), il cannabinoide psicoattivo della
cannabis indica (var.sativa; famiglia Cannabidacee), a bloccare la
produzione di una proteina chiamata Vascular Endothelial Growth Factor o
VEGF.
Tutto ciò avverrebbe attraverso l'aumento
dell'attività di una sostanza chiamata ceramide. Il THC, inoltre, ha già
dimostrato di possedere attività antiproliferativa innalzando i livelli
della ceramide a sua volta implicata nella mediazione di diverse azioni
intracellulari: senescenza, morte cellulare, ma anche proliferazione e
differenziazione.
Bisognerà vedere se tutto questo verrà confermato
negli umani. Nel frattempo due ammalati di glioblastoma multiforme che
non rispondevano né alla terapia chirurgica né alla radio e
chemioterapia sono stati trattati con la somministrazione dei
cannabinoidi nel tumore.
Clinical Gastroenteroly and Hepatology riporta uno
studio sulla marijuana (cannabis sativa), già usata per le infiammazioni
del colon, in cui si è valutato se la si può usare nella malattia di
Crohn.
In otto settimane, su 21 persone affette da Crohn, la
cannabis, contenente il composto Thc, produceva significativi benefici
senza effetti avversi. In precedenza, altri studi avevano "suggerito"
che i cannabinoidi della cannabis avrebbero potuto proteggere il colon
dalle infiammazioni croniche intestinali.
La cannabis inoltre viene utilizzata come
"trattamento aggiunto" in pazienti affetti da cancro; e il cannabidiolo
che secondo alcuni ricercatori brasiliani può aiutare nella
sintomatologia del disturbo ossessivo compulsivo, può sperimentalmente
inibire il tumore colonrettale.
Sul Canadian Medical Association Journal uno studio
(university of California, San Diego) evidenzia che fumare la cannabis
aiuta a controllare, in particolare, la spasticità della sclerosi
multipla ed attualmente il suo utilizzo è consolidato nella terapia.
Come detto i costituenti non psicotropi della
Cannabis sativa, la marijuana, sono i cannabidioli che in un buon numero
di casi clinici e in svariati studi sperimentali hanno evidenziato una
possibile indicazione antipsicotica in persone affette da schizofrenia.
Uno studio condotto da un team scientifico guidato
dal dottor Orrin Devinsky, New York University, Langone Comprehensive
Epilepsy Center, ha mostrato come una forma liquida di marijuana può
essere d’aiuto alle persone sofferenti di severa epilessia (sindrome di
Dravet e di Lennox-Gastaut) che non rispondono ai trattamenti seguiti.
Il lavoro svolto su 213 bambini e adulti, per 12 settimane, fu
effettuato in pratica con cannabidiolo ed è stato presentato ad aprile
al congresso annuale dell’American Academy of Neurology.
La rivista scientifica Pediatric Neurology (2015)
riporta uno studio di un caso nell’epilessia parziale migrante maligna
dell’infanzia, resistente alla terapia, che l’integrazione con
cannabidiolo è positivo. Questo componente della Cannabis ha un
importante ruolo farmacologico e molto probabilmente nella terapia
dell’epilessia e in altri disturbi neuropsichiatrici, la cannabis e il
cannabidiolo il cui meccanismo d’azione nell’epilessia è sconosciuto e
il Tetrahydrocannabinolo (THC) hanno già mostrato, sperimentalmente,
attività anticonvulsivante.
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