lunedì 25 maggio 2015

Lenny Bottai, il pugile ultrà e comunista "Mi candido per colmare il vuoto a sinistra"

Atleta di fama internazionale, salito sul ring con una maglia contro il Jobs Act, ora si presenta alle regionali toscane con 'Sì', la lista a sinistra del Pd guidata da Tommaso Fattori. E dice: "Sono contro la gauche dei pipistrelli, elitaria e autoreferenziale".

L'Espresso di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
Lenny Bottai, il pugile ultrà e comunista 
Mi candido per colmare il vuoto a sinistraQuante vite ha Lenny Bottai? Capo ultrà della curva più comunista d'Italia, pugile di fama internazionale - salito sul ring a Las Vegas con la maglietta contro il Jobs Act – e, ora, candidato alle elezioni regionali toscane con "Sì", la lista a sinistra del Pd guidata da Tommaso Fattori. "Non mi ci voleva", dice fuori dal circolo della sua associazione (un nome un programma, "La Repubblica dei Villani"), chissà se ci crede davvero. Sulle nocche della mano sinistra ha tatuato il 1977. Anno di nascita. "Poi è pur sempre il '77, no?", aggiunge. Il soprannome da lottatore è Mangusta. Se l'è tatuata sul collo. Mentre sul petto ha un calibro ed un martello, un simbolo sovietico. Immancabile, la stella rossa. "Sempre dalla parte degli sfruttati e del popolo", è il suo programma politico. “Per chi non ha paura di lottare, è il momento di schierarsi!”, il manifesto elettorale.


Lavora con una palestra popolare, lo sport come fattore di riscatto sociale, accessibile a tutti. Il salvinismo sta arrivando anche qui, silenzioso, subdolo, nella città delle "Leggi Livornine", del multiculturalismo come pietra fondante. "Colpa della sinistra dei pipistrelli, quella elitaria e autoreferenziale che non sa più parlare con la gente, che gode nel fare i banchetti in venti persone” si infervora il pugile, il quale in cuor suo sogna di far sventolare la bandiera rossa in cima alla fortezza di Livorno.

E’ stato sempre considerato un personaggio antisistema, fuori dagli schemi. Adesso si candida per entrare nelle istituzioni. Perché?
Per un senso di responsabilità e un’esigenza del territorio, c'è un vuoto a sinistra e prima che arrivino i civatiani meglio riempirlo noi. Era il momento di fare un salto di qualità, costruendo un'alternativa dal basso. La mia candidatura è autonoma tanto che nella lista i partiti non mi vedono di buon occhio, ma in questo momento occorre fronteggiare la destra populista, riprendersi la strada, saper parlare un linguaggio nuovo. Tornare nei quartieri popolari e nelle borgate. Rimpiango i tempi in cui esisteva un partito comunista di massa che sapeva difendere i deboli e allo stesso tempo educava.

Nostalgia, insomma.
Non sono un nostalgico, è un dato di fatto. Negli anni '50 il Pci aveva degli avamposti nei quartieri e istruiva le masse, era nel cuore delle contraddizioni sociali. Il momento oggi è differente, l'esperienza di Chavez rappresenta forse il modello più interessante: l'unico esempio di un avanzamento di una certa idea, ha attuato una rivoluzione senza sparare una pallottola. Solo con l'aiuto del popolo e una grande capacità comunicativa. Il Sudamerica ha sempre avuto la cultura della sconfitta e del martirio, lui ha dimostrato che c'è un'altra possibilità.

Quello di Chavez è considerato un regime, o comunque un esempio di populismo. Il caudillo solo al comando. Cosa ne pensa?
C'è il lato positivo del populismo, cioè l'essere popolare. Parli per incarnare le esigenze o per cavalcarle? Per me essere comunista è mettere avanti l'esigenza della collettività rispetto all'individuo. Siamo dalla parte del mondo sbagliata, dove ci arriva una chiave di lettura impropria rispetto a certi modelli come avvenuto sull'Unione Sovietica.

A proposito di Unione Sovietica. Lei era il capo ultras delle Brigate Autonome Livornesi. Striscioni in cirillico e ritratti di Stalin in curva. Rivendica tutto?
Dietro a quell'immaginario c'era una contrapposizione forte e necessaria all'avanzata dell'estrema destra nelle curve italiane. Gli stadi erano divisi tra l'ordine degli skinheads neofascisti e gli sballati di sinistra, che infatti sono spariti. Noi volevamo riportare "disciplina", riesumando il fatto che la Russia avesse sconfitto il nazismo. Ovunque negli stadi di destra ricordavamo la vittoria di Stalingrado, era un messaggio netto e forte. Ed era una logica rappresentativa, non strettamente politica.

E’ ancora un frequentatore dello stadio, farà il pieno di voti in curva?
"Per rispetto ho deciso di non volantinare nella Nord ma come hanno sempre fatto movimenti e partiti di sinistra fuori dai cancelli dello stadio. Sto facendo la campagna elettorale nei quartieri, spero di riportare al voto molti astensionisti. Gente del popolo stanca della politica e dei politicanti. In me vedono qualcuno dei loro.

Si sente ancora un ultras?
Sì, ma esserlo a Livorno è diverso che a Verona. Noi facevamo le collette con Emergency. Ci coordinavamo con i pisani, mettendo da parte le rivalità, per fare i minuti di silenzio contro la guerra. Altri fanno bagarinaggio e inneggiano al nazismo.

Cosa ne pensa del premier Renzi?
Ho una stima immensa. Ci ha fatto la cortesia di collocare il Pd in maniera inequivocabile, cioè a destra. Con Bersani qualcuno pensava che il Pd fosse ancora di sinistra, come se l'ex segretario fosse stato Ho Chi Minh.

Mentre del M5S che guida Livorno che idea si è fatto?
Sono stato un fautore del disarcionamento del Pd. Nello stesso momento i grillini hanno il forte limite di non avere una visione ideologica della società. Il sindaco Nogarin è persona onesta, ma non basta l'onestà per governare.

Nella sua campagna elettorale si sta occupando molto dei portuali e, in generale, del tema del lavoro. Crede nella “lotta di classe”?
E’ determinate, tutt’oggi. Va cambiato però il linguaggio, non si può prendere Il Capitale di Marx senza contestualizzarlo. Negli anni hanno distrutto il fronte dei lavoratori, ora ancora più frammentato a causa del Jobs Act, un punto di non ritorno: la precarietà estesa a tutti i lavoratori.

Ultras e pugile, qual è il rapporto ammissibile tra violenza e politica, se esiste?
Gli atti di forza - quando sono puri e non frutto di esibizionismo ed estetica del conflitto - sono il sintomo di un’ingiustizia. Se domani mille facchini scendono in piazza e fanno il caos, non vorrei metterli alla stregua di chi spacca una vetrina, la storia ci insegna che le rivoluzioni non si fanno con i guanti di seta.

Come si sta pagando la campagna elettorale?
Totalmente autofinanziata. I volontari si stanno tesserando per pochi euro alla “Repubblica dei Villani”, il resto è messo di tasca mia.

Nel caso di elezione che farà del suo stipendio? Se lo terrà tutto per sé?
Ci mancherebbe, non tradisco il popolo. Il 50 per cento dello stipendio verrà destinato per pratiche di mutualismo, come la creazione di ambulatori popolari con tanto di ortopedici e dentisti, o per finanziare progetti di riconversione ecologica.

Le battaglie che porteresti subito in Regione?
Innanzitutto lo sport popolare, fondamentale per sviluppare momenti di crescita e confronto collettivo, poi quei diritti che il sistema ci ha sottratto: casa, lavoro, istruzione e sanità.

Quali i suoi riferimenti culturali?
Sicuramente Vladimir Majakovskij, il poeta operaio.

E tra i politici in vita?
Nessuno. Anzi, uno sì ma meglio non ve lo dica…

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