venerdì 29 maggio 2015

#stopmassacre, il 20 giugno a fianco dei rifugiati e contro l'affaire dei respingimenti



controlacrisi stefano galieni
Nel paese dei Segreti di Pulcinella ci voleva il lavoro prezioso di wikileaks per accorgersi di come Europa ed Italia intendono affrontare quelle che continuano ad essere chiamate emergenze. Non basta “scoprire” che la causa principale di migrazione verso l’Europa, in questi ultimi 3 anni, è legata all’esplodere di emergenze umanitarie di portata mai vista dovute a guerre (la sola Siria ha più di un ottavo della popolazione in fuga o nei campi profughi allestiti nei paesi limitrofi). Non basta evidenziare come anche il supporto a feroci dittature, non ultima quella eritrea, che nessuna intenzione hanno di farsi mettere in discussione, sia altra causa determinante di fughe spesso destinate a risultati tragici.

Ora se ne prepara un’altra di guerra, quella contro i trafficanti di esseri umani. La comunicazione diffusa dall'Ue parla di operazioni che garantiranno la salvezza di chi rischia la vita in mare, affondare i barconi quando sono nei porti, in attesa che diventino dei carichi di sofferenza. La realtà è altro. La realtà si chiama European Union Military Committee (Eumc), un dipartimento in cui si riuniscono i Capi di Stato Maggiore dei Paesi U.E. e che ultimamente hanno prodotto un documento riservato, scoperto e diffuso appunto dalla nota agenzia wikileaks, che delinea le prossime strategie militari. Intercettazione e monitoraggio delle imbarcazioni che partono dai porti libici entro il mese di giugno, per avere una esatta dimensione del fenomeno, e azioni militari per distruggere i suddetti a terra negli stessi punti di partenza, possibilmente prima che si riempiano di persone, in una fase, in una fase immediatamente successiva, possibilmente dopo aver ottenuto l’autorizzazione delle Nazioni Unite, della NATO, della Lega Araba e dell’OSA (Organizzazione Stati Africani).

Un intervento del genere, se approvato, richiederà inevitabilmente un supporto terrestre in Libia (con l’invio di truppe?) e troverà l’opposizione certa dei vari governi libici che non possono accettare ingerenze europee nei propri affari pena la perdita di qualsiasi fragile autorità sulle zone che attualmente ognuno di essi controlla. Una situazione pericolosa insomma, il cui obbiettivo principale è quello di ridurre al minimo le partenze verso l’Italia da tali porti, (resteranno le più complesse rotte orientali da Egitto e Turchia come spazi percorribili), nulla importa chiaramente del destino delle persone costrette dalla guerra che si espande anche a lasciare i paesi nord africani in cui si sono momentaneamente rifugiati. Un piano militare che vede realizzarsi a breve un altro tassello: la base operativa di Triton, la missione dell’agenzia FRONTEX per il controllo delle frontiere europee, si stabilirà nei prossimi 15 giorni a Catania, da cui potrà operare con un controllo più diretto. Una missione che vede le proprie risorse triplicate rispetto all’anno precedente ma che dovrà «Evitare di dare eccessivo risalto alle operazioni di salvataggio che sarà costretta a compiere, per impedire che, come Mare Nostrum, Triton venga utilizzata per incentivare il flusso di migranti». Questo dicono i loro documenti assumendo di fatto una posizione para-leghista e ignorando o volendo ignorare che se, come è da temere, le condizioni in Libia, in una parte consistente dell’Africa Occidentale e del Corno d’Africa dovessero continuare a peggiorare, nulla potrà fermare i tentativi di fuga, con ogni mezzo possibile e necessario.

L’Europa intende agire, ne sono la prova in filigrana i Processi di Khartoum e di Rabat, formalizzati nel novembre scorso a Roma, esternalizzando ancora più a sud la pressione dei profughi, realizzando sia accordi con i governi di Niger e Sudan (quest’ultimo ancora indicato come pericoloso focolaio dei terroristi) per realizzare in quei paesi campi di trattenimento da cui selezionare poche migliaia di persone a cui concedere il diritto ad entrare in Europa. Difficile capire come in quei paesi potranno essere garantiti i diritti minimi ai profughi. Ad esempio affidare al presidente sudanese Bashir, appena rieletto senza presenza delle opposizioni, il compito di salvaguardare la vita di chi fugge dal regime eritreo, (governo con cui il Sudan mantiene ottimi e cordiali rapporti) significa condannare i profughi al rimpatrio facendo svolgere il “lavoro sporco” ad altri. Del resto sempre nei piani U.E è la stessa Lady Pesc, Federica Mogherini ad aver assunto come posizione l’idea che con certe dittature bisogna trattare per evitare l’aumento dei profughi.

Insomma l’Europa si prepara ad erigere nuova mura marine, ad aprire fronti di guerra e ad alimentare dittature, in nome del fatto che in un continente di 509 milioni di abitanti non possono trovare posto le persone che fuggono dalle oppressioni e dalle distruzioni di cui spesso le stesse potenze continentali sono causa. Si dia la colpa ai trafficanti, nemici da colpire divenuti emblema del male assoluto quasi quanto i terroristi (a cui spesso sono associati) e non alle cause che costringono le persone a fuggire. E poi, al di là di qualsiasi visione etica della questione, a poter raggiungere le frontiere europee oggi potrebbero essere non più di 200 mila persone. Questo in un continente di 509 milioni di abitanti. Quanto inciderebbero come presenza su ogni singolo paese se ci fosse un diritto d’asilo europeo? Se non ci fossero ancora le barriere del Regolamento Dublino che impedisce loro di scegliere in quale paese U.E. fermarsi e chiedere asilo? Quanto costerebbe una fase di prima accoglienza sistemica e governata, non lasciata alle logiche di corruttela come accaduto da noi? Sicuramente avrebbero un costo risibile rispetto a qualsiasi, peraltro inutile oltre che criminale, intervento militare. Ma questo significherebbe produrre una alternativa radicale in termini di politica estera e delle migrazioni.

Garantire ingressi legali, realizzare corridoi umanitari andando a prendere chi vuole fuggire nei paesi limitrofi a quelli in cui si combatte e distruggendo così realmente il potere contrattuale dei trafficanti. Significherebbe dover interrompere il flusso di forniture belliche con cui si foraggiano i conflitti in Medio Oriente e negli altri paesi in situazione di tensione esterna o interna, affrontare con ben altra ottica il pericolo rappresentato dall’evoluzione dello Stato Islamico. Significherebbe ribaltare la gestione delle risorse, facendo divenire accoglienza quello che deve essere e non la creazione di situazioni emergenziali su cui speculano tanto le forze di estrema destra (Salvini docet) quanto gli enti gestori intenzionati a trarre il massimo profitto da tale sistema. Ma per fare questo occorrerebbero risposte politiche che non arrivano o che invece vanno nel senso opposto. La stessa scelta di non abbandonare le logiche di austerity e dei trattati commerciali neoliberisti, è il corrispettivo economico di questa guerra alle persone condotta senza risparmio, per ridefinire nuove e più verticali gerarchie di comando nel continente.

Per queste ragioni si stanno organizzando in vari paesi europei, giornate di mobilitazione di varia natura. In Italia e Germania (ma si sta tentando di estendere tale percorso) il 20 giugno, in occasione della Giornata internazionale del rifugiato, si svolgeranno grandi e si spera partecipate iniziative. A Roma è in programma una manifestazione nazionale di cui si vanno mano mano definendo i contorni e organizzata dal mondo associativo, dai sindacati, da aree di movimento, su una piattaforma (fermiamolastragesubito.blogspot.it ) e a cui si può aderire inviando una mail a stopmassacres2015@gmail.com. Dare un segnale forte ai palazzi sordi nazionali e continentali, contro le morti in mare, contro le guerre che ne sono la causa determinante e le politiche di austerity che sono alla fonte, sarà fondamentale.

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