lunedì 26 agosto 2013

Reimmaginare la rivoluzione

Come è possibile che un gruppo di cinquanta persone fermi uno sfratto? E questo più e più volte, fino a seicento volte (l’autore qui allude alla campagna contro gli sfratti per morosità o perché le famiglie non riescono più a pagare i mutui che in Spagna ha costretto il governo a varare una moratoria, ndt). Questa domanda mi ronza in testa da tempo. Durante il 25-S, in Plaza de Neptuno (grande protesta degli “indignados” il 25 settembre nella piazza di Madrid, ndt), abbiamo constatato direttamente come la polizia sia in grado di sgomberare uno spazio che contenga un qualunque numero manifestanti. Allora, qual è la forza che permette a queste cinquanta persone di fermare uno sfratto?

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di AMADOR FERNANDEZ-SAVATER *
Che cosa significa avere la forza, se questo non coincide esattamente con l’avere il potere (fisico, quantitativo, economico, istituzionale, ecc.)? Quello che segue è un tentativo di risposta che non pretende di esaurire la domanda. Ossia, ci sono altre risposte e, soprattutto, si dovrebbe continuare a cercare la risposta – e questa mi sembra la cosa più importante.
fernandezGuerra di movimento e guerra di posizione
Apro ora uno sbocco strano prima di tornare al canale centrale del fiume, che è la domanda sulla forza di quel pugno di persone di fronte a una casa. Mi colloco così nel dibattito intorno all’idea di rivoluzione che si è dato nel marxismo tra le due guerre, interessandomi soprattutto all’approccio del marxista italiano Antonio Gramsci. A prima vista si tratta di un salto molto strano, ma è una discussione con echi molto contemporanei. Il passato non passa: è un serbatoio ricchissimo di immagini e di saperi sempre attualizzabile (cui ridare significato) a partire dai problemi e dalle necessità del presente.
Gramsci interviene nel dibattito con una distinzione tra “guerra di movimento” e “guerra di posizione”. Pensare la lotta di classe come una guerra e quindi utilizzare il linguaggio della strategia militare era allora qualcosa di molto tipico nel marxismo. E per di più Gramsci scrive dal carcere sotto Mussolini e sotto la necessità di inventare continuamente metafore per evitare la censura. Paradossalmente, l’uso di questo linguaggio allusivo e molto spesso criptico, al posto del vocabolario marxista classico, ha moltiplicato per mille la capacità di suggestione e di ispirazione del lavoro di Gramsci per il futuro.

Bene, le caratteristiche fondamentali della “guerra di movimento” sono: la velocità, il carattere minoritario e l’attacco frontale. Gramsci sta discutendo qui con nozioni come la “rivoluzione permanente” di Trotsky, lo sciopero generale Georges Sorel, l’insurrezione operaia di Rosa Luxemburg e soprattutto con la presa del potere leninista. Queste immagini del cambiamento rivoluzionario si scontrano una volta e un’altra con la realtà europea e occidentale: sanguinosa repressione della insurrezione spartachista in Germania (1918), disarticolazione del sollevamento popolare dei consigli operai in Italia durante il “biennio rosso” (1919-1920), etc. Per evitare gli effetti prevedibili di frustrazione e continuare ad aspirare attivamente al cambiamento sociale, bisogna reimmaginare la rivoluzione.
La guerra movimento ha successo solo, medita Gramsci dal carcere, là dove la società è relativamente autonoma dallo Stato e la società civile (come egli chiama le istituzioni interconnesse con il potere dello Stato: giustizia, media, ecc.) è primaria e non ha forma: per esempio, la Russia. Ma in Europa occidentale, al contrario, le istituzioni della società civile sono molto solide e agiscono come “trincee e fortificazioni che proteggono l’ordine sociale. Sembra che una catastrofe economica abbia aperto una breccia decisiva nella posizione nemica, ma è solo un effetto superficiale e dietro c’è un efficiente linea di difesa” (questa è la traduzione dalla citazione spagnola, non l’originale in italiano, ndt).
Gramsci critica il “misticismo storico” (la rivoluzione come folgorazione miracolosa) e il determinismo economico (l’ipotesi che il collasso economico scatenerà il processo rivoluzionario), e teorizza un’altra strategia, un’altra immagine della trasformazione sociale: la “guerra di posizione” . La caratteristica fondamentale della guerra di posizione è l’affermazione e lo sviluppo di una nuova visione del mondo. In ogni gesto della vita quotidiana, dice Gramsci, vi è una visione del mondo (o filosofia) implicita. La rivoluzione diffonde una nuova visione del mondo (e quindi altri gesti) che svuota poco a poco il potere della vecchia visione del mondo e infine la mette fuori gioco. Questo processo è ciò che Gramsci chiama “costruzione di egemonia”. Non c’è potere che può durare a lungo senza egemonia, senza controllo sui gesti della vita quotidiana. Sarebbe un dominio senza legittimità, una potenza ridotta a pura repressione, a paura. La presa del potere dovrebbe essere preceduta, quindi, da una “presa” della società civile.
Cristianesimo e Illuminismo
Per illustrare questa altra idea di rivoluzione, Gramsci ricorre a due esempi: il cristianesimo e l’Illuminismo. E’ molto curioso: usa una riforma religiosa e un cambiamento intellettuale come modelli per pensare la rivoluzione politica che anela. In entrambi gli esempi, l’elemento chiave del cambiamento è una nuova definizione della realtà.
Nel caso del cristianesimo, l’idea che Cristo è risorto e c’è vita dopo la morte. Il cristianesimo si organizza intorno a questa “buona novella” che si tratta di infiltrare in tutte le crepe del vecchio mondo pagano. La cosa interessante qui è che i primi cristiani evitano il potere. Agiscono piuttosto in modo che il potere alla fine veda verso di loro, il che succede con la conversione dell’imperatore Costantino nel IV secolo dopo Cristo. La lezione dei primi cristiani sarebbe: non combattere direttamente per il potere, allarga la nuova concezione del mondo di cui sei portatore e così finalmente il potere cadrà (nelle tue mani).
Nel caso dei Lumi, l’idea della pari dignità di tutte le persone in quanto esseri dotati di ragione. L’Illuminismo è il movimento che semina questa idea, in salotti, club o enciclopedie. Infine, dice Gramsci, quando si fa la rivoluzione francese, si è già vinto prima. La dominazione non ha legittimità perché la nuova concezione del mondo ha silenziosamente spiazzato la vecchia, lasciando fuori del gioco le potenze del vecchio regime quasi senza che queste se ne rendessero conto. La lezione dell’Illuminismo sarebbe: la rivoluzione si vince prima di fare la rivoluzione, nel processo di elavorazione e di espansione di una nuova immagine del mondo.
Questi sono gli esempi citati da Gramsci, morto in carcere nel 1937. Ma il ventesimo secolo ci lascia altri insegnamenti sicuramente molto più vicini a noi. Si pensi per esempio al movimento omosessuale. Un movimento a un tempo visibile e invisibile, formale e informale, politico e culturale, che trasforma completamente la percezione comune della differenza affettivo-sessuale e ottiene come effetto cambiamenti a livello legislativo. O al movimento per i diritti civili dei neri. Martin Luther King spiegava che la forza irresistibile del movimento era il superare i sentimenti profondamente interiorizzati di inferiorità attraverso il confronto con gli oppressori da uguale ad uguale (ad esempio nelle campagne di disobbedienza civile). questa insurrezione della dignità avrebbe portato con sé cambiamenti nelle leggi del paese.
Pertanto, la guerra di posizione, a differenza della guerra di movimento, è una infiltrazione più che un assalto. Uno spostamento lento più che un accumulo di forze. Un movimento collettivo e anonimo più che una operazione di minoranza e centralizzata. Una forma di pressione indiretta, quotidiana, diffusa piuttosto che una insurrezione concentrata e simultanea (anche se attenzione: Gramsci non esclude in nessun momento il ricorso all’insurrezione, ma la subordina alla costruzione di egemonia). E si basa soprattutto sulla elaborazione e lo sviluppo di una nuova definizione della realtà, che è, spiegato con parole del filosofo Cornelius Castoriadis, “ciò che conta e ciò che non conta, ciò che ha senso e ciò che non lo ha, una definizione scritta non nei libri, ma nell’essere stesso delle cose: l’agire degli esseri umani, le loro relazioni, la loro organizzazione, la loro percezione di ciò che è, la loro affermazione e ricerca di quello che vale, la materialità degli oggetti che producono, utilizzano e consumano”.
Il 15-M come rivoluzione culturale
Torniamo ora alla prima scena, tenendo presente questo punto di Gramsci. Penso che se una cinquantina di persone sono in grado di fermare uno sfratto questa è dovuto (in parte) al fatto che lo sfratto è già stato fermato prima. Ossia, perché il 15M (15 maggio, data della prima manifestazione degli “indignados”, ndt), inteso come un nuovo clima sociale e non come organizzazione o struttura, ha ridefinito la realtà. Ciò che prima non si vedeva (il fatto stesso che ci siano sfratti) ora si vede. Quello che si vedeva (normalizzato) come “l’esecuzione di routine per mutuo non pagato”, ora lo troviamo qualcosa di intollerabile. Ciò che ci si presentava come inevitabile, ora appare come qualcosa di contingente. Il clima 15M mette in crisi, nei termini dell’analisi di Gramsci, le istituzioni della società civile associate allo Stato: poliziotti che si rifiutano di sorvegliare gli sfrattim giudici che approfittano di ogni appiglio legale per favorire gli sfrattati, giornalisti e mezzi dicomunicazione che simpatizzano e amplificano i loro messaggi, ecc. In definitiva, cinquanta persone, in connessione diretta con il clima 15M, sia per il che cosa (per cosa lottano) che per il come (i modi di lottare), non sono solo una cinquantina di persone. Sono accompagnati da milioni, invisibili. Questo è ciò che il filosofo Alain Badiou chiama una “minoranza maggioritaria”. Un agente del cambiamento: in grado di contagiare perché egli stesso è contaminato.
Possiamo quindi definire la forza, tornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio, come la capacità di ridefinire la realtà: il degno e l’indegno, il possibile e l’impossibile, il visibile e l’invisibile. Il clima 15M sicuramente non ha molto potere (fisico, quantitativo, istituzionale o economico), ma ha forza. Non è solo un cambiamento sociale o politico, ma anche – e soprattutto – una trasformazione culturale (o anche estetica): una modificazione nella percezione (la soglia di ciò che si vede e ciò che non si vede), nella sensibilità (ciò che noi compatibile con la nostra esistenza o intollerabile) e nell’idea della possibile (“sì se puede”).
L’importanza di tutto questo non l’hanno capita molto bene quelli che criticano il tratto troppo “emotivo” del 15M, a partire dal famoso sociologo Zygmunt Bauman. Perché è precisamente ciò che noi chiamiamo in modo vago affettivo o emotivo -ossia la base inconscia della nostra vita in comune – quel che può spingere qualcuno a considerare vicino chi vive lontano e a piazzarsi di fronte a casa sua per proteggerlo da uno sfratto. Il sentimento che la vita di ciascuno non si limita a se stessi, ma è interconnessa a molte altre vite sconosciute (“siamo il 99%”).
La politica non è in primo luogo una questione di denuncia e di sensibilizzazione, perché non esiste la goccia che fa traboccare il vaso e il male può essere tollerato indefinitamente, ma una sorta di cambiamento di pelle per il quale diventiamo sensibili a questo o allergici a quello. Non passa per la convinzione (discorso) o la seduzione (marketing), ma ma molto di più nell’aprire ogni tipo di spazio per sperimentare un altro modo di vivere, un’altra definizione della realtà, un’altra visione del mondo. Nella lotta per l’egemonia, la pelle- la tua, la mia, quella di tutti – è il campo di battaglia.
* Amador Fernandez-Savater, saggista spagnolo, ha appena pubblicato in Spagna “Fuera de lugar, Conversaciones entre crisis y transformación”.
* Pubblicato sul quotidiano on line spagnolo www.eldiario.es. Tradotto in italiano da DKm0.

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