La Nuova Zelanda è il primo paese al mondo ad affrontare la questione «droghe sintetiche» invertendo l'onere della prova. Anziché lasciare che siano le autorità a dare la caccia ai produttori di nuove sostanze chimiche per cercare, spesso invano, di bloccare la produzione delle droghe più pericolose, il governo di Wellington ha stabilito che saranno gli stessi produttori a dover dimostrare il «basso rischio» delle sostanze chimiche che sintetizzano.
La questione è rivelante, tanto che l'Economist, la Bbc e persino il settimanale scientifico New Scientist ci hanno dedicato lunghi e dettagliati editoriali. Il fatto è che la Nuova Zelanda, un paese con poco più di 4 milioni di abitanti sparsi su due isole principali e una miriade di isolette, a 1500 km dall'Australia, non è precisamente un mercato attraente per farci arrivare le droghe «tradizionali». Per cui i kiwi, come si chiamano gli abitanti di queste isole colonizzate nel XIV secolo dai Maori, si sono dovuti arrangiare da sempre, producendosi da soli «droghe sintetiche», di cui sono i principali consumatori al mondo.
L'approccio tradizionale è quello che vede i governi monitorizzare ogni sostanza che si trova negli «smart shop», che sono smart perché vendono quello che non è ancora illegale: non appena viene identificata qualcosa di pericoloso, viene inserito nella lista nera e a partire da quel momento, la sostanza diventa illegale. Ma per ogni sostanza che diventa illegale, se ne inventa una nuova che viene venduta legalmente fino a quando le autorità tornano ad accorgersene, e la mettono al bando. E così via, in un inseguimento disperato come quello per le sostanze dopanti in cui le autorità regolatrici arrivano sempre troppo tardi rispetto a chi le produce. Con il risultato che spesso le droghe sintetiche che si immettono sul mercato, a volte con risibili diciture come «sali da bagno» o «cibo per piante», non ricevono alcun tipo di controllo prima di arrivare agli «utilizzatori finali». Dai dati dell'Onu, al momento nel mondo circolano 250 sostanze con queste caratteristiche, mentre in Europa l'anno scorso ne sono state inventate 73 (erano 24 nel 2009) secondo l'Europol.
Le droghe sintetiche più vendute oggi fra i kiwi sono i cannabinoidi sintetici, il cui effetto è molto più intenso di quello delle normali canne.
Così il parlamento neozelandese, dopo un lungo dibattito, ha deciso un approccio pragmatico e ha approvato il mese scorso lo Psychoactive Substances Bill che prevede un meccanismo di licenze per i produttori che garantiscono, con un procedimento simile a quello in uso per i farmaci, che i loro prodotti provocano un «danno basso» e si impegnano a non venderli ai minori.
Una nuova authority regolatoria verrà costituita dal governo assieme a un comitato di consulenti formato da esperti tecnici indipendenti che supporterà l'authority sui prodotti per i quali verrà chiesta l'approvazione. Insomma, saranno gli stessi chimici a informare il governo delle nuove sostanze che sintetizzeranno, invece di costringere il governo a un inseguimento senza speranza per individuare le «novità» sul mercato.
Fino a che il governo non fisserà dei criteri definitivi (cosa che si prevede accadrà entro fine anno), i produttori hanno avuto 28 giorni a partire dal giorno dell'approvazione della legge (il 18 luglio) per ottenere una licenza ad interim della durata di tre anni per una determinata sostanza. Per ottenerla, si doveva dimostrare di averla venduta per almeno sei mesi senza che ne fossero stati segnalati effetti nocivi.
E così il ministro della sanità neozelandese si trova ora con una lista, pubblicata online, di tutti i produttori e «spacciatori» delle droghe più prolifiche, con tanto di nomi e indirizzi, «un sogno per la maggior parte delle polizie del mondo», osserva arguto l'Economist, che è schierato sul fronte antiproibizionista. Anche per la Bbc si tratta di un «modello per il futuro» da osservare con attenzione, mentre il New Scientist applaude che sia «la prima legislazione al mondo che valuta «il rischio di danno delle nuove droghe ricreazionali basandosi sull'evidenza scientifica».
La questione è rivelante, tanto che l'Economist, la Bbc e persino il settimanale scientifico New Scientist ci hanno dedicato lunghi e dettagliati editoriali. Il fatto è che la Nuova Zelanda, un paese con poco più di 4 milioni di abitanti sparsi su due isole principali e una miriade di isolette, a 1500 km dall'Australia, non è precisamente un mercato attraente per farci arrivare le droghe «tradizionali». Per cui i kiwi, come si chiamano gli abitanti di queste isole colonizzate nel XIV secolo dai Maori, si sono dovuti arrangiare da sempre, producendosi da soli «droghe sintetiche», di cui sono i principali consumatori al mondo.
L'approccio tradizionale è quello che vede i governi monitorizzare ogni sostanza che si trova negli «smart shop», che sono smart perché vendono quello che non è ancora illegale: non appena viene identificata qualcosa di pericoloso, viene inserito nella lista nera e a partire da quel momento, la sostanza diventa illegale. Ma per ogni sostanza che diventa illegale, se ne inventa una nuova che viene venduta legalmente fino a quando le autorità tornano ad accorgersene, e la mettono al bando. E così via, in un inseguimento disperato come quello per le sostanze dopanti in cui le autorità regolatrici arrivano sempre troppo tardi rispetto a chi le produce. Con il risultato che spesso le droghe sintetiche che si immettono sul mercato, a volte con risibili diciture come «sali da bagno» o «cibo per piante», non ricevono alcun tipo di controllo prima di arrivare agli «utilizzatori finali». Dai dati dell'Onu, al momento nel mondo circolano 250 sostanze con queste caratteristiche, mentre in Europa l'anno scorso ne sono state inventate 73 (erano 24 nel 2009) secondo l'Europol.
Le droghe sintetiche più vendute oggi fra i kiwi sono i cannabinoidi sintetici, il cui effetto è molto più intenso di quello delle normali canne.
Così il parlamento neozelandese, dopo un lungo dibattito, ha deciso un approccio pragmatico e ha approvato il mese scorso lo Psychoactive Substances Bill che prevede un meccanismo di licenze per i produttori che garantiscono, con un procedimento simile a quello in uso per i farmaci, che i loro prodotti provocano un «danno basso» e si impegnano a non venderli ai minori.
Una nuova authority regolatoria verrà costituita dal governo assieme a un comitato di consulenti formato da esperti tecnici indipendenti che supporterà l'authority sui prodotti per i quali verrà chiesta l'approvazione. Insomma, saranno gli stessi chimici a informare il governo delle nuove sostanze che sintetizzeranno, invece di costringere il governo a un inseguimento senza speranza per individuare le «novità» sul mercato.
Fino a che il governo non fisserà dei criteri definitivi (cosa che si prevede accadrà entro fine anno), i produttori hanno avuto 28 giorni a partire dal giorno dell'approvazione della legge (il 18 luglio) per ottenere una licenza ad interim della durata di tre anni per una determinata sostanza. Per ottenerla, si doveva dimostrare di averla venduta per almeno sei mesi senza che ne fossero stati segnalati effetti nocivi.
E così il ministro della sanità neozelandese si trova ora con una lista, pubblicata online, di tutti i produttori e «spacciatori» delle droghe più prolifiche, con tanto di nomi e indirizzi, «un sogno per la maggior parte delle polizie del mondo», osserva arguto l'Economist, che è schierato sul fronte antiproibizionista. Anche per la Bbc si tratta di un «modello per il futuro» da osservare con attenzione, mentre il New Scientist applaude che sia «la prima legislazione al mondo che valuta «il rischio di danno delle nuove droghe ricreazionali basandosi sull'evidenza scientifica».
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