Da largo di Torre Argentina a Roma, dopo aver firmato i 12 referendum dei radicali su giustizia e diritti umani, il Cavaliere fa un doppio dietrofront: prima nega di aver mai minacciato di rovesciare il tavolo in caso di voto positivo di Palazzo madama e Giunta per farlo decadere da senatore. Dopo, però, ribadisce l'impossibilità e "l'assurdità" di collaborare con il Pd "se al Pdl viene sottratto fondatore e leader".
Nessun ultimatum al governo Letta. Anzi sì. Non sono passate nemmeno 24 ore da quando, in collegamento telefonico con il direttivo de ‘L’esercito di Silvio’ Berlusconi tuonava: “Sarebbe disdicevole se il governo cadesse, ma naturalmente non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica”. Ora, da largo di Torre Argentina a Roma, dopo aver firmato i sei referendum dei radicali sulla giustizia (ma anche gli altri sei “su cui non sono d’accordo, ma per affermare il diritto degli italiani” ad esprimersi con un voto, ha detto) il doppio dietrofront: “I giornali hanno messo come mio ultimatum il fatto che cadrebbe il governo se fosse votata la mia decadenza. Non ho mai pronunciato questa frase: in un ragionamento con i nostri, ho ricordato che questo governo l’ho voluto io fortemente e sono convinto che all’Italia serva un governo che continui a governare”, ha detto il Cavaliere in un’improvvisata conferenza stampa. Anzi, “non sono d’accordo con certe critiche perché questo governo sta anzi facendo cose egregie”.
Passano però pochi minuti e la minaccia emerge nuovamente: “Spero che il governo possa continuare”, ma “è una cosa che rientra addirittura nell’assurdità che una forza democratica come il Pd pretenda che un’altra forza alleata possa restare a collaborare al tavolo del governo se gli si sottrae il fondatore e il leader”. Insomma, il governo deve andare avanti, ma in caso di sua estromissione dal Senato, è impossibile che questo accada e quindi il tavolo, “cose egregie” a parte, dovrà cadere.
Eppure poco prima Berlusconi aveva negato persino che, in caso di decadenza, lui volesse ritirare i ministri Pdl dal governo: “Sono loro che vogliono ritirarsi, chiedetelo a loro. Io mi auguro di no, perché il Paese ha bisogno di un governo”. Ma le voci di possibili dimissioni di massa in caso di decadenza da senatore di Berlusconi circolano già dal 2 agosto, giorno seguente la condanna a quattro anni per frode fiscale nell’ambito dell’inchiesta sui diritti Mediaset, quando i capigruppo di Camera e Senato Brunetta e Schifani avevano ipotizzato di salire al Quirinale a chiedere la grazia per il loro leader con in tasca la rinuncia alla carica di tutti i ministri Pdl.
La condanna continua quindi a bruciare. E bruciano le recenti motivazioni depositate in Cassazione che definiscono il Cavaliere ”ideatore del sistema illecito” e “dominus indiscusso” di un meccanismo atto a “consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale“. ”Le condanne sono soltanto politiche e sono tese a eliminarmi affinché la sinistra possa prendere definitivamente il potere”, ha commentato l’ex presidente del Consiglio da largo di Torre Argentina, seduto accanto al leader radicale Marco Pannella.
E proprio rivolgendosi a Pannella, Berlusconi si è di nuovo paragonato ad Alcide De Gasperi: “Ti immagini cosa avrebbero fatto se i comunisti avessero sottratto De Gasperi alla Democrazia cristiana? Ti immagini cosa sarebbe successo al contrario se la Dc avesse sottratto loro Togliatti?”. Tra l’altro, “né Togliatti, né De Gasperi erano fondatori del partito come lo sono io della nostra forza politica. Quindi – la conclusione – io auguro a questo governo di continuare a essere a palazzo Chigi e spero che il buon senso prevalga nella testa di chi, preso dalla voglia di eliminare l’avversario politico che per vent’anni si è messo sulla loro strada”, perché “non possono lasciar prevalere questa tendenza anti democratica rispetto al bene e all’interesse del Paese”.
Dopo il consueto paragone con il leader democristiano, l’ex premier non si lascia sfuggire l’occasione per attaccare i “traditori”, “Fini, Casini e gli altri” che non gli hanno permesso di fare la riforma della giustizia nel 2001 e nel 2006. “L’unica mia colpa nei confronti degli italiani è non avere raggiunto il 51 per cento dei consensi…”, ha ripetuto il Cavaliere di fronte a una folta delegazione radicale – Maurizio Turco, Maria Antonietta Farina Coscioni e Sergio D’Elia – ai due parlamentari azzurri Vincenzo Piso e Domenico Gramazio – oltre a un pattuglia di aderenti all’Esercito di Silvio. Pannella lo interrompe più volte: “Dai la colpa agli altri di cose che non hai fatto tu, quando sbagli è sempre colpa degli altri, la tua colpa è che non ti sai difendere bene, l’azzecchi solo quando hai un obiettivo da attaccare”.
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