domenica 21 aprile 2013

Pd, le tessere stracciate e l’attacco al cuore dello Stato

Pd tessera in fiamme
Vent’anni di guerriglia verbale con Berlusconi, per poi andarci a nozze definitivamente, all’ombra del Quirinale, contro la volontà della stragrande maggioranza del paese e persino dei propri iscritti, esasperati dalla protervia marmorea di una nomenklatura grottesca. Nella inquietante “notte della Repubblica” che si spalanca sull’incerto 2013, brilla il bagliore – non scontato – dei roghi delle tessere del Pd, il “popolo delle primarie” che sembra aver finalmente capito di esser stato ferocemente preso in giro: a personaggi come Bersani, Letta, Bindi, Violante, D’Alema e Finocchiaro non è mai passata nemmeno per l’anticamera del cervello l’ipotesi di un vero cambiamento. Se l’antiberlusconismo tanto sbandierato era solo un collante di comodo, fragile e insincero, ora è scaduto anche quello. Così si comprende meglio l’irruzione sulla scena di Beppe Grillo, come sostiene Giovanni Minoli: «Grillo ha fatto un miracolo democratico, ha evitato una guerra civile».
Bersani koSul versante di sinistra, la democrazia italiana sembra sotto choc. Ha scoperto all’improvviso che i presunti paladini del progressismo erano in campo per tutt’altra ragione. E cioè: addormentare l’opinione pubblica e impedirle di pretendere un vero riscatto civile. Meglio imbrigliarla con falsi obiettivi e abili diversivi, per far digerire al popolo del centrosinistra le misure più impopolari di sempre. Avverte l’economista italo-danese Bruno Amoroso: a partire dallo scandalo Mps, la storia si sta incaricando di smascherare una “democratura” infiltrata da poteri fortissimi, esterni agli interessi dell’Italia, ai quali obbedire puntualmente, ogni volta mentendo al proprio elettorato e magari agitando bersagli di carta: la finta crociata contro l’ineleggibilità del Cavaliere, l’antimafia come orizzonte politico di parte e la denuncia dell’evasione fiscale come male assoluto, perfettamente adatto a colpevolizzare il paese. Evasione e mafia, due metastasi italiane. Nulla, però, in confronto all’attacco al cuore dello Stato, organizzato dall’élite neoclassica e neoliberista di Bruxelles, intenzionata a confiscare quel che resta della sovranità democratica per privatizzare tutto, a costo di gettare milioni di persone nell’incubo della precarietà e del bisogno.

Rinnegati di sinistra, li chiama il filosofo Costanzo Preve: fino a ieri hanno potuto agire impunemente, protetti da un mainstream prezzolato e ipocrita, sempre pronto a non vedere, non dire, non discutere, e quindi ostile alla contro-narrazione improvvisata da Grillo, che ora è arrivata – nonostante l’interdizione sovietica di giornali e televisioni – a costruire una scomoda testa di ponte in Parlamento e nelle piazze indignate che assediano il Palazzo. Niente di rassicurante all’orizzonte: da una parte il bunker della partitocrazia in sfacelo, al guinzaglio dei signori di Bruxelles, e dall’altra un’opposizione di governo tutta da costruire, guardando all’Europa di domani. Quella della Francia che ormai fischia Hollande, del Portogallo che dichiara anticostituzionale il Fiscal Compact, della Grecia dilaniata dal ricatto della nuova schiavitù, dell’Inghilterra sovrana che fa assorbire quote di debito dalla propria banca centrale. Centrosinistra inesistente anche a Berlino, dove – mentre la Spd condivide con la Merkel il delirio del rigore spacciato per virtù – è la destra liberale di “Alternativa per la Germania” a mettere in discussione l’euro come sistema ingiusto, fallimentare e anche pericoloso, vista l’ondata di risentimento anti-tedesco che sta suscitando nel resto del continente.
La sinistra italiana, capace di imporre una sterzata popolare alla Costituzione materiale del paese, era quella guidata da Enrico Berlinguer e da personalità d’altri tempi come Sandro Pertini, in grado di parlare alla nazione, e come Gino Giugni, l’architetto democratico dello Statuto dei Lavoratori, che portò anche in fabbrica la democrazia nata dalla Resistenza antifascista. Con l’inaudita rielezione di Napolitano al Quirinale sembra terminare un lungo equivoco, coltivato dallo strano regime bipolare (ma in realtà bipartisan) insediatosi dopo Tangentopoli con la promessa di riscattare il paese dal cancro della corruzione: distratta dai meritati applausi ai giudici di Mani Pulite, l’opinione pubblica non si era accorta che – lontano dai riflettori – il Trattato di Maastricht rappresentava l’inizio della fine della democraziaparlamentare e quindi della libertà. Era una cessione semi-clandestina della sovranità nazionale, concessa senza validazione popolare e senza neppure la contropartita democratica di un governo federale europeo. I risultati arrivano oggi e si chiamano catastrofe dell’economia, pareggio di bilancio e massacro sociale, manovre lacrime e sangue imposte da “ministri della Giuliano Amatopaura” di ieri, di oggi e di domani.
Giuliano Amato, ricorda Franco Fracassi nel libro-inchiesta “G8 Gate”, fu il premier che, un anno prima della mattanza di Genova, fece pestare a sangue i disoccupati che protestavano a Napoli: per la prima volta, osserva Fracassi, alla polizia antisommossa di Gianni De Gennaro fu ordinato di non lasciare vie di fuga ai manifestanti, trasformando la piazza in una trappola. Dieci anni di letargo, dopo la sanguinosa liquidazione del movimento No-Global e l’infarto democratico mondiale dell’11 Settembre, hanno incubato i fronti più atroci di quella che Giulietto Chiesa annunciò col suo vero nome, la Guerra Infinita. Poi il crac della Lehman, gli Indignados, Occupy Wall Street. In Italia, nonostante la sordità non casuale del Pd, parla una lingua internazionale la resistenza civile della valle di Susa contro l’assurda violenza di una “grande opera inutile” come il Tav Torino-Lione. Nel fatidico 2011, l’anno del luttuoso avvento di Monti & Fornero, l’Italia sembrava essersi svegliata dal sonno: il clamoroso plebiscito democratico dei referendum per i beni comuni portava la firma, tra gli altri, di Stefano Rodotà. Ancora una volta, il Palazzo ha votato contro la volontà popolare, sfidandola. Ma oggi – a partire dalla rivolta di Vendola e dei militanti del Pd – i rottami del centrosinistra non potranno più ingannare l’opinione pubblica ricorrendo ai vecchi alibi, ora che sembrano apprestarsi a consegnare definitivamente il paese al super-potere straniero che lo sta sbranando.
(Giorgio Cattaneo, “Pd, le tessere stracciate e l’attacco al cuore dello Stato”, Libre, 21 aprile 2013).

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