È stata la madre di tutte le battaglie negli anni dei governi di Margaret Thatcher. Dopo lo sciopero dei minatori del 1984-85, il volto del Regno Unito è radicalmente cambiato, la ricchezza si è andata concentrando sempre più nelle mani di pochi, e i lavoratori si sono ritrovati sempre più soli. Ora un testimone di quegli eventi, minatore per quasi vent'anni, spiega perché, lui, oggi non piange la Thatcher.
Intervista a John Dunn di Marco Zerbino
We are all Thatcherites, now. “Siamo tutti thatcheriani”, si è arrischiato a dire David Cameron in un'intervista concessa alla Bbc poco prima di recarsi al funerale, pagato dai contribuenti britannici, della Lady di Ferro. Eppure, non sembrano pensarla affatto allo stesso modo le migliaia di persone che, dai quartieri popolari delle più working class delle città britanniche come Liverpool, passando per la zona londinese di Brixton, teatro della famosa rivolta della comunità nera del 1981, per finire con la repubblicana Belfast ovest, il giorno in cui è stata data la notizia del decesso dell'ex primo ministro sono scese in piazza a festeggiare. Così come non sono certo interpretabili come segni di sconforto i cori inneggianti al passaggio a miglior vita di “Maggie” intonati dai tifosi del Liverpool, né l'inesorabile scalata delle classifiche degli scaricamenti da parte del motivetto “Ding Dong The Witch is Dead” nei giorni immediatamente successivi all'evento.
Di sicuro, fra coloro che si mostrano prostrati dalla perdita, non c'è John Dunn, ex minatore che, nel 1984-85, insieme a migliaia di suoi colleghi, ha scioperato per più di un anno, a prezzo di durissimi sacrifici, per difendere il proprio posto di lavoro e resistere al progetto del governo presieduto da Margaret Thatcher mirante a chiudere la maggior parte delle miniere di carbone presenti nel paese (senza offrire alcuna alternativa occupazionale). “Scusami tanto per il ritardo della risposta”, mi scrive per email dopo qualche giorno passato a rincorrerci “ma sono stato via per un po', a festeggiare con i miei compagni di un tempo in quel di Durham”. Dunque, niente lacrime, come vorrebbe invece Cameron. E si capisce, perché John, che è anche animatore, insieme ad altri, della campagna “Justice for Mineworkers”, che ancora oggi cerca di offrire un sostegno economico a coloro che, a migliaia, durante lo sciopero dell'84 persero il lavoro per aver partecipato ai picchetti, la Thatcher l'ha vista all'opera. Ed è anche in grado di valutare quanto la sconfitta dello sciopero guidato da Arthur Scargill abbia influito sugli eventi successivi della storia britannica.
È lì, secondo questo coriaceo ex minatore, che il sindacato britannico ha cominciato seriamente a perdere terreno, e che si sono poste le basi per la situazione attuale, in cui “la maggior parte delle persone lavorano di più per meno soldi, e godono di sempre meno diritti e tutele nel proprio posto di lavoro”. Eppure, secondo Dunn, quella sconfitta non è stata totale, perché ha insegnato ad intere comunità cosa significa avere a cuore la propria dignità di produttori. Adesso, al contrario, la maggior parte delle ex città minerarie sono città fantasma, devastate dalla droga e dalla microcriminalità, in cui i giovani, “che in altri tempi avrebbero seguito i propri padri nei pozzi, vagano per le strade senza uno scopo preciso”. E tutto questo, anche, grazie a Maggie.
In quale miniera lavoravi all'epoca dello sciopero, e per quanti anni sei stato minatore?
Ho cominciato a lavorare presso la miniera di carbone di Glapwell, nel 1971, per poi trasferirmi in quella di Markham nel 1976. Entrambe si trovano nel bacino carbonifero del Derbyshire settentrionale. In totale, ho fatto questo lavoro per diciannove anni, fino al 1990.
Non molto tempo dopo essersi insediata come nuovo primo ministro conservatore, Margaret Thatcher lanciò il suo durissimo attacco contro i minatori e il loro sindacato, la National Union of Mineworkers (Num). L'obiettivo era chiaro: chiudere diverse miniere di carbone e ridurre drasticamente il numero dei lavoratori impiegati nel settore [lavoratori statali, in quanto dipendenti del National Coal Board, l'azienda pubblica creata dai laburisti con la nazionalizzazione dell'industria carbonifera avvenuta nel 1946, ndr]. Qual è stato, secondo te, il significato dello sciopero dei minatori del 1984-85 e come ha influito, in generale, sulle condizioni dei lavoratori britannici?Lo sciopero del 1984-85 è stato una conseguenza del programma di chiusura generalizzata di diverse miniere voluto dal governo. Ha dimostrato la capacità delle comunità minerarie di battersi in difesa del proprio futuro, in una situazione che si è per molti aspetti avvicinata alla guerra civile. È stato anche uno sciopero che ha dimostrato la capacità dei lavoratori di resistere, su vasta scala, a un attacco imponente. Purtroppo, il risultato della sconfitta del nostro sindacato, la Num, è stato quello di convincere i dirigenti della maggior parte degli altri sindacati britannici che la lezione da trarre da tutta la vicenda fosse la seguente: nelle vertenze sindacali non si può mai vincere. Una conclusione assolutamente sbagliata, che tuttavia ha fatto sì che molti dirigenti sindacali si dessero per vinti in partenza. La sindacalizzazione della forza lavoro, nel Regno Unito, ha quindi cominciato a diminuire, con il risultato che ora la maggior parte delle persone lavorano di più per meno soldi, e godono di sempre meno diritti e tutele nel proprio posto di lavoro.
Che conseguenze ha avuto la chiusura delle miniere sulle vostre comunità? Com'è cambiato il volto delle cittadine minerarie dopo la chiusura dello sciopero?Le nostre comunità sono state devastate dalla chiusura dei pozzi. Dal momento che ci sono state date pochissime (in molti casi nessuna) alternative occupazionali, siamo stati lasciati lì a marcire. Non è un'esagerazione: città un tempo abitate da orgogliosi minatori, si trovano ora ad essere dilaniate dalla droga e dai comportamenti antisociali. I giovani, che in altri tempi avrebbero seguito i propri padri nei pozzi, vagano per le strade senza uno scopo preciso.
Nei giorni della vostra vertenza, la Thatcher parlò dei minatori come del “nemico interno”. Che tipo di repressione avete dovuto fronteggiare da parte del governo?Fu una vera guerra civile. Tantissimi poliziotti provenienti da altre parti dell'Inghilterra, insieme a membri dell'esercito che indossavano l'uniforme della polizia, calarono nelle zone minerarie per intraprendere una vera e propria campagna militare basata sul terrore contro gli scioperanti. Vennero costituiti dei posti di blocco per impedire ai picchetti di raggiungere le miniere ancora in funzione. Vennero arrestati quasi 11.000 lavoratori, mentre circa 7.000 furono coloro che rimasero feriti negli scontri con la polizia. I tribunali stabilirono condizioni proibitive, che erano parte del disegno repressivo volto ad impedire il riformarsi dei picchetti, per ottenere la liberazione su cauzione degli arrestati. I soldi del sindacato vennero sequestrati per impedire che venissero usati per finanziare lo sciopero e il coro dei media fu unanime contro i minatori. L'esempio più celebre rimane quello relativo alla copertura mediatica della famosa “battaglia di Orgreave”, dopo la quale la Bbc, azienda delle telecomunicazioni di Stato, montò al contrario il filmato degli scontri, in modo da far sembrare che fossero stati i membri del picchetto ad attaccare la polizia, quando in realtà erano stati radunati in un unico posto e poi caricati dalla polizia a cavallo.
Quali sono state, a tuo avviso, le cause della sconfitta degli scioperanti?Non penso che lo sciopero si sia concluso con una sconfitta inappellabile. Tornammo al lavoro orgogliosi e a testa alta, consapevoli di esser stati traditi dalla leadership della maggior parte dei sindacati e dal partito laburista. Ad ogni modo, il fallimento dello sciopero in alcune zone, ad esempio nel Nottinghamshire, ha ovviamente indebolito la nostra lotta.
A proposito del ruolo del Labour e del Tuc [il Trade Union Congress, la confederazione dei sindacati britannici, ndr], a cui ora accennavi, fino a che punto hanno condiviso e sostenuto la vostra lotta?Durante lo sciopero, sorse spontaneamente in tutta la Gran Bretagna una rete spontanea di gruppi di sostegno ai minatori, un fenomeno che dimostrò l'enorme popolarità della nostra lotta presso la base sindacale. Sfortunatamente, però, i principali dirigenti del partito laburista e dei sindacati non vollero intercettare ed organizzare quel sostegno. In realtà, agirono di fatto come dei sabotatori dall'interno, contribuendo ad indebolire ogni forma di sostegno attivo al sindacato dei minatori. La loro condotta significò di fatto una situazione nella quale fummo costretti a lottare da soli, con alcune lodevoli eccezioni come quella dei ferrovieri e dei portuali.
Qual è stato il ruolo delle donne delle comunità minerarie nel corso dello sciopero?I gruppi di sostegno agli scioperanti messi in piedi dalle donne delle comunità minerarie hanno avuto un ruolo importantissimo nel rendere possibile la nostra lotta. Inizialmente furono formati per organizzare le mense collettive che servivano a sostentare gli scioperanti e le loro famiglie, ma in seguito le donne cominciarono ad avere un ruolo più ampio, intervenendo nelle riunioni, occupandosi della raccolta fondi in sostegno degli scioperanti e partecipando anche direttamente ai picchetti. L'attivismo femminile fu fondamentale per assicurare alla lotta il sostegno dell'intera comunità, e senza di esso non saremmo mai riusciti ad andare avanti per un intero anno.
Quali obiettivi si prefigge e perché è stata creata la campagna “Justice for Mineworkers”?La campagna “Justice for Mineworkers” è stata creata per prestare aiuto a circa mille minatori che sono stati licenziati per aver partecipato agli scioperi e sensibilizzare l'opinione pubblica in loro favore. Alcuni di loro, nel frattempo, sono morti, altri hanno trovato altri lavori, ma ci sono ancora molti di questi nostri compagni che sono senza stipendio, ormai da trent'anni, e la campagna ancora oggi cerca di fare quello che può per aiutarli economicamente.
(21 aprile 2013)
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