martedì 23 aprile 2013

"Sindacati e Confindustria fanno l'accordo sulle ceneri del diritto di sciopero". Intervento di Giorgio Cremaschi


Il direttivo nazionale della CGIL ha dato via libera, con la sola opposizione della rete 28 aprile, alla stipula del patto sulla rappresentanza. Che bello, diranno gli ingenui, finalmente c'è la democrazia sindacale. Bè, non è proprio così. L'accordo che si prefigura si basa sullo scambio tra diritto alla rappresentanza e esigibilità degli accordi. Che vuol dire in concreto? Facciamo un esempio.(...)Nel 2010 alla Fiat di Pomigliano Sergio Marchionne impose una accordo gravemente lesivo delle condizioni e delle libertà dei lavoratori. Quel patto fu accettato dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali, delle rsu e dei lavoratori con un referendum. La FIOM comunque rifiutò quello che definì giustamente un ricatto, non accettò il pronunciamento maggioritario e si mise a contestare l'accordo per via sindacale e legale; e per questo fu esclusa dalla rappresentanza sindacale in Fiat e i suoi iscritti discriminati sul lavoro.
Con il nuovo accordo sulla rappresentanza tutto questo non succederà più. La parola magica è esigibilità, termine del più puro sindacalese che oggi significa che chi vuol sedersi al tavolo della rappresentanza con i padroni deve preventivamente assicurare loro che cosa fatta capo ha. Si azzera il sistema esistente e si riparte da capo. Ai tavoli dei contratti nazionali partecipano solo le organizzazioni che rappresentano più del 5% degli iscritti. A quelli dei contratti aziendali le rsu e i loro sindacati. L'accordo è valido quando la maggioranza dei sindacati o delle rsu lo sottoscrive. La consultazione dei lavoratori, non obbligatoria ma auspicata, può esprimere il suo giudizio finale. Ma cosa c'è allora che non va? L'esigibilità. Per accedere a questo sistema si deve infatti sottoscrivere prima la rinuncia a contestare gli accordi che non si condividono.
Se in un contratto nazionale o aziendale si aumenta l'orario di lavoro, si abbassano le qualifiche, si toglie ai lavoratori il diritto ad ammalarsi, e se la maggioranza dei rappresentanti sindacali e dei lavoratori accetta, la minoranza non può più opporsi. Non può fare sciopero, non può andare in tribunale, non può neanche tutelare quei lavoratori che non ci stanno. Altrimenti è fuori.
Questo il succo, CGIL CISL UIL firmano con la Confindustria e così impegnano tutte le proprie organizzazioni e i propri delegati a rispettare il principio della esigibilità. Chi non ci sta è fuori. E gli altri sindacati? Se non ci stanno sono fuori e per starci, lo ripeto, devono preventivamente firmare che accetteranno qualunque accordo.
Ovunque ci sia una lotta o un ribellione vera allo sfruttamento, il sindacato dev'essere preventivamente esigibile. Già oggi succede, perché le lotte sindacali più importanti e partecipate della Lombardia, Trenord e S.Raffaele, vedono CGIL CISL UIL ostili ed estranee, come accade alla lotta dei lavoratori migranti della logistica e a tanti altri.
Però il problema degli accordi separati è superato. Tutti gli accordi sono preventivamente unitari perché non esiste più il diritto a non firmare ciò che non piace. Si supera il problema del dissenso cancellando il diritto a dissentire. Come la Fornero che ha superato la divisione tra chi è o non è tutelato dall'articolo 18, togliendo l'articolo 18 a tutti.
Questo accordo costituisce un esproprio di quella tanto auspicata legge sulla rappresentanza, che avrebbe dovuto finalmente garantire ai lavoratori il diritto alla democrazia sindacale, mentre invece realizza una privatizzazione corporativa di questo loro diritto. Del resto questo è ciò che le "parti sociali" ricercano su un piano ben più ampio.
I gruppi dirigenti di CGIL, CISL e Confindustria hanno visto travolti dalle elezioni i rispettivi progetti politici. Le presidenziali, con la catastrofe del PD, hanno scatenato l'angoscia tra i quadri della CGIL, i cui più anziani hanno già vissuto la crisi del PCI e la distruzione del PSI. Quindi la spinta ad affermare: che c'entriamo noi con la crisi politica noi siamo il sindacato, è fortissima. E sarebbe anche una buona cosa se fosse il segno di una volontà di rinnovare le pratiche della rappresentanza e del conflitto sociale. Ma CGIL CISL UIL escono da venti anni di concertazione, di moderatismo rivendicativo, di istituzionalizzazione. Tutta la struttura è stata selezionata da queste basi. Come si fa a cambiare?
Così ci si aggrappa ad una Confindustria anch'essa colpita da crisi di rappresentanza ed efficacia. E si rilancia il patto corporativo tra i produttori, che oggi più che mai è prima di tutto una patto di sopravvivenza tra grandi burocrazie in crisi. Così, mentre tutti i riflettori dell'informazione sono concentrati sul governissimo di Giorgio Napolitano, CGIL CISL UIL e Confindustria stanno definendo il governissimo sindacale.
La CGIL aderisce al patto sulla rappresentanza con il concorso determinante di Maurizio Landini. Senza il suo apporto la segreteria di Susanna Camusso non avrebbe avuto oggi la forza politica di andare avanti. Perché? Si sprecano le analisi di retroscena.
Ma questi dietro le quinte hanno però il difetto di nascondere la scena principale. Maurizio Landini ha dato speranza e coraggio al mondo del lavoro, acquisendo fama e prestigio, con il no a Pomigliano, non firmando un accordo accettato dalla maggioranza dei sindacati e dei lavoratori. Ora quel no diventa un si attraverso l'accettazione della esigibilità. Maurizio Landini ha il dovere di spiegare questo ribaltamento della sua posizione e di quella della FIOM, senza sotterfugi, senza inutili sprechi di retorica.
In ogni caso contro questo accordo che normalizza e centralizza autoritariamente tutte le relazioni sindacali, bisognerà lottare. Tutte le forze e le esperienze sindacali che non ci stanno debbono organizzare la disobbedienza, il contrasto, la crisi del patto corporativo sulla rappresentanza. Un regime sindacale degli esigibili, quando su tutti pesano i danni e i ricatti della disoccupazione di massa, è un altro macigno che precipita sul mondo del lavoro, bisogna reagire subito.

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