mercoledì 24 aprile 2013

I gatti del referendum

Una frase famosa attribuita a Deng Xiao Ping recita “non importa che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda i topi”. Con riferimento alla scuola dell’infanzia la traduzione potrebbe essere: non importa se le scuole sono private o pubbliche, l’importante è che ci siano (meglio se private così ci fanno anche risparmiare!). Argomento, questo, assai discutibile a mio avviso, per alcuni motivi che cercherò di illustrare di seguito.

Primo. Le scuole pubbliche e quelle private non sono “scambiabili”: le prime sono laiche, le seconde sono religiose; quelle sono gratuite, queste a pagamento. Se una famiglia volesse iscrivere il figlio/a ad una scuola pubblica ha il diritto costituzionalmente garantito di poterlo fare. Il diritto per essere tale deve essere esigibile. Evidentemente le liste d’attesa della primavera scorsa sono state dimenticate (eppure ci sono ancora cento bambini che aspettano di potersi iscrivere ad una scuola pubblica).

Secondo. Lo scambio (ineguale) tra diritti costituzionali e denari è irricevibile. Un diritto è un diritto, ed è dovere della Repubblica appunto renderlo concretamente esigibile. Sotto questo profilo la proposta, sottoscritta venerdì, di una petizione al Governo affinché apra a Bologna nuove sezioni di scuola statale dell’infanzia è corretta e condivisibile, e il referendum darà appunto più forza a questa richiesta. Di più, è evidente, a mio parere, che senza la raccolta delle firme e la seguente campagna referendaria, che ha dato forma politica ed istituzionale al diffuso scontento per la politica scolastica del Sindaco e dell’Assessore, tale richiesta (peraltro maledettamente tardiva) non ci sarebbe stata. La prova? Nella primavera scorsa, a fronte dei 400 bambini in lista d’attesa, la Giunta e il consiglio comunale si produssero nello straordinario gesto atletico di approvare una convenzione di ben quattro anni con la FISM (l’associazione delle scuole materne cattoliche) e l’assessore Pillati chiese, a termini scaduti, una manciata di sezioni di scuola dell’infanzia.


Infine, una notazione sui comitati che sostengono il b) al referendum, ovvero il finanziamento alle scuole dell’infanzia private. Attualmente i front runners di questo schieramento sono il sindaco Merola e il segretario provinciale del Pd Donini, che si stanno impegnando con un vigore inusuale e, in qualche misura, inaspettato. Perché tanta voglia di battersi, tanto ardore al cui confronto il calore della campagna elettorale par un tiepido solicello? Solo per difendere il sistema delle convenzioni? In parte sì. Certamente Merola e Donini sono convinti che quello delle convenzioni sia il miglior sistema possibile, ma a mio avviso la variabile latente che traspare dalle loro dichiarazioni è un altra: la privatizzazione delle funzioni della Repubblica, e l’alleanza con il comunitarismo ascrittivo. Di questa tendenza le convenzioni con le scuole private paritarie è solo una parte sarà il passaggio delle scuole dell’infanzia comunali alle ASP (e la loro trasformazione da “scuole” a “servizi”).

Tale progetto ha radici almeno ventennali. Infatti fu iniziato dal sindaco Vitali, che ruppe con la tradizione socialdemocratica Fanti-Zangheri-Imbeni e privatizzò anche le farmacie comunali (privatizzazione cui si svolse un referendum abrogativo che mancò il quorum, anche perché l’organizzazione non facilitò per nulla la partecipazione al voto). La seconda giunta Vitali ha rappresentato la vera discontinuità nelle politiche scolastiche del Comune di Bologna (basti ricordare che l’allora assessore alle finanze Delbono scrisse che all’incremento demografico bisognava fare fronte con le convenzioni con i privati o con l’incremento delle sezioni statali, ma la spesa assoluta del comune andava congelata).

Non è ozioso ricordare che su queste privatizzazioni Vitali si giocò (perdendo) la a ricandidatura a sindaco nel 1999, dando così l’avvio al ciclo Guazzaloca-Cofferati-Delbono-Cancellieri.

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