Tagliare gli sprechi della spesa pubblica, gonfiati dalla “casta” del pubblico impiego? Balle: l’Italia è scesa al di sotto della media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Dal 2006 al 2011, lo Stato ha tagliato 232.000 dipendenti pubblici. Una drastica “spending review” sostanziale, in ossequio all’ideologia neoliberista di Bruxelles, cominciata molto prima delle invettive di Brunetta contro i “pelandroni” o l’allarme scatenato da Grillo. Oltre alla salutare denuncia di sprechi intollerabili, la strana stagione delle crociate contro i privilegi della “casta” ha prodotto il disastro definitivo del tecno-governo “nominato” dalla Troika. A conti fatti, stanno letteralmente “smontando” lo Stato, costantemente sotto ricatto finanziario a partire dall’adesione all’Eurozona. Ora siamo alla “terza fase” dell’austerità, quella senza ritorno: devastazione dell’economianazionale e, naturalmente, privatizzazione lucrosa dei servizi pubblici, a danno dei cittadini.
La crescita del precariato nella pubblica amministrazione, e in particolare nei settori sensibili del welfare, cioè scuola e sanità, secondo Roberto Ciccarelli, analista di “Micromega”, è avvenuta proprio negli anni in cui iniziava la campagna mediatica anti-casta. Risultato: l’espulsione di oltre 200.000 persone dal sistema: «Il blocco del turnover non permetterà l’assunzione di nuovo personale, compresi i precari che attendono nel limbo una stabilizzazione impossibile». La virulenta campagna anti-casta ha funzionato come specchietto per le allodole: «Ha nascosto il processo di ridimensionamento del lavoro pubblico, in particolare nei settori che assicurano la riproduzione intellettuale e la cura della persona», rendendo proibitivo l’accesso al lavoro «in un mercato che è stato spogliato di ogni regola: a partire dallo Stato, il più grande sfruttatore di precari».
La crescita del precariato nella pubblica amministrazione, e in particolare nei settori sensibili del welfare, cioè scuola e sanità, secondo Roberto Ciccarelli, analista di “Micromega”, è avvenuta proprio negli anni in cui iniziava la campagna mediatica anti-casta. Risultato: l’espulsione di oltre 200.000 persone dal sistema: «Il blocco del turnover non permetterà l’assunzione di nuovo personale, compresi i precari che attendono nel limbo una stabilizzazione impossibile». La virulenta campagna anti-casta ha funzionato come specchietto per le allodole: «Ha nascosto il processo di ridimensionamento del lavoro pubblico, in particolare nei settori che assicurano la riproduzione intellettuale e la cura della persona», rendendo proibitivo l’accesso al lavoro «in un mercato che è stato spogliato di ogni regola: a partire dallo Stato, il più grande sfruttatore di precari».
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai sostenitori neoliberisti dello “Stato minimo”, continua Ciccarelli, i numeri dimostrano che l’Italia è sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione: i nostri dipendenti pubblici sono meno di quelli francesi e addirittura inferiori a quelli dei paesi anglosassoni, Usa e Gran Bretagna. Sotto di noi ci sono solo i “Piigs” Spagna e Portogallo e il nuovo “faro”, la Germania: ma niente paura, «l’Italia la raggiungerà presto, anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero, al blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali, tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo». Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli ultimi 5 anni. Per l’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, il calo evidenziato nel 2012 (2,3%) continuerà anche nel terribile 2013. «Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36 miliardi (-2,3%)».
Peggio che andar di notte anche nelle retribuzioni: lo Stato italiano viaggia a ritroso nel tempo, tanto che oggi è tornato ai livelli del 1979 e, purtroppo, non si fermerà. I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più, continua Ciccarelli, sono quelli che garantiscono il welfare, scuola e sanità, e poi gli enti locali e i ministeri. «Il processo è iniziato con l’ultimo governo Prodi, ma l’onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quintino Sella al ministero dell’Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all’istruzione». Condizioni che hanno posto le basi per i tagli del futuro: nel mirino la Lombardia (dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono invece sotto organico del 23%.
«Una controprova che l’austerità di Stato continuerà la offre il “rapporto Giarda” sulla spending review», avverte Ciccarelli: «Ci attendono nuovi tagli da 135,6 miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno già perso quasi 10 miliardi di euro». Inoltre sono previsti tagli del 33,1% alla spesa sanitaria, oltre a un’altra sforbiciata del 24,1% agli enti locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno. Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero “ripianare il debito”, che però è aumentato nell’ultimo anno di 19 miliardi. «Questa è la regola dell’austerità: più tagli il debito (Monti l’ha fatto per 21 miliardi in 400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo Stato, mentre l’“efficienza” della spesa pubblica tagliata non migliora, deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l’1% nel 2012)». Inutile girarci attorno: «L’austerità è un circolo vizioso, anche se c’è chi ancora pensa di reinvestire i “risparmi” fatti sui ministeri e gli enti locali per finanziare il debito che la pubblica amministrazione ha con le imprese».
Nel 2011, i precari della scuola italiana – docenti e impiegati – erano oltre 300.000, un esercito che rappresenta il 46% dei precari nel pubblico impiego. Dall’inizio della cura da cavallo imposta dalla coppia Tremonti-Gelmini nel 2008, i dati dell’agenzia Aran dimostrano che il personale nella scuola è diminuito a poco più di un milione di persone, grazie al taglio di oltre 150.000 addetti, pre-pensionati. Altra voce drammatica del regime di austerity, la sanità, dove lo Stato fra il 2008 e il 2011 ha tagliato quasi 15.000 dipendenti. Nel 2011, ricorda “Micromega” citando i dati diffusi dall’Aran, la spesa per il personale della scuola superava quello della sanità per solo mezzo punto percentuale, il minimo mai raggiunto in precedenza; nel 2012 la spesa della sanità avrebbe superato quella per la scuola, ma sarà un primato di breve durata: per la sanità, infatti, la famigerata “spending review” prevede un “risparmio” addirittura del 32,7%, falciando innanzitutto i lavoratori precari.
Obiettivo finale del maxi-taglio dello Stato: la privatizzazione dei servizi. Lo si intuisce analizzando il Def, il Documento di Economia e Finanza approvato ad aprile 2013 dal governo Monti, che include un capitolo dedicato al Pnr, Piano Nazionale delle Riforme. «Più che alle cifre sulla “crescita” di un’economia in recessione tecnica da almeno due anni», osserva Ciccarelli, il documento esibisce «numeri scritti sull’acqua, come ad esempio l’aumento dell’1,3% del Pil nel 2014». Molto più interessante – e drammaticamente attendibile – l’annuncio delle cosiddette “riforme” che i tecnocrati insediati a Palazzo Chigi da Napolitano e Draghi lasciano in eredità al prossimo governo. Riforme “strutturali” che, ovviamente, «dovranno essere rispettate se l’Italia vuole mantenere il suo buon nome nel salotto europeo dell’austerità, e non essere considerata uno “Stato fallito”, cioè quello che è oggi».
In quello che Monti ha considerato solo un «work in progress», esistono in realtà tutte le decisioni prese nel “rapporto Giarda” sulla “spending review”: entro il 2016, spiega Ciccarelli, bisogna recuperare fino a 15 miliardi di spesa pubblica. «Questo significa tagliare il pubblico impiego tra i 2 e i 5 miliardi di euro e dismettere almeno 30 miliardi di immobili pubblici, pari all’1% del Pil». Sono i “famosi” 45 miliardi di euro da destinare all’ammortamento del debito sovrano che, secondo il Def, raggiungerà quest’anno il record del 130,4% e diminuirà entro il 2017 al 117%. «Una quota gradita alla Troika che sorveglia l’Italia». Le prime due fasi della “spending review”, si legge sempre nel Def, garantiranno 13 miliardi di “risparmi” entro il 2015. Ma bisogna continuare, altrimenti si ritorna nel “baratro”. Il Pnr stabilisce la regola d’oro che i prossimi interventi dovranno rispettare: «Prime vengono le città metropolitane, poi il taglio delle Provincie che il governo non è riuscito ad imporre – nonostante la retorica del “fate presto!”».
In realtà, aggiunge Ciccarelli, la tosatura di grandi città e Province è solo una goccia nell’oceano dell’austerità. Perché poi viene il piatto forte, anzi fortissimo: «Bisogna tagliare su tutte le amministrazioni locali, già taglieggiate dal “patto di stabilità” interno». Quindi: tagliare i “rami secchi” dei ministeri e degli enti pubblici: «Si preparino gli enti di ricerca, ad esempio». Si annuncia già una stretta sulla spesa per beni e servizi, ma soprattutto un taglio al pubblico impiego. Tra pensionamenti ordinari e in deroga, part-time, mobilità volontaria e obbligatoria di due anni (dopo c’è il licenziamento) Monti prevede di “risparmiare” l’1% della spesa nel 2014 per poi tornare a salire dell’1% dal 2015, ma senza più assumere nessuno. Poi un memoir sull’Imu, già oggetto di contesa elettorale tra Monti e Berlusconi. «L’avvertimento al prossimo governo è chiaro: se non sarà riconfermata la tassa sulla prima casa fino al 2017, saranno necessarie due finanziarie straordinarie da 3,3 miliardi nel 2015, 6,9 nel 2016, 10,7 nel 2017». Dulcis in fundo: «Per rispettare l’austerità saranno necessarie nuove privatizzazioni».
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