L'ingegnere Giuseppe Girardi, direttore di ricerca per l'Enea. Ha partecipato alla realizzazione del progetto per lo stoccaggio di anidride carbonica su cui puntano i minatori in rivolta del Sulcis, in Sardegna. Secondo il governo il progetto è troppo costoso e impraticabile. Ma in questa intervista Girardi spiega perché non è così.
ilmanifesto.it Carlo Lania
«Bisognerebbe capire quali sono le scelte di
politica energetica del governo. Se si vuole puntare sul maggior impiego
di gas naturale e sui rigassificatori - come sembra siano le intenzioni
del ministro Passera - va bene ma non può bastare. Se invece si vuole
puntare sulle nuove tecnologie, applicabili in più settori, magari si
spende di più oggi ma è di sicuro un investimento vincente per il
futuro». Ingegnere, dirigente di ricerca dell'Enea e vicepresidente
della Sodacarbo, società detenuta per metà dall'Enea e per metà dalla
regione Sardegna, Giuseppe Girardi ha partecipato alla realizzazione del
progetto di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica sul quale
puntano i minatori della Nuraxi Figus ma che incontra lo scetticismo del
governo. «Si tratta di realizzare un impianto alimentato a carbone ma
facendo ricorso alla tecnologie più evolute oggi esistenti», spiega.
Vale a dire?
Significa catturare l'anidride carbonica e gli altri gas prima che questi vengano scaricati nell'atmosfera e pomparli con dei compressori nel sottosuolo. In questo modo si elimina uno dei prodotti della combustione dei fossili.
Vale a dire?
Significa catturare l'anidride carbonica e gli altri gas prima che questi vengano scaricati nell'atmosfera e pomparli con dei compressori nel sottosuolo. In questo modo si elimina uno dei prodotti della combustione dei fossili.
Ma l'energia si contrinuerebbe a produrre bruciando carbone.
Esatto. Si avrebbe un impianto come quello di Porto Tolle o di Civitavecchia ma più piccolo: quelli sono di 2.000 megawatt, questo sarebbe appena di 400 che, grazie alle nuove tecnologie applicate, non immetterebbe nell'aria anidride carbonica e ridurrebbe anche le altre emissioni convenzionali, come lo zolfo e il particolato. La miniera servirebbe per produrre il carbone da utilzzare nel nuovo impianto e i minatori potrebbero essere impiegati anche per la fase di stoccaggio dell'anidride carbonica. Si parla spesso di un progetto di riconversione, in realtà di tratta di realizzare un progetto innovativo che richiede il carbone prodotto dalla miniera del Sulcis in quantità adeguata, garantendo quindi l'occupazione dei 500 lavoratori.
Per il governo però questo progetto sarebbe impraticabile.
Mi faccia fare un passo indietro. Oggi la miniera è gestita dalla Carbosulcis e costa alla regione Sardegna circa 30 milioni l'anno. Questo per la bassa produttività, dovuta al carbone che è abbastanza sporco. Il progetto che si vuole lanciare non è competitivo, ma ha lo scopo di provare tecnologie innovative. Questo comporta ovviamente dei costi. Nel mondo, e in particolare in Europa, si è capito che per sviluppare queste tecnologie occorre realizzare degli impianti adeguati i cui costi oggi sono elevati ma in futuro lo saranno molto meno proprio grazie all'esperienza acquisita.
Nel frattempo però paghiamo noi: 200 milioni di euro l'anno per otto anni non è poco.
Queste tecnologie sono allo studio in tutto il mondo. Gli stessi cinesi, che sono i più grossi produttori e utilizzatori di carbone, stanno lanciando progetti simili al nostro. E così negli Stati uniti, Sudafrica, in Australia. In Europa cosa accade? Che esistono dei finanziamenti comunitari che finanziano solo in parte progetti di queste dimensioni. Servono quindi finanziamenti aggiuntivi. E questi vengono presi in piccola parte dalle industrie e in parte più importante dagli stati membri. Lo dico perché in Italia c'è in ballo un altro progetto, che riguarda la centrale di Porto Tolle dell'Enel, candidato a essere uno dei principali progetti dimostrativi europei sulla cattura e stoccaggio della Co2. I costi ammontano a 1 miliardo 100 milioni di euro e verrebbero finanziato dall'Europa, in parte dall'Enel e in parte anche dal governo italiano.
Queste tecnologie sono allo studio in tutto il mondo. Gli stessi cinesi, che sono i più grossi produttori e utilizzatori di carbone, stanno lanciando progetti simili al nostro. E così negli Stati uniti, Sudafrica, in Australia. In Europa cosa accade? Che esistono dei finanziamenti comunitari che finanziano solo in parte progetti di queste dimensioni. Servono quindi finanziamenti aggiuntivi. E questi vengono presi in piccola parte dalle industrie e in parte più importante dagli stati membri. Lo dico perché in Italia c'è in ballo un altro progetto, che riguarda la centrale di Porto Tolle dell'Enel, candidato a essere uno dei principali progetti dimostrativi europei sulla cattura e stoccaggio della Co2. I costi ammontano a 1 miliardo 100 milioni di euro e verrebbero finanziato dall'Europa, in parte dall'Enel e in parte anche dal governo italiano.
Ma chi utilizzerebbe il carbone? Nel Sulcis manca la centrale.
E infatti andrebbe costruita. Il problema è che l'Enel non si è dichiarata interessata alla centrale perché ha le sue strategie che prevedono la riconversione di Porto Tolle. Si tratta quindi di lanciare una gara dove però gli elementi economici devono essere chiari: senza intervento pubblico nessun privato vorrà mai realizzare un impianto del genere.
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