venerdì 21 settembre 2012

Nel paese dei collusi, rischia il carcere chi canta Bella Ciao

Paolo Borsellino
Indagati, inquisiti, processati e condannati dal tribunale di Isernia. Nell’aula gip viene partorito, il bollente 12 luglio, un provvedimento che passa alla storia. Accusati, i sette cittadini-imputati, di collusioni mafiose? Riciclatori incalliti? Maxievasori? No. Nel corso di una manifestazione dell’ottobre 2011, in pieno centro, «gridavano slogan del tipo “Il Molise è antifascista”, intonando la canzone Bella Ciao» (testuale dal dispositivo). I delinquenti hanno però la possibilità di scegliere tra otto giorni di galera e 206 euro di ammenda, oppure una complessiva multa da 1350 euro, pagabile entro 10 giorni presso un comodo ufficio di Equitalia. Sorge a questo punto spontanea la triplice domanda: siamo su scherzi a parte, ai confini della realtà o in un’aula di giustizia di casa nostra?
Il quesito diventa ancor più impellente se ricordiamo che 20 anni fa venivano massacrati due cittadini-magistrati-servitori dello Stato, Falcone e Borsellino. La cui memoria viene proprio oggi calpestata dai tanti – troppi – che depistano, nascondono, mentono, fingono di indagare. Insomma, il peggio del peggio, in un’Italia che dai suoi luridi misteri non riesce mai a tirarsi fuori, quasi una condanna malefica all’abisso. Ma di quale giustizia mai possiamo parlare noi che siamo all’anno zero, toghe capaci di scrivere scempi come quello di Isernia – per fare un caso tra mille – uno Stato che insulta ogni giorno la memoria di Borsellino e Falcone con la totale incapacità (anzi la precisa non-volontà) di fare una buona volta pulizia, perché altrimenti “salta tutto”?
Proprio come verbalizzava anni fa una collaboratrice di giustizia, Giusy Vitale, a proposito del famigerato covo di Totò Riina, “dimenticato” dallo Stato (leggi procura di Palermo e Ros, con gli “assolti” Mori e Ultimo) per due settimane, trovato ritinteggiato di fresco e spariti quei documenti che avrebbero fatto saltare per aria l’Italia. E poi la mancata cattura di Provenzano, le altre cento trattative tra Stato e Mafia, gli “accordi” economici”, i “patti” regolarmente sanciti nel corso degli anni dai tanti lavori pubblici… (e su appalti “bollenti” stavano indagando le due toghe massacrate). Patti e accordi intoccabili, perché Stato e Mafie continuino a camminare d’amore e d’accordo. Altro che Anti-Stato! Lo dice oggi, in una breve intervista che nessuno di sicuro ricorda, un pentito eccellente come Roberto SavianoFrancesco Di Carlo: «Noi eravamo uno Statodentro lo Stato – puntualizza – senza un rapporto organico con le istituzioni saremmo stati una semplice banda di malfattori».
Senza il contributo essenziale, organico, di colletti bianchi – tra cui anche alcuni magistrati – Cosa Nostra non avrebbe mai potuto esistere e piantare solidissime radici. Come del resto ‘ndrangheta e camorra, che vivono di rapporti “fisiologici” con rappresentanti – anche apicali – delle istituzioni: per la serie, il concorso esterno è l’ingrediente base con cui si sostanzia il 416 bis, ossia l’associazione mafiosa. Perché mai – vien da chiedersi – sono sempre rari i casi di colletti bianchi alla sbarra? E’ un caso se tutto si ferma sempre al primo livello delinquenziale? Come mai inchieste al vetriolo davanti a certi “nomi” finiscono in beata prescrizione? Un destino se lo stesso Saviano infarcisce i suoi best seller di boss e sotto boss, raramente di toghe, imprenditori e onorevoli collusi? Va inquisito e processato, invece, chi fa nomi e cognomi, con tanto di fatti e circostanze. Oppure chi canta Bella Ciao.
(Andrea Cinquegrani, “Partigiani in galera e collusi a piede libero”, da “La Voce delle Voci” del 10 settembre 2012).

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