Giulio Marcon è il portavoce della campagna “Sbilanciamoci”, nel corso dell’incontro che organizzano ogni anno e che è considerata la Controcernobbio, a cui partecipano spezzoni importanti del mondo associativo, della parte sana del terzo settore, di chi non si è piegato alla logica del pensiero unico, sono stati elaborati sette punti programmatici da proporre a chi intende sottrarsi al neo liberismo. I referendum lanciati sulla riappropriazione dell’articolo 18 e l’abolizione dell’articolo 8 (governo Berlusconi), l’ampiezza dello schieramento che li promuove, impattano con le proposte della Campagna.
Stefano Galieni
Marcon, si stanno delineando scenari nuovi nella politica e nella società italiana?
C’è una prospettiva positiva. Oggi sono molte di più le persone consapevoli che il neoliberismo, le sue ricette, si sono rivelate inefficaci. Hanno fallito, perché hanno portato solo a recessione, peggioramento della crisi e impoverimento, e ha creato maggiore ingiustizia sociale. Quindi si cominciano a cercare risposte alternative e a delineare proposte che vadano verso una radicale inversione di tendenza. Se cala sempre, anche a causa di queste “riforme” il potere d’acquisto dei salari non si possono continuare a subire le imposizioni della Bce e dell’Europa monetaria.
Fra il cambiamento che si percepisce nel sentire comune, il fatto che non è più sufficiente la logica del capro espiatorio che negli anni passati era rappresentato soprattutto dagli immigrati. Un altro segnale di una società che riacquista un corretto approccio alla realtà?
Esiste un populismo che attecchisce sempre nei periodi di crisi e che un tempo ha visto come proprio obbiettivo principale gli immigrati. Ora si comincia a mettere in discussione il modello di politica economica, c è uno spostamento di attenzione verso le ragioni reali della crisi e ci sono più strumenti per affrontare i veri problemi. Ora è possibile dare vita ad un blocco di alternativa a quello populista e a quello neoliberista, che hanno condizionato scelte, visioni e comportamenti. La vera sinistra e le forze democratiche, devono costruire insieme proposte visione totalmente nuove dell’economia.
Peccato che ancora a sinistra prevalgono tante divisioni Questo è un problema particolare in Italia, Oggi c’è un Pd dove si confrontano diverse opzioni una più sdraiata sulle proposte di Monti e della Bce e una più social democratica. Poi ci sono le altre forze della sinistra che possono svolgere un ruolo. Io credo che i temi del lavoro e del welfare siano determinanti per definire una ipotesi diversa di governo. Importante sapere come uscirà il Pd da questo percorso interno.
Insomma abbiamo speranza di uscire da Monti? Come dicevo c’è in atto un confronto e un conflitto per continuare con le ricette di Monti o con Monti stesso. C’è una pressione fortissima da parte dell’ establishment moderato per evitare cambiamenti , ma c’è invece una spinta per uscirne. Il centro sinistra deve essere attento, magari facendo proprie alcune proposte come quelle che hanno portato Hollande a vincere in Francia, ma occorrono proposte molto più avanzate.
Al di là delle forze politiche, in un contesto europeo esiste il nodo micidiale del Fiscal compact, appoggiato da una maggioranza pressoché totale. Concordo con te, il Fiscal compact è un punto fondamentale. Si tratta di una misura insostenibile e irrealizzabile in Italia, porterebbe se applicato a manovre di 40 o 50 miliardi di euro annui. Lo stesso Monti, glie ne va dato atto ha confermato il peso e l’impatto di questa scelta.
Oltre i referendum sul lavoro si preparano iniziative di coinvolgimento popolare sulle pensioni e per il reddito di cittadinanza. Come Campagna pensate di impegnarvi in questa sfida? Rispetto al reddito di cittadinanza ne abbiamo parlato a Capodarco (nella Controcernobbio) e registriamo un sostegno completo. Non abbiamo ancora affrontato il tema dell’adesione al’iniziativa referendaria e lo faremo nei prossimi giorni ma credo che ci sarà. Questa campagna afferma quello che è un diritto di cittadinanza.
Fra i vostri sette punti e più in generale nei vostri documenti un tema centrale e ricorrente è quello della difesa del welfare, proprio mentre se ne vanno smantellando i pilastri in nome della crisi. Il welfare è decisivo per affermazione i diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione. La realizzazione di un buon sistema di welfare non è un costo ma un investimento, se si è capaci di riassicurare servizi sociali efficienti in tutto il territorio, di realizzare un valido percorso di formazione che sia diffuso ed accessibile a tutti, si fa un grande passo avanti. Un buon welfare è condizione per avere – utilizzo un termine che non mi piace – realmente una economia competitiva. Il welfare è uno strumento di redistribuzione della ricchezza collettiva, impone progressività fiscale. Dove c’è maggiore redistribuzione della ricchezza c’è anche maggiore crescita perché cresce la domanda e aumentano i consumi interni. Altrimenti la recessione è inevitabile.
Non a caso i periodi in cui in Italia c’è stata maggiore prosperità sono stati quelli in cui aumentavano le conquiste nel campo dei diritti sociali... Tutto va certamente contestualizzato ma l'Italia ha avuto un trentennio post bellico, in particolare nei primi anni Settanta in cui grazie ad una buona distribuzione dei redditi e ad interventi forti nelle politiche sociali si è registrato un fortissimo periodo di crescita. È la conferma che questi elementi vanno insieme.
Una ricerca pubblicata dalla Banca svizzera UBS conferma quanto spesso affermato, prendendo l’esempio di alcune città del mondo e due professioni, ingegneri e insegnanti, in Italia si lavora più ore in cambio di un salario molto inferiore alla media. E intanto si insiste sulla presunta “bassa produttività” in Italia che allontana le aziende, Cosa ne pensi? Si tratta di un dato che conferma altre ricerche. Si sapeva chela bassa produttività non è dipendente che in minima parte dal costo del lavoro. Da noi manca ricerca, innovazione, rivedere il sistema d’impresa sono carenti le infrastrutture. Si va sempre a cadere sul costo del lavoro quando questo incide per una minima percentuale sui costi di produzione. E poi non si affrontano, soprattutto ma non solo, nel mezzogiorno le questioni irrisolte della criminalità e della corruzione che incidono in maniera pesantissima sulla possibilità di sviluppo»e sull’indice di produttività.
Sbilanciamoci riafferma l’importanza del taglio immediato alle spese militari, un tema spesso ignorato o rimosso mentre si intravvedono scenari di guerra ulteriori in Medio Oriente. Bisogna rivedere il ruolo delle forze armate e rispettare pienamente l’articolo 11 della Costituzione in cui si afferma che “L’Italia ripudia la guerra”. Le operazioni belliche in atto sono palesemente in contrasto con questa e con molte convenzioni Onu, basti pensare a quanto accade in Afghanistan. E poi operare per un miglior funzionamento ed efficienza di un esercito che oggi è un pachiderma. Abbiamo un esercito di 170 mila persone in cui i comandanti sono più numerosi dei comandati , circa 7000 sono i soldati impegnati in missioni all’estero e non riescono neanche a fare un turn over. Per i bisogni reali si potrebbe rapidamente ridurre l’esercito a 120 mila effettivi, forse a 90 mila, che non dovrebbero operare in missioni di guerra ma solo per la “difesa della patria” e per vere missioni di pace. Solo in questa maniera si risparmierebbero 9 miliardi di euro. Invece il ministro Di Paola sembra andare nella direzione opposta, si continua con l’acquisto dei cacciabombardieri F35 e di fregate, le proposte che noi facciamo vanno nel senso di ridurci ad un sistema di armamenti che abbia esclusivamente compiti istituzionali».
A seguire i 7 punti con cui Sbilanciamoci chiama le forze politiche e sociali a confronto
1. L’Europa. È essenziale che l’Europa fermi la speculazione e ridimensioni la finanza, vietando le operazioni ad alto rischio, tassando le transazioni finanziarie; il problema del debito si può affrontare con la Banca Centrale Europea che assuma il ruolo di prestatore di ultima istanza e introducendo gli eurobond; lo scudo anti-spread introdotto di recente non risolve i problemi ed espone i paesi fragili al ricatto di un Memorandum che renderebbe permanenti le politiche di austerità; per le stesse ragioni va rifiutato il “Fiscal compact” che impone pareggio di bilancio e taglio del debito. L’Europa deve ritrovare la strada della democrazia.
2. La crisi e il lavoro. Per uscire dalla recessione è necessaria una ripresa della domanda con un maggior ruolo della spesa pubblica, da utilizzare per affrontare l’emergenza occupazione. Dobbiamo difendere i lavoratori che rischiano di perdere il posto nelle 161 crisi industriali del paese. E si possono creare 500 mila nuovi posti di lavoro attraverso investimenti sociali e migliaia di “piccole opere” di cui il paese ha bisogno: infrastrutture di base, messa in sicurezza delle scuole, riassetto idrogeologico, tutela del territorio, mobilità ed energia sostenibile, welfare e salute, istruzione e ricerca. Sono necessarie politiche che tutelino i diritti del lavoro e combattano la precarietà. La legge Fornero va rifiutata.
3. La protezione sociale. Chi è colpito dalla crisi e dalla precarietà, chi è senza lavoro deve disporre di una rete di protezione sociale e tutela del reddito, dall’estensione degli ammortizzatori sociali per i lavori atipici, fino all’introduzione del reddito di cittadinanza. Bisogna difendere la spesa sociale dalle riduzioni dei trasferimenti agli enti locali, ristabilendo i fondi per le politiche sociali; bisogna difendere i diritti dei migranti e chiudere i CIE.
4. Giovani, formazione, conoscenza. Abbiamo bisogno di un “piano giovani” che progetti il futuro di questo paese. L’accesso e la diffusione della conoscenza sono la base per offrire ai giovani nuove possibilità di lavori di qualità. Per l’istruzione e la conoscenza serve un miliardo di euro per migliorare la scuola pubblica – tagliando i 700 milioni di sussidi alle scuole private – assicurare l'obbligo formativo, finanziare università e ricerca, estendere le borse di studio per gli studenti universitari, bloccando gli aumenti delle tasse d’iscrizione e le barriere poste dal numero chiuso nell’accesso all’università.
5. Cambiare produzioni. Il vecchio modello di sviluppo non può più funzionare, lo dimostra il tramonto della Fiat e i problemi dell’Ilva. Serve una politica industriale che orienti le scelte pubbliche e private su che cosa e come produrre, riservando incentivi e riduzioni del cuneo fiscale alle imprese che investono e creano occupazione in produzioni di qualità, con nuovi prodotti e servizi, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Va sostenuto l’impegno per la produzione e l’accesso ai beni comuni, il ruolo dell’economia solidale e di relazioni sociali fondate su sobrietà e solidarietà.
6. Tagliare la spesa militare. All’interno della spesa pubblica i tagli vanno fatti sulla spesa militare, non quella sociale: si possono risparmiare 12 miliardi di euro cancellando il programma di acquisizione dei 90 cacciabombardieri F35 e riducendo di un terzo le Forze Armate.
7. Redistribuire il reddito. Nuove risorse per la spesa pubblica si devono trovare tassando la ricchezza finanziaria e immobiliare e riducendo le imposte sul lavoro. I patrimoni superiori al milione di euro vanno tassati con un’aliquota progressiva che parta dal 5 per 1000. Va innalzata al 23% l’imposizione fiscale sulle rendite e bisogna tassare i redditi superiori ai 200 mila euro con l'aliquota del 50%. Serve una lotta sistematica all'evasione fiscale. La legalità è un fondamento essenziale per ricostruire il paese: servono misure contro la corruzione e fermare l’espansione dell’economia criminale.
È questo il “cambio di rotta” che Sbilanciamoci! chiede alla politica e all’economia italiana. È in questo modo che si può uscire dal paradigma neoliberista e dalle politiche di austerità. È in questo modo che si può estendere la partecipazione politica e rinnovare la democrazia. È questa l’agenda che deve essere al centro della discussione politica nelle prossime elezioni italiane.
Capodarco, Controcernobbio di Sbilanciamoci!
C’è una prospettiva positiva. Oggi sono molte di più le persone consapevoli che il neoliberismo, le sue ricette, si sono rivelate inefficaci. Hanno fallito, perché hanno portato solo a recessione, peggioramento della crisi e impoverimento, e ha creato maggiore ingiustizia sociale. Quindi si cominciano a cercare risposte alternative e a delineare proposte che vadano verso una radicale inversione di tendenza. Se cala sempre, anche a causa di queste “riforme” il potere d’acquisto dei salari non si possono continuare a subire le imposizioni della Bce e dell’Europa monetaria.
Fra il cambiamento che si percepisce nel sentire comune, il fatto che non è più sufficiente la logica del capro espiatorio che negli anni passati era rappresentato soprattutto dagli immigrati. Un altro segnale di una società che riacquista un corretto approccio alla realtà?
Esiste un populismo che attecchisce sempre nei periodi di crisi e che un tempo ha visto come proprio obbiettivo principale gli immigrati. Ora si comincia a mettere in discussione il modello di politica economica, c è uno spostamento di attenzione verso le ragioni reali della crisi e ci sono più strumenti per affrontare i veri problemi. Ora è possibile dare vita ad un blocco di alternativa a quello populista e a quello neoliberista, che hanno condizionato scelte, visioni e comportamenti. La vera sinistra e le forze democratiche, devono costruire insieme proposte visione totalmente nuove dell’economia.
Peccato che ancora a sinistra prevalgono tante divisioni Questo è un problema particolare in Italia, Oggi c’è un Pd dove si confrontano diverse opzioni una più sdraiata sulle proposte di Monti e della Bce e una più social democratica. Poi ci sono le altre forze della sinistra che possono svolgere un ruolo. Io credo che i temi del lavoro e del welfare siano determinanti per definire una ipotesi diversa di governo. Importante sapere come uscirà il Pd da questo percorso interno.
Insomma abbiamo speranza di uscire da Monti? Come dicevo c’è in atto un confronto e un conflitto per continuare con le ricette di Monti o con Monti stesso. C’è una pressione fortissima da parte dell’ establishment moderato per evitare cambiamenti , ma c’è invece una spinta per uscirne. Il centro sinistra deve essere attento, magari facendo proprie alcune proposte come quelle che hanno portato Hollande a vincere in Francia, ma occorrono proposte molto più avanzate.
Al di là delle forze politiche, in un contesto europeo esiste il nodo micidiale del Fiscal compact, appoggiato da una maggioranza pressoché totale. Concordo con te, il Fiscal compact è un punto fondamentale. Si tratta di una misura insostenibile e irrealizzabile in Italia, porterebbe se applicato a manovre di 40 o 50 miliardi di euro annui. Lo stesso Monti, glie ne va dato atto ha confermato il peso e l’impatto di questa scelta.
Oltre i referendum sul lavoro si preparano iniziative di coinvolgimento popolare sulle pensioni e per il reddito di cittadinanza. Come Campagna pensate di impegnarvi in questa sfida? Rispetto al reddito di cittadinanza ne abbiamo parlato a Capodarco (nella Controcernobbio) e registriamo un sostegno completo. Non abbiamo ancora affrontato il tema dell’adesione al’iniziativa referendaria e lo faremo nei prossimi giorni ma credo che ci sarà. Questa campagna afferma quello che è un diritto di cittadinanza.
Fra i vostri sette punti e più in generale nei vostri documenti un tema centrale e ricorrente è quello della difesa del welfare, proprio mentre se ne vanno smantellando i pilastri in nome della crisi. Il welfare è decisivo per affermazione i diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione. La realizzazione di un buon sistema di welfare non è un costo ma un investimento, se si è capaci di riassicurare servizi sociali efficienti in tutto il territorio, di realizzare un valido percorso di formazione che sia diffuso ed accessibile a tutti, si fa un grande passo avanti. Un buon welfare è condizione per avere – utilizzo un termine che non mi piace – realmente una economia competitiva. Il welfare è uno strumento di redistribuzione della ricchezza collettiva, impone progressività fiscale. Dove c’è maggiore redistribuzione della ricchezza c’è anche maggiore crescita perché cresce la domanda e aumentano i consumi interni. Altrimenti la recessione è inevitabile.
Non a caso i periodi in cui in Italia c’è stata maggiore prosperità sono stati quelli in cui aumentavano le conquiste nel campo dei diritti sociali... Tutto va certamente contestualizzato ma l'Italia ha avuto un trentennio post bellico, in particolare nei primi anni Settanta in cui grazie ad una buona distribuzione dei redditi e ad interventi forti nelle politiche sociali si è registrato un fortissimo periodo di crescita. È la conferma che questi elementi vanno insieme.
Una ricerca pubblicata dalla Banca svizzera UBS conferma quanto spesso affermato, prendendo l’esempio di alcune città del mondo e due professioni, ingegneri e insegnanti, in Italia si lavora più ore in cambio di un salario molto inferiore alla media. E intanto si insiste sulla presunta “bassa produttività” in Italia che allontana le aziende, Cosa ne pensi? Si tratta di un dato che conferma altre ricerche. Si sapeva chela bassa produttività non è dipendente che in minima parte dal costo del lavoro. Da noi manca ricerca, innovazione, rivedere il sistema d’impresa sono carenti le infrastrutture. Si va sempre a cadere sul costo del lavoro quando questo incide per una minima percentuale sui costi di produzione. E poi non si affrontano, soprattutto ma non solo, nel mezzogiorno le questioni irrisolte della criminalità e della corruzione che incidono in maniera pesantissima sulla possibilità di sviluppo»e sull’indice di produttività.
Sbilanciamoci riafferma l’importanza del taglio immediato alle spese militari, un tema spesso ignorato o rimosso mentre si intravvedono scenari di guerra ulteriori in Medio Oriente. Bisogna rivedere il ruolo delle forze armate e rispettare pienamente l’articolo 11 della Costituzione in cui si afferma che “L’Italia ripudia la guerra”. Le operazioni belliche in atto sono palesemente in contrasto con questa e con molte convenzioni Onu, basti pensare a quanto accade in Afghanistan. E poi operare per un miglior funzionamento ed efficienza di un esercito che oggi è un pachiderma. Abbiamo un esercito di 170 mila persone in cui i comandanti sono più numerosi dei comandati , circa 7000 sono i soldati impegnati in missioni all’estero e non riescono neanche a fare un turn over. Per i bisogni reali si potrebbe rapidamente ridurre l’esercito a 120 mila effettivi, forse a 90 mila, che non dovrebbero operare in missioni di guerra ma solo per la “difesa della patria” e per vere missioni di pace. Solo in questa maniera si risparmierebbero 9 miliardi di euro. Invece il ministro Di Paola sembra andare nella direzione opposta, si continua con l’acquisto dei cacciabombardieri F35 e di fregate, le proposte che noi facciamo vanno nel senso di ridurci ad un sistema di armamenti che abbia esclusivamente compiti istituzionali».
A seguire i 7 punti con cui Sbilanciamoci chiama le forze politiche e sociali a confronto
1. L’Europa. È essenziale che l’Europa fermi la speculazione e ridimensioni la finanza, vietando le operazioni ad alto rischio, tassando le transazioni finanziarie; il problema del debito si può affrontare con la Banca Centrale Europea che assuma il ruolo di prestatore di ultima istanza e introducendo gli eurobond; lo scudo anti-spread introdotto di recente non risolve i problemi ed espone i paesi fragili al ricatto di un Memorandum che renderebbe permanenti le politiche di austerità; per le stesse ragioni va rifiutato il “Fiscal compact” che impone pareggio di bilancio e taglio del debito. L’Europa deve ritrovare la strada della democrazia.
2. La crisi e il lavoro. Per uscire dalla recessione è necessaria una ripresa della domanda con un maggior ruolo della spesa pubblica, da utilizzare per affrontare l’emergenza occupazione. Dobbiamo difendere i lavoratori che rischiano di perdere il posto nelle 161 crisi industriali del paese. E si possono creare 500 mila nuovi posti di lavoro attraverso investimenti sociali e migliaia di “piccole opere” di cui il paese ha bisogno: infrastrutture di base, messa in sicurezza delle scuole, riassetto idrogeologico, tutela del territorio, mobilità ed energia sostenibile, welfare e salute, istruzione e ricerca. Sono necessarie politiche che tutelino i diritti del lavoro e combattano la precarietà. La legge Fornero va rifiutata.
3. La protezione sociale. Chi è colpito dalla crisi e dalla precarietà, chi è senza lavoro deve disporre di una rete di protezione sociale e tutela del reddito, dall’estensione degli ammortizzatori sociali per i lavori atipici, fino all’introduzione del reddito di cittadinanza. Bisogna difendere la spesa sociale dalle riduzioni dei trasferimenti agli enti locali, ristabilendo i fondi per le politiche sociali; bisogna difendere i diritti dei migranti e chiudere i CIE.
4. Giovani, formazione, conoscenza. Abbiamo bisogno di un “piano giovani” che progetti il futuro di questo paese. L’accesso e la diffusione della conoscenza sono la base per offrire ai giovani nuove possibilità di lavori di qualità. Per l’istruzione e la conoscenza serve un miliardo di euro per migliorare la scuola pubblica – tagliando i 700 milioni di sussidi alle scuole private – assicurare l'obbligo formativo, finanziare università e ricerca, estendere le borse di studio per gli studenti universitari, bloccando gli aumenti delle tasse d’iscrizione e le barriere poste dal numero chiuso nell’accesso all’università.
5. Cambiare produzioni. Il vecchio modello di sviluppo non può più funzionare, lo dimostra il tramonto della Fiat e i problemi dell’Ilva. Serve una politica industriale che orienti le scelte pubbliche e private su che cosa e come produrre, riservando incentivi e riduzioni del cuneo fiscale alle imprese che investono e creano occupazione in produzioni di qualità, con nuovi prodotti e servizi, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Va sostenuto l’impegno per la produzione e l’accesso ai beni comuni, il ruolo dell’economia solidale e di relazioni sociali fondate su sobrietà e solidarietà.
6. Tagliare la spesa militare. All’interno della spesa pubblica i tagli vanno fatti sulla spesa militare, non quella sociale: si possono risparmiare 12 miliardi di euro cancellando il programma di acquisizione dei 90 cacciabombardieri F35 e riducendo di un terzo le Forze Armate.
7. Redistribuire il reddito. Nuove risorse per la spesa pubblica si devono trovare tassando la ricchezza finanziaria e immobiliare e riducendo le imposte sul lavoro. I patrimoni superiori al milione di euro vanno tassati con un’aliquota progressiva che parta dal 5 per 1000. Va innalzata al 23% l’imposizione fiscale sulle rendite e bisogna tassare i redditi superiori ai 200 mila euro con l'aliquota del 50%. Serve una lotta sistematica all'evasione fiscale. La legalità è un fondamento essenziale per ricostruire il paese: servono misure contro la corruzione e fermare l’espansione dell’economia criminale.
È questo il “cambio di rotta” che Sbilanciamoci! chiede alla politica e all’economia italiana. È in questo modo che si può uscire dal paradigma neoliberista e dalle politiche di austerità. È in questo modo che si può estendere la partecipazione politica e rinnovare la democrazia. È questa l’agenda che deve essere al centro della discussione politica nelle prossime elezioni italiane.
Capodarco, Controcernobbio di Sbilanciamoci!
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