L'assalto all'ambasciata Usa ha fatto detonare l'incerta miscela esplosiva della Libia post-gheddafiana. Tutte le milizie si combattono, con l'esercito "regolare" che dà l'imprimatur a chi si allea con lui. È caos a Bengasi per gli scontri fra cittadini armati, milizie salafite anti-governo e milizie filo-governative. Venerdì sera migliaia di persone hanno manifestato, con il sostegno delle autorit
, contro le brigate dei fondamentalisti e hanno cacciato i salafiti di Ansar al-Sharia dalla loro caserma in centro. Poi però i manifestanti hanno dato l'assalto alle caserme di altri gruppi islamici fedeli al governo.
Nell'attacco a una di queste ci sono stati 4 morti e 40 feriti. Gli scontri sono cominciati al termine di una manifestazione che ha riunito 30mila persone per protestare contro le milizie armate e rendere omaggio all'ambasciatore americano Chris Stevens, rimasto ucciso nell'attacco dell'11 settembre insieme con un altro funzionario Usa, due marines e alcuni libici.
Nell'attacco a una di queste ci sono stati 4 morti e 40 feriti. Gli scontri sono cominciati al termine di una manifestazione che ha riunito 30mila persone per protestare contro le milizie armate e rendere omaggio all'ambasciatore americano Chris Stevens, rimasto ucciso nell'attacco dell'11 settembre insieme con un altro funzionario Usa, due marines e alcuni libici.
Il cosiddetto «Giorno del salvataggio di Bengasi», come è stata definita la manifestazione, era stato organizzato con l'appoggio delle autorità per denunciare l'estremismo e la violenza e per incoraggiare il governo a sciogliere i gruppi armati che si sono rifiutati di consegnare le armi. Centinaia di manifestanti hanno prima sloggiato i salafiti da un edificio della sicurezza che avevano occupato. Poi hanno dato l'assalto in centro al quartier generale della milizia islamica di Ansar al-Sharia, sospettata di essere dietro l'attentato al consolato.
I militanti salafiti hanno sparato in aria, poi sono fuggiti. Al grido di «il sangue dei martiri non può essere versato invano», i manifestanti sono entrati nella caserma occupata negli ultimi mesi dagli islamici, che è stata saccheggiata e bruciata. Non ci sono stati scontri diretti nè feriti.
L'attacco alla sede dei salafiti stato coordinato da polizia e truppe governative. «Stiamo prendendo il controllo della sede della battaglia. Questo è stato fatto su richiesta del popolo, che ha chiesto che le milizie lascino questo posto», ha detto il colonnello dell'esercito Naji al-Shuaibi, al comando delle operazioni. A questo punto per la situazione sfuggita di mano.
I manifestanti armati si sono diretti verso le caserme di altre milizie islamiche, queste però fedeli al governo. La folla inferocita non ha fatto differenza. La 'Brigata 17 febbraio' e la milizia 'Scudo della Libia' sono state cacciate dalle loro sedi senza tanti problemi. Quando però i manifestanti sono arrivati alla caserma di Raf Allah al-Sahati, a 15 km dal centro, si sono trovati di fronte una furiosa resistenza. La battaglia andata avanti per due ore, finché gli islamici si sono ritirati. Sul campo sono rimasti 4 morti e una quarantina di feriti.
La caserma poi stata saccheggiata di armi e munizioni. Le autorità locali hanno subito messo in guardia contro il «caos» e hanno chiesto ai manifestanti di distinguere fra le milizie «illegittime» e quelle sotto l'autorità dello stato. Il presidente dell'assemblea nazionale libica, Mohamed al-Megaryef si è congratulato con la popolazione per la sua reazione contro le «brigate al di fuori della legalità», ma ha chiesto ai manifestanti di ritirarsi immediatamente dalle sedi delle brigate controllate dal ministero della Difesa. Il ministro dell'Interno, Fawzi Abdelali, ha parlato di persone «infiltrate fra i manifestanti». Alcuni di questi infiltrati a suo dire farebbero parte dei servizi segreti e vorrebbero «il caos e la sedizione».
Nessun commento:
Posta un commento