Il presidente degli Stati Uniti che ha varato più provvedimenti per estendere il welfare nell’ultimo mezzo secolo? Carter? Clinton? Obama? Assolutamente no, il primato spetta a Richard Nixon. Impossibile, vi direte, il campione dell’anti-comunismo, l’uomo che la sinistra americana denunciò come una seria minaccia per la democrazia e che alimentò il timore di un ritorno agli anni più bui del maccartismo!? Eppure è così. Lo argomenta con ampiezza di dati storici un articolo del “New York Times” che cita, in particolare, l’aumento dei benefit per la Sicurezza Sociale, l’introduzione di una tassazione minima per i ricchi e di un reddito minimo garantito per i poveri. Se Obama, già accusato di socialismo per i timidi tentativi di riforma del sistema sanitario, avesse fatto mosse del genere, i Repubblicani avrebbero gridato al colpo di stato sovietico.
Il “Times” parte da questa considerazione per mettere in evidenza in quale misura i conservatori d’Oltreoceano abbiano spostato a destra la barra del timone, fino a trasformarsi, in pochi decenni, da formazione moderata a forza di destra radicale che, alle tradizionali posizioni contrarie all’estensione dei diritti civili, ha progressivamente affiancato un vero e proprio fondamentalismo liberista. L’intenzione del “Times”, da sempre filo democratico, è trasparente e dettata dall’imminente scadenza elettorale: difendere Obama dalle accuse della controparte mettendo nel contempo in luce l’involuzione ideologica subita da quest’ultima.
Esaminando l’articolo in questione dal punto di vista delle sinistre radicali europee, tuttavia, emergono altre considerazioni: lo “score” progressista (perlomeno sul terreno della politica economica) che Nixon realizza ai danni dei vari democratici, da Carter, Clinton e Obama, è la migliore conferma di quanto si siano spostati a destra non tanto i Repubblicani, il che è scontato, ma i Democratici. Come hanno infatti evidenziato numerosi autori angloamericani, la svolta liberal liberista è sì partita da Reagan e Thatcher, ma ha raccolto significativi consensi (attraverso sgravi fiscali ai ricchi, privatizzazioni, deregulation finanziaria, tagli al welfare, ecc.) dai teorici della Terza Via, non solo negli Stati Uniti di Clinton e nell’Inghilterra di Blair, ma anche nell’Europa delle socialdemocrazie (Zapatero su tutti).
Per venire alle cose di casa nostra, l’articolo del “Times” dovrebbe suonare sinistro anche alle orecchie degli elettori italiani, i quali vedono il Partito democratico (nome cui le considerazioni appena fatte attribuiscono un’aura tutt’altro che rassicurante) impegnato a sponsorizzare la politica forcaiola del governo Monti, e a farsi garante della sua prosecuzione anche in caso di vittoria elettorale delle sinistre, e della nascita di un governo politico a guida Pd. Lo slittamento parallelo verso destra di conservatori e progressisti, in atto dalla fine degli anni 70, non deve indurci a pensare che, restando invariata la distanza reciproca, i due campi rappresentino ancora opzioni alternative: la verità è che, come argomentava qualche anno fa Marco Revelli, oggi ci troviamo di fronte a due destre per cui, a chi continua a considerarsi di sinistra, spetta il duro compito di ricostruire da zero il proprio campo.
(Carlo Formenti, “Nixon? Più socialista di Obama”, da “Micromega” del 9 settembre 2012).
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