mercoledì 5 settembre 2012

Onore al criminale Graziani, ma in Italia non è scandalo

Rodolfo Graziani
Fa scandalo ovunque, tranne che in Italia, la notizia del monumento dedicato al criminale di guerra Rodolfo Graziani, il “macellaio d’Etiopia” che sperimentò i gas contro gli africani e finì la sua brillante carriera facendo fucilare partigiani come ministro della difesa della Repubblica di Salò. Dal “New York Times” alla “Bbc”, fino a “El Paìs”, la stampa internazionale oscilla tra indignazione e incredulità l’inaugurazione dell’11 agosto ad Affile, non lontano da Roma: il Comune, da cui proviene il ramo materno della famiglia di Graziani, ha dedicato al capo dell’esercito coloniale di Mussolini una sorta di sacrario della memoria. «Stupisce e preoccupa – scrive Antonio Maria Morone – lo scarso interesse dedicato alla vicenda dalla stampa nazionale, che ha relegato la notizia a una posizione marginale, soffermandosi più sul possibile sperpero di fondi pubblici in tempi di crisi economica per un manufatto che sarebbe costato 160.000 euro».
Nessuno, aggiunge Morone su “Linkiesta”, si interroga seriamente sull’ineludibile portata politico-culturale di una simile iniziativa, che sembra confermare il rapporto controverso dell’Italia col suo passato coloniale: «Se infatti Graziani venne condannato per i crimini perpetrati contro i partigiani italiani, fu in colonia che commise una sequela infinita di atrocità contro patrioti libici ed etiopici in particolare». In Libia Graziani portò a termine la “pacificazione” della colonia nel 1931 al prezzo di massacri, torture, fucilazioni e l’impiego di armi chimiche, oltre alla deportazione di 100.000 civili dalla Cirenaica ai campi di concentramento costruiti nella regione desertica della Sirte, da dove molti non fecero mai ritorno. Al tempo si parlò di sterminio, poi c’è chi ha utilizzato il termine genocidio.

Trasferitosi nel Corno d’Africa ai tempi della seconda guerra italo-etiopica che culminò con la proclamazione dell’Impero fascista e la costituzione dell’Africa Orientale Italiana nel 1936, Graziani pianificò l’utilizzo estensivo di armi chimiche proibite, come le bombe all’iprite, sganciate dal cielo contro i patrioti etiopici e, una volta divenuto secondo viceré d’Etiopia, lasciò che, a seguito del fallito attentato contro la sua persona il 19 febbraio 1937, i fascisti per tre giorni si lasciassero andare a una violenza collettiva senza freni: furono colpiti mortalmente i giovani patrioti dei Leoni Neri, l’élite istruita della società etiopica e il suo clero nel vano tentativo di azzerare la resistenza al dominio italiano. Non a caso, aggiunge Morone, fu il governo etiopico, dopo la liberazione nel 1941, a inserire il nome di Graziani Etiopi massacrati dalle truppe di Grazianinella lista dei dieci criminali di guerra italiani indirizzata alla War Crimes Commission delle Nazioni Unite, senza però ottenerne mai l’estradizione e l’incriminazione. L’Italia processò Graziani per i crimini contro la Resistenza partigiana, ma non per i massacri in Africa.
Questa la figura a cui la giunta laziale di centrodestra rende omaggio, presentandola sul proprio sito web come uno dei “personaggi illustri di Affile”. La nota biografica online dipinge Graziani come colui che, “interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose, seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la patria attraverso l’inflessibilerigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato”. Amaro il commento di Morone: «Non rimane che constatare come decenni di ricerca storica sul fascismo e sul colonialismo italiano non abbiano che scalfito il mito degli “italiani brava gente”». A una mancata decolonizzazione della memoria, aggiunge Morone, hanno contribuito «rimozioni istituzionali e silenziLa "pacificazione" della Libia condotta da Grazianiautorevoli», se si considera che «fino a tutti gli anni Settanta continuarono ad insegnare nell’Accademia italiana docenti di storia coloniale formatisi sotto il dominio fascista o i loro allievi».
Anche se le ricerche storiche hanno ormai indagato senza compiacimenti e compromissioni «quel sistema di sfruttamento, razzismo e violenza che fu il colonialismo italiano», evidentemente i risultati non si sono riversati nella nostra società. L’apologia del criminale Graziani, osserva “Linkiesta”, fa seguito al silenzio-assenso con cui Roma partecipò nel 2011 all’aggressione contro Gheddafi, «proprio in quel Paese dove l’Italia e Graziani commisero alcuni dei loro crimini peggiori, e per di più nel centenario della prima guerra di Libia». Quella che, dopo aver impegnato il Regno d’Italia contro l’allora Impero Ottomano tra il 1911 e il 1912, continuò contro la resistenza libica fino al 1931, divenendo la più lunga guerra della nostra storia unitaria. «Se siamo tornati senza complessi a bombardare l’ex colonia, ridotta per “ragioni umanitarie” a un Iraq qualunque – conclude Morone – non ci si può stupire troppo per quel che è accaduto ad Affile».

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