‘Dove tutto è visto come puramente relativo e dissacrabile, ha senso assolutizzare il Pil, le cifre aziendali, le pensioni, le tasse, i conti della spesa, la crescita di merci che non portano per niente a diminuzioni dell’infelicità o a più ricchezza nei rapporti umani? Emendate il linguaggio e avrete trovato una chiave. Liberate la mente da una formica di falso e vi toglierete dallo stomaco il peso di un elefante’ (Guido Ceronetti).
Un popolo e la sua storia possono
essere compresi anche attraverso il proprio linguaggio: l’italiano
come mezzo di comunicazione e non solo, ovvero oggetto ,nella sua
enorme complessità organica, di studi storici e sociologici.
Sembrerà un ovvietà osservare il linguaggio come specchio della
vita cittadina,regionale e nazionale, ma a volte queste ovvietà
diventano macigni che ci portiamo ‘sulle labbra’ e che entrano a
far parte della nostra vita incondizionatamente. E’ il caso di
Taranto che mi porta a riflettere sulla sua storia linguistica,sulla
sua letteratura contemporanea,su quanto,insomma,la fabbrica incide
sulla vita dell’individuo. Se vi state chiedendo quale senso abbia
riflettere sulla lingua,quando c’è gente che muore e gente che
rischia il posto di lavoro, sappiate che determinate parole con i
propri significati e significanti hanno portato al bisogno di
manifestare e,dunque,comunicare il proprio disagio in modo così
forte e incisivo.
Dopo l’unità d’Italia il processo
di unificazione linguistico avvenne grazie a determinati punti come
l’azione unificante della burocrazia e dell’esercito,l’azione
dei giornali periodici e quotidiani, l’emigrazione, e forse più
importante nel nostro caso, l’aggregazione attorno a poli urbani
grazie all’industrializzazione. D’altronde anche un intellettuale
come Pasolini scrive negli anni del benessere italiano del dopoguerra
che lì dove nascevano fabbriche,nasceva il ‘nuovo italiano’, con
influenza maggiore ,sul linguaggio, della tecnica rispetto a quella
della letteratura.
Dunque, non è un caso se termini come
: benzopirene, diossina, pm10, carbone coke, cokeria, altoforno,
ciminiera, area a caldo,minerale etc. e come : neoplasia,carcinoma,linfoma,adenocarcinoma, neuroblastoma, oncologia,
chemioterapia etc. facciano parte del parlato comune della
cittadinanza tarantina,termini che ovviamente riscontreremo in modo
meno frequente in realtà meno industrializzate. La fabbrica come
unico polo economico e lavorativo ha intaccato il vocabolario,la
cultura e l’esistenza tarantina tanto da rendere difficile,se non
in alcuni impossibile, la possibilità di pensare ad un futuro senza
le ciminiere. E’ lo stesso identico concetto della catena di
montaggio che incombe sull’esistenza dell’operaio. Nell’ultimo
decennio si sono susseguite anno dopo anno anche pubblicazioni di
romanzi i quali non potevano fare a meno di dislocare la realtà
tarantina dall’acciaio, possiamo ricordare titoli come : Il
Cadetto, Cuore di cuoio, Vicolo dell’acciaio, Invisibili.
Vivere e morire all’Ilva di Taranto, Adesso tienimi, Il mare che
non c’è, Il Paese delle spose infelici etc. La fabbrica non
poteva che intaccare le arti,dalla letteratura, come abbiamo visto,
alla fotografia, persino all’iconografia ecclesiastica.
Oggi però osserviamo che i significati
di tutte queste parole che abbiamo elencato accompagnano conseguenze
che creano disagio sociale,e da piccole denuncie quotidiane,il
vocabolario tarantino si arricchisce di termini nuovi come :
alternativa, reddito, occupazione, rivoluzione. Il
bisogno estremo di sentirsi in diritto di ottenere un futuro diverso
da quello della mono economia si sgancia dal passato e punta a
vocaboli che sono il contrario del grigiore espresso dai termini
tecnici della fabbrica,la volontà popolare di riappropriarsi di una
cultura di mare, che vinca l’obsoleta imposizione ottocentesca di
un progresso che non è più tale. Taranto è pronta a riscrivere la
sua storia della lingua, che ora ,ormai, è immagine sbiadita di un
linguaggio passato, ma soprattutto è pronta a denunciare e a gridare
ciò che non vuole più.
‘Dove tutto è visto come puramente
relativo e dissacrabile, ha senso assolutizzare il Pil, le cifre
aziendali, le pensioni, le tasse, i conti della spesa, la crescita di
merci che non portano per niente a diminuzioni dell’infelicità o a
più ricchezza nei rapporti umani? Emendate il linguaggio e avrete
trovato una chiave. Liberate la mente da una formica di falso e vi
toglierete dallo stomaco il peso di un elefante’ (Guido Ceronetti).
*attivista Occupy ArcheoTower
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