Il dibattito sulla Stagnazione Secolare e i suoi limiti.
Politiche fiscali | Nei modelli
economici della teoria dominante non è concepibile che politiche
fiscali coraggiose guidino la crescita.
Bisogna guardare ai modelli
post-keynesiani.
Un recente dibattito tra Larry Summers e Joseph Stiglitz apparso su Project Syndicate
ha riacceso i riflettori sulla ‘teoria della Stagnazione Secolare’ (in
seguito SS); successivamente, Paul Krugman ha preso parte alla diatriba
con un intervento sul suo blog sul New York Times.
Come si vedrà dalla ricostruzione del dibattito, a confronto vi sono la
posizione di Stiglitz, che guarda alla stagnazione come risultato di
una inadeguata politica fiscale espansiva, e quella di Summers e Krugman,
i quali da un lato ritengono necessario uno stimolo fiscale in
situazioni di trappola della liquidità, ma dall’altro giudicano la
polemica di Stiglitz priva di contenuti realmente nuovi rispetto a
quanto da loro proposto.
1. Il dibattito
Nel dibattito menzionato in apertura
Stiglitz ha criticato la lettura data dai teorici della SS della non
soddisfacente ripresa dell’economia US nel periodo post-Grande
Recessione del 2008, ossia che i bassi tassi di crescita testimoniati
dalla economia americana sarebbero una situazione destinata a permanere.
Stiglitz argomenta come la lenta ripresa sia stata dovuta a uno stimolo
fiscale (rappresentato dagli 800 miliardi di dollari del piano Obama)
insufficiente, non quindi a una inerente tendenza alla stagnazione. La
SS sarebbe perciò sostanzialmente una scusa per coprire la
responsabilità attribuibile alle insufficienti politiche di domanda del
Governo. Nelle sue parole:
“L’improvviso incremento del deficit
statunitense, da circa il 3% a quasi il 6% del PIL, dovuto a un mal
congegnato sistema di tassazione regressivo e a un aumento della spesa
bipartisan, ha spinto la crescita intorno al 4% e portato la
disoccupazione al livello più basso degli ultimi 18 anni. Queste misure
possono essere mal concepite, ma dimostrano che con un sufficiente
stimolo fiscale, il pieno impiego può essere raggiunto, anche se i tassi
di interesse salgono ben al di sopra dello zero.”
Summers ha risposto a tali argomentazioni sostenendo che la teoria della Stagnazione Secolare non ha come idea di fondo la inevitabilità di una persistente crisi,
ma al contrario cerca di porre l’attenzione sulle politiche fiscali
come soluzione principale da adottare. A suo dire, seppur lo stimolo
fiscale non sia stato pienamente soddisfacente, esso era il massimo
ottenibile all’epoca date le condizioni politiche. Concludendo la
risposta a Stiglitz, Summers tenta una sintesi tra le due posizioni,
puntualizzando però circa l’affidabilità della propria impostazione
teorica:
“Anche se siamo in disaccordo sui
passati giudizi di stampo politico e sull’uso del termine “stagnazione
secolare”, sono lieto che un eminente teorico come Stiglitz concordi con
ciò che intendevo enfatizzare con la riproposizione di quella teoria:
non possiamo contare su politiche del tasso d’interesse per assicurare
il pieno impiego. Dobbiamo sforzarci di pensare a politiche fiscali e
misure strutturali per supportare una sostenuta e adeguata domanda
aggregata.”
Krugman, che già in un post datato 2013 sul suo blog
‘rimproverava’ a Summers solamente il mancato utilizzo del termine
‘trappola della liquidità’, nel suo intervento di commento si è
schierato dalla sua parte. Sarebbe meglio, osserva il Premio Nobel 2008,
non prolungare un dibattito nato da una mera incomprensione; anche a
suo giudizio, infatti, la teoria della Stagnazione Secolare ha come
conclusione fondamentale l’invito a implementare politiche fiscali
espansive:
“Stagnazione Secolare significa che
situazioni come quella del 2008-16, nella quale la politica monetaria da
sola non può ripristinare il pieno impiego, dovrebbero essere viste
come molto probabili e forse come la norma. Non significa che nessuna
politica possa promuovere la crescita e l’occupazione.
Al contrario, è una giustificazione per un maggiore attivismo,
specialmente sul fronte fiscale, non minore – il che è esattamente ciò
che Larry ha argomentato.”
Cerchiamo ora, una volta riportate le
opinioni di questi tre economisti, [1] di capire se effettivamente la
posizione di Stiglitz sia derubricabile a semplice deviazione non
necessaria dalla ‘ortodossia’ della Stagnazione Secolare, e se quindi
essa sia riassorbibile interamente in tale contesto, come gli altri due
autori sostengono.
2.L’approdo alla teoria della Stagnazione Secolare
Ai fini della collocazione del recente
dibattito in un quadro più ampio, si cercherà qui di offrire qualche
spunto sulla letteratura che ha preceduto la riproposizione della teoria
della Stagnazione Secolare. Già nell’articolo di Summers e Delong (2012
pp. 244 – 253) è possibile rinvenire una delle intuizioni che sono poi
confluite nella SS. In questo caso specifico, visto che il pezzo verte
sulla descrizione di quali effetti abbia una politica fiscale espansiva
all’interno di una economia in fase di depressione, è cruciale segnalare
che i risultati che vedono il valore del moltiplicatore fiscale essere
più elevato che in circostanze ‘normali’ dipendono in particolar modo
dal fatto che la politica monetaria è supposta aver già raggiunto lo
zero lower bound.
espansione non zero lower
espansione zero lower
Figura 1 – La prima il caso di una espansione fiscale con tasso di interesse non in zero lower bound, la seconda il caso di espansione fiscale con tasso di interesse allo zero lower bound; fonte: DeLong, Summers (2012, pp. 249- 250)
Dato che l’espansione fiscale in questo
caso particolare non incontra l’ostacolo costituito dalla pressione che
si avrebbe normalmente sul tasso di interesse, l’impatto della misura di
politica economica è considerevolmente maggiore di quello che si
otterrebbe altrimenti (fig. 1). [2] Infatti, vediamo come nei due
grafici vi sia rappresentata la relazione inversa tra produzione e tasso
di interesse tipica dell’economia neoclassica. Nel caso ‘normale’ una
espansione fiscale si scarica in un aumento del tasso di interesse visto
che l’economia è in prossimità del pieno impiego, mentre nel caso ‘zero
lower bound’ il vincolo sul tasso di interesse (che resta costante)
consente alla espansione fiscale di avere un notevole impatto positivo
sulla produzione. Pur arrivando a risultati particolarmente
incoraggianti riguardo l’utilizzo di politiche fiscali espansive, gli
autori sottolineano come in linea generale
“al di fuori di straordinari periodi
di recessione durante i quali lo zero lower bound vincola il tasso
d’interesse, l’ipotesi giusta da adottare è probabilmente un
moltiplicatore fiscale di piccola entità” (Op. cit., p. 263)
Lo stesso tipo di risultato emerge
dall’analisi di Eggertsson e Krugman (2012), i quali studiano il caso di
una economia nella quale vi sia la necessità di abbassare il tasso di
interesse a causa della stagnazione indotta da un collasso del mercato
finanziario, il quale rende molto più stringente il vincolo
all’indebitamento privato delle famiglie (come negli US post-2008).
Ebbene, anche qui gli autori arrivano a concludere che una limitata e
temporanea politica fiscale espansiva sia una soluzione efficace nel
contrastare la stagnazione:
“Il proposito dell’espansione
fiscale è sostenere la produzione e l’occupazione fin quando i bilanci
degli agenti economici privati non si risanano e il governo può ripagare
il proprio debito una volta che il periodo di deleveraging è giunto al
termine.” (Op. cit., p. 1490)
Per Summers e Krugman quindi gli interventi di politica fiscale che avevano sostenuto nel periodo dell’immediato post-crisi dovevano avere carattere solo transitorio e limitato.
Ulteriori lavori pubblicati dallo stesso
Krugman negli anni precedenti la Grande Recessione ci aiutano a far
luce sulla questione, mostrando come questo autore sia passato lungo due
decenni da una posizione totalmente orientata all’utilizzo della
politica monetaria a quella (citata in precedenza) molto più benevolente
verso la politica fiscale. Nel 1998 Krugman si era prodigato per
fornire una spiegazione per la lunga stagnazione giapponese. Tale
spiegazione riecheggia ciò che sentiamo oggi: nonostante la politica
monetaria avesse portato il tasso nominale verso lo zero, il Giappone
aveva bisogno di un tasso reale ancora minore. La conseguente proposta
di politica economica di Krugman fu tutta nel segno della politica monetaria:
la banca Centrale avrebbe dovuto convincere gli agenti economici che
essa avrebbe fatto di tutto, nel breve come nel lungo termine, per
portare il tasso di inflazione di riferimento ad un livello
persistentemente più elevato. Sfruttando la formulazione di Fisher per
il tasso reale di interesse, Krugman sostenne come anche in presenza
dello ‘zero lower bound’ e di prezzi correnti vischiosi la Banca
Centrale avrebbe potuto abbassare il tasso di interesse reale muovendo
le aspettative di inflazione su un livello permanentemente più alto.
Formalmente
Dove abbiamo con r il tasso di interesse reale, i il tasso di interesse nominale (a livello zero), l’inflazione attesa, P il livello corrente dei prezzi, il livello corrente con prezzi vischiosi, P*
il livello futuro dei prezzi. Quindi, con il tasso nominale a zero, e i
prezzi correnti presi come dati, il governatore della Banca Centrale
può in teoria muovere il tasso di interesse reale ulteriormente sotto lo
zero agendo sulle aspettative future di prezzo P*
degli agenti. Lo stesso Krugman (2005) però, a distanza di quasi dieci
anni dal contributo sul Giappone, inizia a cambiare punto di vista. Nel
pezzo del 2005 infatti egli ammette che le politiche monetarie (tra le
quali cita proprio quella da lui sostenuta nel 1998) non sarebbero state
sufficienti a portare il Giappone fuori dalla stagnazione, e che quindi
era tempo di ricominciare a pensare allo strumento della politica
fiscale. In seguito avrebbe ulteriormente approfondito la questione,
passando per il menzionato pezzo del 2012, fino ad arrivare a formulare
in parallelo con Summers la teoria della Stagnazione Secolare.
Alla luce di quanto visto, si può
probabilmente leggere meglio uno dei nodi della questione: se i teorici
della Stagnazione Secolare non sono netti al pari di Stiglitz nel
sostenere una politica di espansione fiscale (almeno nella loro veste
accademica), questo è dovuto al fatto che le loro posizioni recenti sono
frutto di un percorso intellettuale particolarmente impervio. Questo
percorso è passato per il pieno sostegno alla politica monetaria per poi
lentamente ammetterne le lacune, arrivando a trovare alcuni particolari
scenari (lo zero lower bound, la trappola della liquidità, la crisi
finanziaria) nei quali la politica fiscale, pur sempre in periodi e con
importi limitati, possa essere fruttuosamente impiegata. Notiamo come
tale tipo di ricostruzione integri quella fatta recentemente da Viscione su queste pagine sulle modifiche apportate ai modelli del New Consensus
in modo da poter riportare, seppur parzialmente, la politica fiscale
entro il novero degli strumenti di politica economica attiva. Nel nostro
caso, vediamo come un percorso analogo e confluente nella stessa
tipologia di risultati sia stato una premessa per aprire la strada alla
rinnovata teoria della Stagnazione Secolare. [3]
3. Il ruolo della domanda aggregata
L’altra rilevante questione emersa nel dibattito menzionato è quella che riguarda il ruolo della domanda aggregata
all’interno di questa contesa. Riprendendo lo spirito dell’intervento
di Stiglitz, ci chiediamo se la politica fiscale non possa avere come
obiettivo il pieno impiego anche quando il tasso dell’interesse salga
considerevolmente sopra lo zero. Nei termini del dibattito, appare
pertanto lecito domandarsi se l’efficacia di tali politiche sia da
tenere legata e vincolata alla contemporanea caduta del tasso di
interesse di politica monetaria al livello dello zero lower bound. E’
possibile guardare alla domanda aggregata come motore di crescita
in quanto tale, e quindi considerare la spesa pubblica come una delle
componenti di traino per lo sviluppo di una economia? Ci chiediamo
insomma se la preoccupazione di Stiglitz concernente la natura
temporanea e non soddisfacente delle misure messe in atto da Obama non
possa essere presa come l’apertura di un varco nel quale sia possibile
inserire un discorso diverso da quello proposto all’interno della
cornice neo – Keynesiana.
A questo riguardo si può citare qualche
esempio, senza pretese di esaustività, dalla vasta letteratura di stampo
post – Keynesiano, neo – Kaleckiano e Sraffiano che guarda alla domanda
aggregata come determinante dei processi di crescita economica, senza
che questo ruolo debba essere vincolato ad un valore nullo del tasso di
interesse. In tal senso possono essere citati, fra i vari, i lavori di
Hein (2016) e Skott (2016). Il primo autore vede nella teoria della
Stagnazione Secolare un non trascurabile tentativo di far tornare alcune
delle tematiche Keynesiane all’interno del dibattito mainstream.
Tuttavia, Hein sostiene la necessità di allargare le prospettive
rispetto alla politica fiscale
e al ruolo della domanda aggregata, cosa che lui stesso fa all’interno
di un modello neo – Kaleckiano nel quale la spesa pubblica e la
distribuzione del reddito sono fondamentali per la crescita
dell’economia. Egli inoltre conclude argomentando la necessità di
pensare un ‘New Deal Keynesiano globale’ che sia basato su tre pilastri
(Hein 2016, pp. 38 – 41). Il ruolo principale è affidato al ripensamento
delle politiche di management della domanda aggregata, che nella sua
ottica andrebbero ispirate ai principi della ‘finanza funzionale’ di
Lerner (1943). A queste andrebbero poi unite misure di regolamentazione
del settore finanziario e una politica dei redditi che possa favorire la
crescita mediante un sostegno ai redditi da lavoro compatibile con una
inflazione stabile. Skott esprime un giudizio favorevole nei riguardi
della nascita del filone di letteratura rifacentesi alla Stagnazione
Secolare, ma nonostante ciò (Skott 2016, p. 183) non considera
sufficiente lo smarcamento rispetto a quella ortodossia. Anche in questo
contributo una delle principali proposte riguarda la reintroduzione di
politiche di spesa pubblica ispirate ai principi della ‘finanza
funzionale’, mostrando così di nuovo la possibilità di guardare alla
spesa pubblica non come elemento di mero temporaneo tampone ad una
stagnazione ma piuttosto come un motore strutturale della crescita.
Si può, infine, vedere come anche lo
studio del ruolo del debito privato, elemento decisivo nello scoppio
della Grande Recessione, possa essere letto sotto una ottica nella quale
la domanda aggregata gioca un ruolo fondamentale. In Pariboni (2016)
troviamo un modello ispirato al principio del supermoltiplicatore
Sraffiano (filone di letteratura nato dal contributo di Serrano, 1995)
nel quale la componente dell’indebitamento privato (finanziato mediante
creazione endogena di moneta da parte del sistema bancario) contribuisce
a determinare un aumento della domanda aggregata che genera crescita
nel lungo periodo. Questo ovviamente non è però un processo svincolato
da limiti, limiti posti dal differenziale di crescita tra la componente
del debito privato e quelle di debito pubblico e consumo autonomo dei
capitalisti. In aggiunta alle conclusioni di tale modello, sotto una
ottica di stampo più istituzionale troviamo nei contributi di Barba e
Pivetti (2009) e Tridico (2012) una sponda che integra le conclusioni di
Pariboni (2016). Questi ultimi lavori segnalano l’insostenibilità di un
processo di crescita trainato dal continuo incremento della componente
relativa al debito privato delle famiglie, le quali hanno provato a
mantenere i loro standard di vita sostituendo via via quest’ultimo alla
spesa finanziata mediante reddito da lavoro disponibile, spesa che è
stata stagnante a causa del progressivo indebolimento del potere
contrattuale dei lavoratori statunitensi.
Alla luce del dibattito di apertura,
vediamo dunque come sia possibile studiare sotto una luce diversa anche
le cause più profonde che hanno fatto da presupposto per la crisi
post-2008, crisi che ha poi richiesto l’irrinunciabile intervento
governativo. Notiamo infine un particolare non secondario: il contributo
di Barba e Pivetti metteva in guardia i lettori sulla insostenibilità
del processo di accumulazione di debito privato negli USA basando lo
studio su dati che arrivavano al 2006, riferendosi pertanto a periodi
ben precedenti lo scoppio della crisi. Vi è quindi la possibilità di
rintracciare analisi che segnalino delle criticità che invece,
all’interno del punto di vista neo – Keynesiano, furono completamente
ignorate all’epoca.
4.Conclusioni
Si è cercato di mostrare come la
posizione di Stiglitz nei riguardi della teoria della Stagnazione
Secolare segnali più che un semplice malinteso all’interno della
corrente neo – Keynesiana. Essa, al contrario, mostra la ritrosia che i
propositori della teoria della Stagnazione Secolare hanno nei riguardi
delle proposte più audaci di sostegno alla domanda aggregata mediante
politiche fiscali espansive. Non si può sottovalutare l’importanza
dell’appoggio che Summers e Krugman hanno dato ai piani di intervento
pubblico congegnati dall’amministrazione Obama. Tuttavia si può vedere
come quel tipo di piano fosse non solo il massimo politicamente
ottenibile, ma anche il massimo che nel retroterra analitico neo –
Keynesiano si possa, almeno allo stato attuale della teoria, concepire.
Collocandosi però al di fuori di quel filone analitico, e
abbracciando una visione che abbia nella domanda aggregata una variabile
cruciale per i processi di crescita al di là del particolare valore
assunto dal tasso dell’interesse di politica monetaria, ci si può
muovere sulla rotta accennata da Stiglitz.
Riferimenti sitografici
Summers L. H., Stiglitz J. (2018). Debate: Stiglitz vs. Summers on Secular Stagnation. Project Syndicate: https://www.project-syndicate.org/bigpicture/debate-stiglitz-and-summers-face-off-on-secular-stagnation
Krugman P. (2018). On the Debt Non-Spiral. New York Times: https://www.nytimes.com/2018/09/11/opinion/on-the-debt-non-spiral.html
Krugman P. (2013). Secular Stagnation, Coalmines, Bubbles, and Larry Summers. New York Times: https://krugman.blogs.nytimes.com/2013/11/16/secular-stagnation-coalmines-bubbles-and-larry-summers/
Viscione, A. (2018). Il pensiero economico dominante scopre la politica fiscale? Economia e Politica: https://www.economiaepolitica.it/il-pensiero-economico/il-pensiero-economico-dominante-scopre-la-politica-fiscale/
Riferimenti bibliografici
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DeLong, J. B., Summers, L. H.,
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economy [with comments and discussion]. Brookings Papers on Economic Activity, 233-297.
Eggertsson, G. B., & Krugman, P. (2012). Debt, deleveraging, and the liquidity trap: A Fisher-Minsky-Koo approach. The Quarterly Journal of Economics, 127(3), 1469-1513.
Hansen, A. H. (1939). Economic progress and declining population growth. The American economic review, 29(1), 1-15.
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Krugman, P. (2005). Is fiscal policy poised for a comeback?. Oxford Review of Economic Policy, 21(4), 515-523.
Krugman, P. R., Dominquez, K. M., & Rogoff, K. (1998). It’s baaack: Japan’s slump and the return of the liquidity trap. Brookings Papers on Economic Activity, 1998(2), 137-205.
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Skott, P. (2016). Public debt, secular stagnation and functional finance. In Macroeconomics After the Financial Crisis (pp. 32-49). Routledge.
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Tridico, P. (2012). Financial crisis and global imbalances: its labour market origins and the aftermath. Cambridge Journal of Economics, 36(1), 17-42.
Note
[1] Non si discuterà nel presente pezzo
del contributo dato da Farmer, il quale è intervenuto a latere nel
dibattito per segnalare la possibilità di avere un ulteriore punto di
vista sulla tematica di quale sia il ruolo dell’intervento fiscale
espansivo in una economia.
[2] In altre parole, non vi sarebbe
spiazzamento sull’ammontare di investimento privato. Gli altri punti
discussi nel pezzo riguardano i concetti di output gap e isteresi, che
qui non saranno trattati.
[3] Ovviamente non si può qui non
menzionare il fatto che la ricostruzione proposta debba restare silente
su quanto invece avvenuto sul versante propriamente politico, versante
che vede in gioco altre dinamiche.
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