sabato 2 giugno 2018

USA e i dazi sulle importazioni. L'obiettivo della guerra commerciale di Trump all'Europa è il surplus aggressivo di Berlino. Ma tutta l'Eurozona ne "pagherà" le conseguenze.

Washington da anni intima alla Germania di ridurre il super export commerciale. Il pugno duro Usa per mettere Merkel spalle al muro.

Per capire qual è il vero obiettivo dei dazi commerciali che verranno applicati dall'amministrazione Trump a partire da mezzanotte del 1°giugno su acciaio e alluminio di provenienza Ue basta guardare la classifica degli esportatori europei oltre Atlantico: con le 950mila tonnellate di acciaio esportate nel 2017 è la Germania di Angela Merkel a dominare il mercato dell'export di prodotti finiti e semi-finiti.
Dietro, ben distaccata, c'è l'Olanda con 630mila tonnellate e terza la Francia con le sue 237mila tonnellate; solo quinta l'Italia (212mila).
A testa bassa con la sua politica dell'America First, il Presidente Usa Donald Trump ha mantenuto la parola data in campagna elettorale di scagliarsi contro gli squilibri commerciali e applicare dazi nei confronti dell'Unione Europea (oltre Canada e Messico): 25% sull'acciaio e 10% sull'alluminio.
In particolare sull'acciaio le imposte colpiranno quasi 5 milioni di tonnellate di prodotti europei, di cui 3,4 milioni rappresentati da prodotti finiti e 1,5 milioni di prodotti semi-finiti e altri prodotti, come cavi e tubi.

La guerra commerciale avviata dal Nuovo al Vecchio continente era stata largamente annunciata, così come è stato ben chiaro fin dall'inizio il bersaglio: Berlino. La decisione di non estendere ulteriormente l'esenzione dei dazi ha origini lontane. Ma senza andare troppo a ritroso, basti pensare che l'amministrazione Obama aveva più volte criticato le politiche commerciali della Germania fondate su un eccessivo surplus (il saldo tra esportazioni e le importazioni), insieme a quelle della Cina e altri Paesi. Già nel 2013 il Tesoro americano puntava il dito contro il super export tedesco, causa di pesanti squilibri anche (e soprattutto) per i partner dell'eurozona, in particolare dell'Europa meridionale.
Quella commerciale è una partita a spettro globale che rischia di avere un enorme impatto sugli equilibri economici tra i vari paesi dell'Unione Europea e i rispettivi partner commerciali. E, guardando a quello che sta accadendo nel Vecchio continente, con la crisi politica e istituzionale italiana, la crisi di governo in Spagna, la ripresa greca che nonostante il terzo piano di salvataggi è ben lungi dal venire, è fuori di dubbio che avrà ripercussioni sugli scenari politici futuri dell'Eurozona.
È convinzione di diversi economisti che l'intento di Trump sia di mettere il Paese della Merkel spalle al muro per il surplus corrente superiore persino a quello cinese. Per capire, dal punto di vista di Washington: senza Berlino, gli Usa sarebbero in saldo positivo nei confronti dell'Europa e invece si trovano in deficit commerciale per quasi 60 miliardi, 75 solo verso la Germania.
D'altronde sono le regole dell'Unione Europea - le stesse che hanno imposto all'Italia di ridurre il suo rapporto deficit/Pil e portarlo sempre più sotto la soglia del 3% - a stabilire che il surplus commerciale non debba essere superiore al 6%. Quello della Germania è da anni intorno al 9%: Berlino, in sostanza, esporta troppo creando un danno ai suoi alleati - Ue in primis - e/o importa troppo poco. Non stupisce quindi che la prima a replicare ai dazi, a nome dell'Europa e battendo sul tempo anche il presidente della Commissione Ue Juncker, sia stata la Cancelliera Merkel: "L'Unione europea risponderà forte e unita agli Usa". Sono misure "illegali", ha detto Merkel senza nascondere il prossimo passo: l'apertura di un caso di risoluzione delle controversie al Wto e l'imposizione di dazi addizionali su un certo numero di importazioni dagli Stati Uniti intorno al 20 giugno prossimo. Contromisure che non preoccupano affatto il segretario Usa al Commercio Ross, che definisce i dazi ventilati dall'Ue su moto, jeans e bourbon per 2,8 miliardi di euro "poca cosa". Quella americana è una mossa studiata. L'Ue, invece, per quanto si mostri compatta nelle dichiarazioni pubbliche, non è riuscita a nascondere un certo pessimismo nei giorni che hanno preceduto l'inizio della guerra commerciale, anche perché le controproposte messe sul tavolo da Bruxelles per scongiurare i dazi erano deboli, come ammesso dalla stessa commissaria Ue alla Concorrenza Malmstroem e nonostante proprio la Germania avesse invitato a "tentare tutte le strade possibili" per evitare il peggio.
Insomma, la partita tra Usa e Ue potrebbe - il condizionale è d'obbligo - avere effetti anche sulla partita tutta interna all'eurozona, imbrigliata nell'annoso dilemma tra il prosieguo del rispetto rigoroso delle regole (per alcuni) fiscali e l'avvio di misure anti-cicliche (più spesa in deficit per favorire gli investimenti e spingere il Pil dei paesi più deboli, rafforzamento del ruolo della Bce come garante in ultima istanza ecc). Certo è che l'amministrazione Trump è intenzionata a ridurre il ruolo della Germania. Qualche numero per capire l'ordine di grandezza: a marzo dello scorso anno il totale dell'export di Berlino verso gli Usa ha raggiunto gli 11,2 miliardi di euro con un aumento tendenziale del 6,6%, a fronte di un import del valore di appena 6 miliardi. Nel 2016 la Germania ha totalizzato vendite negli Usa per un valore di 107 miliardi di euro e importato merci dagli Stati Uniti solo per 58 miliardi, archiviando così nell'anno un surplus commerciale di 49 miliardi di euro. In testa alla classifica dei principali prodotti tedeschi venduti sul mercato statunitense ci sono autoveicoli e componentistica per un valore pari a 29 miliardi di euro - contro un import dagli Usa che vale appena 7 miliardi - seguito dall'export di macchinari per un valore di 17 miliardi (l'import dagli Usa vale 5 miliardi di euro) e di prodotti farmaceutici per 13 miliardi di euro.

Nessun commento:

Posta un commento