Washington da anni intima alla Germania di ridurre il super export commerciale. Il pugno duro Usa per mettere Merkel spalle al muro.
Per capire qual è il vero obiettivo dei
dazi commerciali che verranno applicati dall'amministrazione Trump a
partire da mezzanotte del 1°giugno su acciaio e alluminio di provenienza
Ue basta guardare la classifica degli esportatori europei oltre
Atlantico: con le 950mila tonnellate di acciaio esportate nel 2017 è la
Germania di Angela Merkel a dominare il mercato dell'export di prodotti
finiti e semi-finiti.
Dietro, ben distaccata, c'è l'Olanda con 630mila tonnellate e terza la Francia con le sue 237mila tonnellate; solo quinta l'Italia (212mila).
A testa bassa con la sua politica dell'America First, il Presidente Usa Donald Trump ha mantenuto la parola data in campagna elettorale di scagliarsi contro gli squilibri commerciali e applicare dazi nei confronti dell'Unione Europea (oltre Canada e Messico): 25% sull'acciaio e 10% sull'alluminio.
In particolare sull'acciaio le imposte colpiranno quasi 5 milioni di tonnellate di prodotti europei, di cui 3,4 milioni rappresentati da prodotti finiti e 1,5 milioni di prodotti semi-finiti e altri prodotti, come cavi e tubi.
La guerra commerciale avviata dal Nuovo al Vecchio continente era
stata largamente annunciata, così come è stato ben chiaro fin
dall'inizio il bersaglio: Berlino. La decisione di non estendere
ulteriormente l'esenzione dei dazi ha origini lontane. Ma senza andare
troppo a ritroso, basti pensare che l'amministrazione Obama aveva più
volte criticato le politiche commerciali della Germania fondate su un
eccessivo surplus (il saldo tra esportazioni e le importazioni), insieme
a quelle della Cina e altri Paesi. Già nel 2013 il Tesoro americano
puntava il dito contro il super export tedesco, causa di pesanti
squilibri anche (e soprattutto) per i partner dell'eurozona, in
particolare dell'Europa meridionale.
Quella commerciale è una partita a spettro globale che rischia di
avere un enorme impatto sugli equilibri economici tra i vari paesi
dell'Unione Europea e i rispettivi partner commerciali. E, guardando a
quello che sta accadendo nel Vecchio continente, con la crisi politica e
istituzionale italiana, la crisi di governo in Spagna, la ripresa greca
che nonostante il terzo piano di salvataggi è ben lungi dal venire, è
fuori di dubbio che avrà ripercussioni sugli scenari politici futuri
dell'Eurozona.
È convinzione di diversi economisti che l'intento di Trump sia di
mettere il Paese della Merkel spalle al muro per il surplus corrente
superiore persino a quello cinese. Per capire, dal punto di vista di
Washington: senza Berlino, gli Usa sarebbero in saldo positivo nei
confronti dell'Europa e invece si trovano in deficit commerciale per
quasi 60 miliardi, 75 solo verso la Germania.
D'altronde sono le regole dell'Unione Europea - le stesse che hanno
imposto all'Italia di ridurre il suo rapporto deficit/Pil e portarlo
sempre più sotto la soglia del 3% - a stabilire che il surplus
commerciale non debba essere superiore al 6%. Quello della Germania è da
anni intorno al 9%: Berlino, in sostanza, esporta troppo creando un
danno ai suoi alleati - Ue in primis - e/o importa troppo poco. Non
stupisce quindi che la prima a replicare ai dazi, a nome dell'Europa e
battendo sul tempo anche il presidente della Commissione Ue Juncker, sia
stata la Cancelliera Merkel: "L'Unione europea risponderà forte e unita
agli Usa". Sono misure "illegali", ha detto Merkel senza nascondere il
prossimo passo: l'apertura di un caso di risoluzione delle controversie
al Wto e l'imposizione di dazi addizionali su un certo numero di
importazioni dagli Stati Uniti intorno al 20 giugno prossimo.
Contromisure che non preoccupano affatto il segretario Usa al Commercio
Ross, che definisce i dazi ventilati dall'Ue su moto, jeans e bourbon
per 2,8 miliardi di euro "poca cosa". Quella americana è una mossa
studiata. L'Ue, invece, per quanto si mostri compatta nelle
dichiarazioni pubbliche, non è riuscita a nascondere un certo pessimismo
nei giorni che hanno preceduto l'inizio della guerra commerciale, anche
perché le controproposte messe sul tavolo da Bruxelles per scongiurare i
dazi erano deboli, come ammesso dalla stessa commissaria Ue alla
Concorrenza Malmstroem e nonostante proprio la Germania avesse invitato a
"tentare tutte le strade possibili" per evitare il peggio.
Insomma, la partita tra Usa e Ue potrebbe - il condizionale è d'obbligo - avere effetti anche sulla partita tutta interna all'eurozona, imbrigliata nell'annoso dilemma tra il prosieguo del rispetto rigoroso delle regole (per alcuni) fiscali e l'avvio di misure anti-cicliche (più spesa in deficit per favorire gli investimenti e spingere il Pil dei paesi più deboli, rafforzamento del ruolo della Bce come garante in ultima istanza ecc). Certo è che l'amministrazione Trump è intenzionata a ridurre il ruolo della Germania. Qualche numero per capire l'ordine di grandezza: a marzo dello scorso anno il totale dell'export di Berlino verso gli Usa ha raggiunto gli 11,2 miliardi di euro con un aumento tendenziale del 6,6%, a fronte di un import del valore di appena 6 miliardi. Nel 2016 la Germania ha totalizzato vendite negli Usa per un valore di 107 miliardi di euro e importato merci dagli Stati Uniti solo per 58 miliardi, archiviando così nell'anno un surplus commerciale di 49 miliardi di euro. In testa alla classifica dei principali prodotti tedeschi venduti sul mercato statunitense ci sono autoveicoli e componentistica per un valore pari a 29 miliardi di euro - contro un import dagli Usa che vale appena 7 miliardi - seguito dall'export di macchinari per un valore di 17 miliardi (l'import dagli Usa vale 5 miliardi di euro) e di prodotti farmaceutici per 13 miliardi di euro.
Dietro, ben distaccata, c'è l'Olanda con 630mila tonnellate e terza la Francia con le sue 237mila tonnellate; solo quinta l'Italia (212mila).
A testa bassa con la sua politica dell'America First, il Presidente Usa Donald Trump ha mantenuto la parola data in campagna elettorale di scagliarsi contro gli squilibri commerciali e applicare dazi nei confronti dell'Unione Europea (oltre Canada e Messico): 25% sull'acciaio e 10% sull'alluminio.
In particolare sull'acciaio le imposte colpiranno quasi 5 milioni di tonnellate di prodotti europei, di cui 3,4 milioni rappresentati da prodotti finiti e 1,5 milioni di prodotti semi-finiti e altri prodotti, come cavi e tubi.
Insomma, la partita tra Usa e Ue potrebbe - il condizionale è d'obbligo - avere effetti anche sulla partita tutta interna all'eurozona, imbrigliata nell'annoso dilemma tra il prosieguo del rispetto rigoroso delle regole (per alcuni) fiscali e l'avvio di misure anti-cicliche (più spesa in deficit per favorire gli investimenti e spingere il Pil dei paesi più deboli, rafforzamento del ruolo della Bce come garante in ultima istanza ecc). Certo è che l'amministrazione Trump è intenzionata a ridurre il ruolo della Germania. Qualche numero per capire l'ordine di grandezza: a marzo dello scorso anno il totale dell'export di Berlino verso gli Usa ha raggiunto gli 11,2 miliardi di euro con un aumento tendenziale del 6,6%, a fronte di un import del valore di appena 6 miliardi. Nel 2016 la Germania ha totalizzato vendite negli Usa per un valore di 107 miliardi di euro e importato merci dagli Stati Uniti solo per 58 miliardi, archiviando così nell'anno un surplus commerciale di 49 miliardi di euro. In testa alla classifica dei principali prodotti tedeschi venduti sul mercato statunitense ci sono autoveicoli e componentistica per un valore pari a 29 miliardi di euro - contro un import dagli Usa che vale appena 7 miliardi - seguito dall'export di macchinari per un valore di 17 miliardi (l'import dagli Usa vale 5 miliardi di euro) e di prodotti farmaceutici per 13 miliardi di euro.
Nessun commento:
Posta un commento