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venerdì 22 giugno 2018
La pratica della teoria
collettivo militant
Ieri pomeriggio, con un presidio e un volantinaggio di massa, il Nodo Territoriale della Tiburtina ha nuovamente acceso i riflettori sulla vicenda dell’ex fabbrica di Penicillina Leo. Un esempio piccolo piccolo (forse), ma estrememente significativo, di come debba essere declinato l’antirazzismo in periferia, e di come in una questione “particolare” sia contenuto il “generale” di questa fase storica. Abbiamo già scritto più volte della vicenda, ma è bene tornarci sopra per chiarire il concetto.
L’ex fabbrica che un tempo dava lavoro a più di 1300 operai oggi è un monumento alla deindustrializzazione delle Tiburtina Valley. Per via dei residui chimici delle lavorazioni e dell’eternit presente nella struttura i costi di bonifica sono diventati talmente alti da disincentivare i progetti speculativi della proprietà, che infatti l’ha lasciata nel più completo abbandono, fregandosene della salute di chi vive nella zona. Nel frattempo lo stabile, per quanto in gran parte ormai ridotto ad un rudere, è diventato l’unico rifugio possibile per centinaia di disperati espulsi dal circuito dell’accoglienza (o semplicemente impossibilitati a trovarsi una sistemazione degna di questo nome) con il corollario di roghi tossici e tensioni sociali che non è difficile immaginare.
Un terreno potenzialmente più che fertile per chi specula sulla guerra tra poveri, un film già visto e rivisto di cui, però, stiamo faticosamente cercando di riscrivere il finale. Da settimane si susseguono volantinaggi e banchetti nei mercati rionali limitrofi per una raccolta firme con una richiesta “semplice”: requisire l’ex fabbrica, bonificare l’area, riconvertire l’ex penicilina ad uso pubblico creando lavoro, edificando case popolari e fornendo servizi. Il nemico non sono i disperati che li ci vivono, e a cui va assicurata una sistemazione degna di un paese che si definisce civile, ma la proprietà che ci avvelena da anni e l’amministrazione che permette tutto questo. Gli sgomberi manu militari non risolvono niente, spostano il falso problema per qualche ora, ma poi per chi vive sulla Tiburtina tutto torna come prima: con i lavori di merda, la disoccupazione alle stelle, le case che mancano, i servizi inesistenti… e l’amianto nell’aria.
Un discorso assolutamente controcorrente in questo momento, e che infatti a volte si scontra con il senso comune di chi, incarognito dalla condizione di vita in cui è costretto, trova nel “cacciamoli via” la panacea di tutti i mali. Ma non c’è scappatoia. O si ritorna a parlare quotidianamente con la nostra gente, ad ascoltarla, magari anche a litigarci, proponendo un’altra idea di società, oppure l’alternativa non potrà che essere lo sterile chiacchiericcio social.
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