Nel 2017 sono state 17mila le infrazioni contestate, oltre 46 al giorno, con un incremento rispetto all’anno precedente dell’8,5%. A rivelarlo è il rapporto Mare Mostrum 2018 di Legambiente che fa il punto sulle minacce per il nostro territorio.
A partire dalla maladepurazione che in Italia continua ad essere un’emergenza irrisolta.
E se gli scarichi illegali riguardano un abitante su quattro, non va meglio sugli altri fronti: tonnellate di rifiuti, nella stragrande maggioranza plastiche non gestite correttamente, continuano a finire in mare e invadere le nostre spiagge. E poi c’è il cemento abusivo che non viene demolito e che invade anche i tratti costieri di maggior fascino, ma anche la corsa alle trivellazioni petrolifere che mettono a rischio il Mediterraneo.
Considerando il valore delle sanzioni penali e amministrative, la stima economica dei sequestri, appalti pubblici irregolari e danni erariali il mare illegale è un business da quasi un miliardo di euro.
IL MARE ILLEGALE –
Nel 2017 le persone denunciate e arrestate sono state 19.564, con un aumento dell’8% e i sequestri 4.776, in crescita del 25,4%. Quasi il 50% dei reati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che insieme al Lazio sono anche quelle che dominano la classifica nazionale. Il Lazio è anche la quarta regione per numero generale di illegalità accertate. Il primato assoluto spetta alla Campania, che come nel 2017 ha il record delle infrazioni, 2.715, ossia il 15,9% del totale, così come quello delle persone denunciate e quello dei sequestri. Al secondo posto c’è la Puglia, che sale di una posizione rispetto al 2017, con il 12,3% dei reati, mentre scende di un gradino, ma resta sul podio, la Sicilia con il 12%. Stabili, al quarto e quinto posto, ci sono il Lazio con il 10,3% e la Calabria con l’8,7%. Seguono, con numeri non trascurabili, la Toscana e la Liguria, con il 7,6% dei reati, e la Sardegna, con il 6,3%.
I REATI CONTESTATI – I reati più contestati sono quelli legati all’inquinamento delle acque e del suolo, derivanti da scarichi fognari fuorilegge, depuratori che non funzionano o che mancano del tutto, spandimenti di idrocarburi e contaminazioni del suolo: da soli raggiungono il 35,7% del totale delle infrazioni accertate. Seguono con il 27,7% la pesca illegale, quindi il cemento abusivo, con il 19,5% e, infine, le infrazioni al codice della navigazione della nautica da diporto, che valgono il 17,1% della torta. Maglia nera, sia per l’inquinamento che per l’abusivismo edilizio, è la Campania. Nel primo, detiene il 22,1% delle infrazioni accertate, seguita dalla Puglia con l’11,1%, dal Lazio con il 10,2% e dalla Toscana con l’8,8%. Nel secondo, vanta il 21,2% del totale nazionale, davanti alla Calabria con il 14,4%, alla Puglia con il 12,6% e al Lazio con il 10,5%.
IL MARE INQUINATO – Il livello d’inquinamento nel Mar Mediterraneo è in crescita, facendo segnare un incremento del 22,2% delle infrazioni rispetto all’anno scorso e attestandosi come il settore di illegalità più significativo. Una delle cause principali è la ‘mala depurazione’, un problema che riguarda molti nostri territori ancora oggi serviti da scarichi non conformi a quanto previsto dalla legge o, peggio ancora, che non dispongono di alcuna depurazione delle acque. Tanto per fare un esempio, un inadeguato servizio di depurazione, lo scorso maggio, ha già portato all’Italia una maxi-multa comminata dalla Corte di giustizia europea, l’ennesima in questo settore. La sanzione ammonta a 25 milioni di euro, a cui si aggiungeranno altri 30 milioni per ogni semestre di ritardo accumulato dal nostro Paese nell’adeguarsi alle norme relative alla raccolta e al trattamento delle acque reflue urbane. Rispetto all’ultimo rapporto Mare Monstrum, per numero d’infrazioni contestate dalle forze dell’ordine riguardanti depuratori inesistenti o mal funzionanti, scarichi fognari abusivi, sversamenti illegali di liquami e rifiuti la Campania mantiene il primato, con un totale di 1.347 reati, il 22,1% del totale. Stabili al secondo e terzo posto troviamo la Puglia e il Lazio, rispettivamente con l’11,1% e il 10,2 % del totale.
LA PESCA DI FRODO – Alle luce delle inchieste contro i pescatori di frodo e dei dati raccolti nel dossier, il nostro mare appare un campo di battaglia. Nel 2017, infatti, sono stati 4.712 i reati accertati, cifra quasi identica all’anno precedente (quando erano stati 4.706), 4.558 le persone denunciate e arrestate e 459 gli interventi di sequestro. Come nel 2017, la regione con il numero d’infrazioni maggiore è la Sicilia, con il 22,8% del totale nazionale: quasi due reati al giorno, per un totale di 1.074, ben 1.045 persone denunciate e arrestate e 88 sequestri. Seconda in classifica è la Puglia, quindi la Liguria e il Lazio che con il 9,2% passa dal sesto al quarto posto. Complessivamente, nel corso del 2017, sono state intercettate quasi 460 tonnellate di prodotti ittici, tra pesce, crostacei e molluschi e novellame. La regione con il numero più alto di sequestri è stata il Veneto, con oltre 118 tonnellate, quindi la Sicilia, la Puglia, La Liguria e la Sardegna.
LA COSTA DI CEMENTO – Le coste italiane, invece, sono vittima di un assedio di cemento dovuto a decenni di pesante abusivismo. In gran parte è l’eredità dei decenni passati e caratterizzati dalla massiccia edilizia illegale di cui sono testimoni lunghi tratti dei litorali nelle principali regioni, soprattutto in Campania e in Sicilia. “Da qui – spiega il rapporto – non a caso, arrivano le maggiori spinte ‘condoniste’ della politica locale. È il ‘vecchio abusivismo’, quello che non viene demolito e che, in certi casi, si ipotizza addirittura di salvare dalle ruspe, come a Pizzo Sella a Palermo o a Lesina nel Foggiano”. Poi c’è quello che non trova freno nemmeno nella crisi del mattone: nel corso del 2017, lungo la costa sono state accertate 3.314 infrazioni legate al ciclo del cemento, per cui sono state denunciate 4.310 persone e compiuti 1.110 sequestri. Sebbene oggi abbia perso quel consenso sociale che ne ha favorito la crescita incontrollata per almeno due decenni, l’abusivismo edilizio non è scomparso. “È diventato una pratica meno evidente – rileva il rapporto – più subdola e quindi meno facile da individuare”. In parte perché è stato condizionato dalle restrizioni dei condoni del ’94 e del 2003 che hanno escluso gli immobili nelle aree a vincolo. Come in certa misura avveniva già in passato, oggi la prassi prevalente è quella di avviare i lavori con le ‘carte in regola’. “In questo caso le opzioni sono due – spiega Legambiente – avere ottenuto i permessi per costruire sulla base di false dichiarazioni, oppure scegliere di proseguire i lavori in difformità dai permessi, aumentando e spostando le cubature o modificando la natura degli immobili, sperando di farla franca”.
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