La campagna elettorale di M5S e Lega è stata caratterizzata, almeno a
parole, da posizioni fortemente critiche verso l’austerità imposta dai
trattati europei. I risultati delle elezioni ci hanno consegnato un
governo egemonizzato da queste due formazioni politiche. Ma che cosa
resta dei bellicosi propositi sbandierati nei mesi precedenti le
elezioni e nei concitati giorni della formazione del nuovo Governo?
Per avere un indizio, dobbiamo porci un’ulteriore domanda: per quale ragione Salvini ed il suo codazzo urlante hanno dedicato le ultime settimane a riempire giornali e notiziari con sparate sempre più agghiaccianti, dal rifiuto di accogliere nei porti italiani un barcone con 629 dannati della terra alla proposta di indire un censimento su base etnica di rom, sinti e camminanti, da espellere in un secondo momento non si sa verso dove dato che sono nella pressoché totalità cittadini comunitari? C’è di mezzo sicuramente il razzismo, così come la volontà di continuare la campagna elettorale facendo leva sui più bassi istinti dell’elettorato di riferimento. Ma c’è, soprattutto, anche altro: la Lega ed i 5Stelle hanno un enorme bisogno di creare una cortina di fumo, dietro alla quale nascondersi e nascondere il loro immediato ritorno all’ovile del dogma dell’austerità europea, abbinato alle prime tracce di una politica economica smaccatamente dalla parte di una piccolissima minoranza di ricchi e privilegiati. Proviamo ad andare con ordine. Possiamo anche tralasciare gli aspetti più tristi e clowneschi, come il solerte Savona che dal suo buen retiro al Ministero degli Affari Europei abiura ogni cosa che possa avere detto o pensato (o che gli possa essere stata attribuita) affermando a gran voce che “L’euro non solo ha aspetti positivi, ma è anche indispensabile. Non so come dirvelo, non voglio l’uscita dalla moneta unica e non esiste nessun piano B”.
Si può partire dalla celebre flat tax. Di per sé, questa misura rappresenta la cancellazione di ogni pretesa di progressività fiscale. A renderne ancora più esplicita la natura di classe, ha provveduto di recente il cosiddetto ideologo ed ideatore di questo provvedimento, il leghista Armando Siri. Interrogato su come si intende provvedere alla copertura delle minori entrate derivanti da un sostanzioso taglio delle tasse, Siri prontamente risponde che le risorse necessarie verranno reperite tramite un generoso condono fiscale (che nel lessico gialloverde si chiama pace fiscale) abbinato a tagli alle spese per almeno venti miliardi.
Tradotto in termini concreti questo vuole dire: si tagliano le tasse, in misura enormemente maggiore ai percettori di redditi alti o molto alti. Allo stesso tempo queste stesse persone hanno l’opportunità di sanare eventuali decenni di evasioni fiscali pagando una mancetta alle casse dell’Erario. In più, per non farsi mancare nulla, una sana dose di austerità.
È anche difficile pensare che questa possa essere una sparata di un leghista qualsiasi di seconda fila, perché anche Salvini ha provveduto a sciorinare le stesse cifre (50 miliardi di euro impegnati in contenziosi tra cittadini con poca voglia di pagare le tasse e lo Stato) e ad indicare la medesima via.
Che cosa pensa al riguardo il Ministro dell’Economia Tria? Molto si è detto sul fatto che, fino a non più di un mese fa, il futuro Ministro proponesse di finanziare la flat tax tramite un aumento dell’IVA. La soluzione perfetta per padroni e padroncini: da un lato si tagliano loro le tasse che devono pagare sul reddito. Dall’altro, spostando il carico fiscale dalle imposte dirette alle imposte indirette si rafforza e raddoppia la portata redistributiva, dai poveri ai ricchi, dell’intervento fiscale (vedi per una discussione dettagliata dell’impatto di un aumento dell’IVA). Questa trovata pare momentaneamente passata in secondo piano. Ciò non toglie che Tria – mentre Salvini, Toninelli ed altri cercavano di distogliere la nostra attenzione – si sia premurato di ribadire in maniera chiara, esplicita, che ogni misura di politica economica, flat tax inclusa, si iscriverà in un piano di consolidamento del bilancio dello Stato. Cosa significa concretamente? Che ogni minore entrata (come il taglio delle tasse implicato dalla flat tax) o ogni maggiore spesa (quale potrebbe essere il reddito di cittadinanza) dovrà essere compensata da un taglio di eguale misura della spesa in altri ambiti. Questo perché il rispetto del pareggio di bilancio è la stella polare anche di questo governo, il ricorso alla spesa in deficit è bandito ed ogni misura blandamente espansiva (e per di più ingiusta, come nel caso della flat tax) deve essere accompagnata da una razione eguale e contraria di austerità.
Mentre tutti guardano altrove, il ricatto del debito pubblico continua a mordere. Come Tria ci spiega, “Il consolidamento di bilancio è condizione necessaria per mantenere la fiducia dei mercati finanziari, imprescindibile per tutelare i risparmi italiani e ottenere una crescita stabile”, il debito pubblico deve continuare a scendere, ogni misura sarà coerente con “l’obiettivo di proseguire sulla strada della riduzione del rapporto debito/Pil. È un obiettivo esplicito del governo, su cui ci sono state dichiarazioni chiare del presidente del Consiglio. Non devono esserci dubbi”. Giusto per ribadire, “dobbiamo mantenere un percorso di riduzione del debito e soprattutto evitare l’aumento dell’indebitamento per finanziare spesa corrente”.
È indubbio come tutto questo ci faccia sentire un po’ più giovani. Basta chiudere un attimo gli occhi ed è subito 2007, quando Padoa Schioppa, allora Ministro del Tesoro del governo Prodi, ci ricordava come fosse il debito pubblico ad impedire gli investimenti e che l’austerità fosse la strada maestra verso il futuro. Sembra ieri, ed invece era il 2011, quando Tremonti, Ministro dell’ultimo governo Berlusconi, lanciava “una grande riforma strutturale per la riduzione del debito e per la modernizzazione e la crescita del Paese”. Per non parlare di Padoan, le cui posizioni su debito e ruolo dello Stato nell’economia sono completamente sovrapponibili a quelle dell’uomo nuovo Tria.
Se si lascia da parte l’effetto revival, le conclusioni sono ancora una volta drammatiche. Un governo a parole di cambiamento, che ha costruito il suo consenso sulla base di posizioni (fintamente) critiche verso l’austerità europeista ed il paradigma economico che ha strangolato l’economia italiana negli ultimi venti anni, nel momento delle decisioni recita un canovaccio trito e ritrito: pilota automatico per tutto quanto riguarda le politiche economiche, in un quadro di perfetta compatibilità con lo status quo. Il tutto condito da misure, dichiarazioni ed azioni beceramente razziste, funzionali ad individuare nel diverso un capro espiatorio dietro al quale nascondere il proprio servilismo.
La lotta contro i nuovi gestori dell’austerità non sarà facile. Affinché abbia anche una minima possibilità di riuscita, è fondamentale però che non cerchi scorciatoie ed abbia il coraggio di combattere allo stesso tempo i suoi aspetti più vistosi, intessuti di razzismo ed intolleranza, e quelli più subdoli, che si nutrono di provvedimenti economici a favore dei pochi e che hanno la loro cornice naturale nell’architettura europea. I primi sono strettamente funzionali ai secondi e non c’è modo di costruire un’alternativa se entrambi non vengono sconfitti.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.wordpress.com/
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