venerdì 22 giugno 2018

Scuola. Più della metà dei maturandi di oggi non studierà più (e la politica non se ne accorge).


Al termine di questo straordinario viaggio di crescita, secondo gli ultimi dati statistici, dei 509mila studenti poco meno della metà si iscriverà all'università, mentre altri decideranno di porre fine alla loro esperienza formativa. Di questi ancora tanti, troppi, non potranno iscriversi all'università per ragioni economiche. Ciò vale soprattutto per quelle zone più disagiate del nostro paese dove la povertà diventa negazione del diritto allo studio, negazione dei sogni di tanti giovani, negazione dell'uguaglianza di opportunità, negazione di tanti talenti. Per restituire a questi ultimi il diritto costituzionale di accedere ai più alti gradi dell'istruzione occorre che tutta la società si impegni per evitare il sacrificio di più generazioni e lo spreco di risorse umane e di talenti, affinché nessuno resti indietro, in modo che dal giorno successivo al diploma gli esclusi per ragioni economiche possano progettare e scegliere senza condizionamenti il loro futuro come i più fortunati.

Non c'è peggiore delusione per uno studente o una studentessa che abbia manifestato passione per lo studio, sentirsi dire che non potrà iscriversi all'università perché sarebbe un peso troppo oneroso per la famiglia. E non c'è sentimento peggiore per un genitore essere costretto ad ammettere questo fallimento.
Non è un caso che in Italia, e in particolare in alcune aree del Mezzogiorno, la quota dei cosiddetti NEET, i giovani che sono fuori dal mercato del lavoro e il lavoro neppure lo cercano, crescono ogni anno in modo esponenziale. In Germania, ad esempio, dove il diritto allo studio è fortemente garantito, il numero dei NEET è trascurabile, e lo è anche in quei paesi, come la Francia, dove esiste un forte intervento dello stato sulle risorse destinate al diritto allo studio. Il futuro dei nostri "ragazzi del '99", di tutti loro, preme a noi così come speriamo debba interessare l'intera società, e coloro che la governano, sia a livello nazionale, che a livello locale.
L'anno scolastico che si chiude con questi esami di stato è stato complesso e difficile per la scuola. Si sono verificati concretamente i danni causati dalla legge 107 del 2015 e dai relativi decreti delegati. Ne segnaliamo qui uno solo, che tuttavia è la metafora del tentativo di trasformare identità, missione e senso della nostra scuola pubblica: la cosiddetta alternanza scuola-lavoro con l'imposizione di ben 400 ore obbligatorie nel triennio finale per professionali e tecnici e 200 ore per i licei.
L'evidente flop dell'alternanza costringe ormai i decisori politici, il Miur, a ripensarla, se non eliminarla definitivamente, così come è stata elaborata dalla legge Giannini-Renzi. Non solo. Questo è stato un anno particolarmente delicato per la scuola pubblica per effetto della ricaduta mediatica di episodi di violenza che hanno avuto per protagonisti studenti e docenti. Si sono registrate decine di aggressioni a docenti da parte di studenti e di genitori. Così, nella percezione dell'opinione pubblica si è trasferita l'immagine di aule scolastiche dove regna l'intimidazione e la violenza. Non è così. E non perché vogliamo minimizzare tali aggressioni. A questo proposito la Flc Cgil ha già scelto di costituirsi parte civile a favore dei docenti vittime di violenza.
Purtroppo la diffusione dell'allarme mediatico rischia di trasformare un problema reale, quale quello della rottura del patto educativo, in questione di ordine pubblico. Nonostante tutto, nonostante gli episodi violenti, nonostante i riflettori mediatici puntati su questi ultimi, la scuola italiana, da quella dell'infanzia alle superiori resta una delle migliori al mondo, perché sa educare, sa far maturare, sa appassionare allo studio, ogni giorno, 8 milioni di bambini, bambine, adolescenti, grazie a una classe docente e a tutta la comunità educante, che ogni giorno danno senso alla missione della scuola. Noi lo sappiamo bene.
Peccato che in questi anni, invece, le politiche sulla scuola abbiano falcidiato le risorse e i salari e ridotto autorevolezza e prestigio sociale dei docenti (questa è una delle vere ragioni degli episodi violenti). Consapevoli di questa realtà, abbiamo cercato proprio con la firma sul rinnovo del contratto nazionale di lavoro - altro episodio importante nell'anno scolastico che si chiude in questi giorni - di riportare al centro del dibattito pubblico la questione salariale di tutti i lavoratori, non solo come mera e giusta rivendicazione, ma come elemento fondamentale dell'autorevolezza, della funzione sociale, del senso che la scuola e la formazione universitaria hanno per le future generazioni e per tutta la società.
Faccio nostro l'auspicio di Mariapia Veladiano su Repubblica: al termine dell'esperienza dell'esame (ma l'augurio si allarga a tutti, alunni e studenti), ognuno "deve poter dire di aver affrontato le prove da persona libera, capace di argomentare e non di assecondare l'aria che tira, rinunciando alle parole che colpiscono come clavate". La scuola è costituzionalmente educazione alla civiltà. Non dimentichiamolo.

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