venerdì 29 giugno 2018

La crisi e la povertà: sono i giovani a pagare il conto

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I minorenni e i giovani fino ai 34 anni costituiscono quasi la metà — 2.320.000 — di tutti coloro che si trovano in povertà assoluta in Italia. È un dato ormai strutturale.

 

repubblica CHIARA SARACENO 


L’aumento della povertà assoluta avvenuto dal 2005, e in particolare dalla crisi del 2008, è fortemente concentrato tra i più giovani. In un Paese in cui ci si lamenta che non nascono abbastanza bambini, una percentuale altissima delle giovani generazioni non ha abbastanza da vivere. E se qualche giovane si azzarda a formare una famiglia prima dei 35 anni, corre seri rischi di povertà per sé e per i suoi famigliari.
Sarà anche vero che c’è la ripresa. Ma non ha ancora toccato le aree e i gruppi più svantaggiati, facendo anzi aumentare i divari tra Centro-Nord e Mezzogiorno, tra giovani e anziani, tra famiglie senza figli o con un solo figlio e famiglie con più figli, oltre che tra famiglie giovani e famiglie di anziani. È un fenomeno che non riguarda gli stranieri, che pure presentano tassi di povertà quasi cinque volte più elevati rispetto agli italiani e corrispondono a un quinto di tutti i poveri assoluti.

Se a questi dati si accostano quelli sui Neet — oltre due milioni di giovani tra 15 e 29 anni che non studiano né lavorano né fanno tirocini, anch’essi fortemente concentrati nel Mezzogiorno — emerge lo spaccato di un paese che sta lasciando andare alla deriva, insieme ad una parte sostanziosa delle giovani generazioni, anche le proprie stesse risorse per il presente e il futuro. E mi limito solo ai dati sulla povertà assoluta, i più drammatici e incontrovertibili.
A fronte di questi numeri non c’è più tempo da perdere. Sono necessarie azioni sistematiche a più livelli. In primo luogo, occorre iniziare ad attuare gli obiettivi del reddito di cittadinanza rafforzando ed estendendo il “Reddito di inclusione”: alzandone il livello per avvicinarlo alla soglia della povertà assoluta e finanziandolo in modo sufficiente da coprire almeno tutti i poveri assoluti. In attesa di una riforma dei centri per l’impiego, che richiede tempo e risorse, sarebbe opportuno affiancare al “Rei”, per coloro che sono abili al lavoro, gli assegni di ricollocazione approvati e finanziati dal governo precedente, ma mai veramente decollati. Ma occorre anche rivedere il sistema frammentato e inefficiente di sostegno al costo dei figli, in modo da evitare il più possibile la povertà delle famiglie nonostante ci sia almeno un occupato (riguarda quasi il 12% delle famiglie con persone di riferimento operaio o assimilato, di più se si considera la povertà relativa).
È anche indispensabile investire in modo capillare, sul territorio, nell’individuazione e accompagnamento dei Neet, offrendo loro occasioni stimolanti ed efficaci di valorizzazione delle capacità. Infine, occorre investire nei servizi di base, in quelli per l’infanzia, nella scuola, non solo per favorire l’occupazione delle madri, ma per contrastare gli effetti della povertà sulla salute e lo sviluppo, fisico e cognitivo, dei bambini, i più danneggiati dall’esperienza di povertà.
Chiara Saraceno, da Repubblica

(27 giugno 2018)

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