giovedì 21 giugno 2018

L'Italia nella nuova era arcaica.

La crisi della politica non è certo recente, ma quello che impressiona rispetto anche solo a due governi e due decenni fa, è che in Italia i confini della politica si sono ristretti in modo drammatico, e che questa riduzione riguarda il nostro modo di vivere come collettività, nel concreto della quotidianità. Sta soprattutto qui l’avvisaglia di un ritorno al fascismo, un pensiero mai davvero sopito in Italia.





micromega Monica Lanfranco
Viviamo in tempi che definire arcaici è riduttivo, e non a tutta la collettività è chiaro cosa questo comporti, perché una parte di popolazione, nell’Italia attuale, si è formata alla politica e alla cittadinanza relegando le relazioni umane e il corpo come argomenti ai margini, imparando modi, lingua e quindi visioni della vita dal mondo virtuale. Quello dove il corpo non c’è, dove i suoi limiti e i suoi vincoli sono ingannevolmente rimossi grazie alla velocità del clic, che rende chiunque, dietro allo schermo, invincibile e potente, se privo di cultura.
Non a caso il filosofo Chun Byun Lan parla di ‘sciame’ quando immagina chi agisce l’odio in rete: lo sciame non è più massa, classe, popolo, e neppure branco, gregge, stormo. Non ci sono più regole né appartenenza, solo il fluire istantaneo delle reazioni prive dello spessore che solo la riflessione garantisce, come ha ben dimostrato il successo della fake news lanciata da un noto troll sulla presunta vita da croceristi dei migranti in mezzo al mare.

La rete è sì potenzialmente veicolo di cambiamento radicale, ma siamo noi a usarla, in un paese che rapidamente è regredito nella crescente ignoranza e nel disprezzo della cultura.

Lo strumento informatico, nell’epoca delle tre ‘i’, ha in superficie azzerato classe, genere e diversità nel comune denominatore dell’hate speech, salvo poi ritrovare proprio in quell’odio gli obiettivi classici della discriminazione di sempre: le donne, il mondo omosessuale, gli ebrei, i neri, i rom, le categorie e gli stereotipi cari alle tradizionali culture dittatoriali fondamentaliste del ‘900.

Di recente ho avuto una esperienza interessante che mi è servita per capire che effetto facciamo, come paese, agli occhi di chi ci guarda, ci studia e poi, per fortuna sua, può ripartire.

Un ricercatore universitario di origine italiana da anni emigrato in Canada, infatti, è stato ospite del progetto Altradimora aperta anche per conoscere il mio lavoro di attivista e femminista. Oltre alla dolorosa fitta di invidia nei suoi confronti, dal momento che lui potrà, tra qualche tempo, lasciare l’Italia, mi è stato molto utile il confronto con lui per ragionare intorno alla domanda che uno straniero da oltreoceano ovviamente rivolge: “Cosa sta succedendo in Italia”?

Ricordo come Lorella Zanardo raccontava che le sue colleghe europee glielo chiedevano guardando la degenerazione della macelleria dei corpi femminili sulle principali reti italiane, pubbliche e private, una decina di anni fa, tanto da farle decidere, del 2009, di produrre il documentario Il corpo delle donne. Ripercorrendo con l’amico italocanadese il ventennio alle spalle, ragionando con lui di corpi, di donne e di uomini e provando a individuare le analogie e le differenze tra i passato recente e ciò che sta avvenendo con l’avvento del governo a guida leghista e pentastellato, ecco alcune considerazioni.

1) Se è vero che già negli anni ’80 la politica del ‘900 cominciava a tramontare, con l’avvento della personalizzazione dei processi decisionali (il craxismo prima, il berlusconismo poi, passando per il renzismo, arrivando a noi con il grillismo e il salvinismo) mai come oggi si avverte, per chi l’ha conosciuta o studiata, la fine della politica come visione e come ideologia. Mi spiego: Berlusconi si presentò all’Italia come l’imprenditore/buon padre di famiglia che offriva esperienza, protezione e saldezza a chi gli avesse dato fiducia e consenso per salvare il paese dai comunisti, che minacciavano il benessere collettivo e la libertà. L’orizzonte era ancora, quindi, quello vasto della contrapposizione tra fronti che ereditavano una storia, delle radici nominabili. Si nominavano ancora le idee, gli ideali, gli orizzonti tematici. Poi: le donne erano mamme, zie e sostenitrici attempate buone per preparare torte, le più giovani potevano trovare qualche ricco per farsi mantenere, e l’imperatore stesso ne foraggiava un numero ingente come scuderia disponibile per le cene eleganti che soddisfacessero i suoi gusti da esteta. C’erano le corna nelle foto ufficiali, i commenti sulle donne potenti e poco avvenenti (Merkel culona e Bindi più bella che intelligente) ma c’era la promessa per chiunque stesse sotto la protettiva ala del padre di famiglia/salvatore della patria che sa anche raccontare le barzellette mentre sfila miliardi al fisco con l’aiuto di potenti avvocati e mafiosi di poter avere successo, non foss’altro perché, con il condono, poteva aggiungere un piano in più alla sua villetta unifamiliare. Il ‘900 stava tramontando, ma aleggiava una eco udibile del respiro culturale al quale la politica poteva fare riferimento (socialismo, liberalismo, comunismo, femminismo, responsabilità sociale gareggiavano ancora con il crescente neoliberismo che stava prendendo piede nella globalizzazione). Visioni allargate, insomma, contrapposte ma ancora in piedi, che chi faceva politica nominava.

2) Nel giro di boa del nuovo millennio si sono ‘rottamate’ le ideologie: proprio a sinistra il quarantenne fenomeno da Firenze introduce il termine (prima) usato nelle carrozzerie per nominare la rottura con le generazioni precedenti, inaugurando l’era del nuovo. E se il rompere con i padri e le madri sembra rendere la politica più contemporanea con l’avvento del twitt eletto a pensiero ecco che sarà proprio la retorica della rete come soggetto portatore di democrazia a sentenziare la fine del rottamatore.

Lo sciame vince, ma da solo non basta a garantire il cambiamento, perché la generazione del twitt è esperta nelle nuove forme tecnologiche ma non ha sufficienti contenuti solidi per reggere l’urto con la realtà, che non è liquida come la rete: è dura, lenta, inesorabilmente corporea. E mentre nello spazio di un battito di ciglia si riaffacciano le mamme con un dipartimento dedicato la scena piena è però conquistata dalle bambole gonfiabili, con le quali si umiliano tutte le donne attraverso il nome di Laura Boldini, terza carica dello Stato, una delle donne maggiormente prese a bersaglio dai futuri governanti di Lega e 5 Stelle. Anche questo è un fenomeno peculiarmente italiano, perché in nessun paese europeo esistono analogie in questo senso. Roba da primati (chiedendo scusa alle scimmie, ovviamente).

La donna del capo (quello che brandisce in pubblico la bambola gonfiabile tra le ovazioni del suo elettorato, non sappiamo che ne pensi lei) ha sì un contratto con la Tv di stato, (condurrà però un programma di grande audience che si svolge in cucina) ma è soprattutto una bella e dolce giovane che gli stira le camicie, che afferma essere giusto stare nella di lui ombra, che si rivolge ai santi per risolvere i suoi dubbi, mentre lui giura sul Vangelo confondendolo con la Bibbia e ignorandone l’abissale differenza: l’odio contro i diversi che lui esprime ogni giorno da quando è al governo è infatti prerogativa dell’implacabile Javè piuttosto che del (povero) Cristo che si è fatto corpo e sangue per dare parola e diritti alle persone umili, alle donne di strada, a chi è in difficoltà.

Ciò che fa impressione, rispetto ad appena due governi e due decenni fa, è che in Italia i confini della politica si sono ristretti in modo drammatico, e che questa riduzione riguarda il nostro modo di vivere come collettività, nel concreto della quotidianità. Sta soprattutto qui l’avvisaglia di un ritorno al fascismo, un pensiero mai davvero sopito in Italia. Proprio quella rete, il suo potenzialmente spazio infinito, che i quarantenni della generazione digitale hanno praticato e osannato ora diventa l’asfittico luogo dove definire confini sempre più ristretti. Un ossimoro straordinariamente grottesco e atroce: nello spazio privo di limiti del villaggio globale si grida alla chiusura dei porti, delle frontiere, dell’uscio di casa a stretta mandata. Mors tua vita mea: lo stridente motto dell’era arcaica del taglione assurge a progetto politico accreditato in prossimità del 2020.

Il villaggio c’è, ma non è quello globale, è quello delle mura di cinta, come nell’era feudale, e giù l’olio bollente. Virginia Woolf scriveva negli anni 40 del ‘900 di non avere patria in quanto donna, perché la sua patria era il mondo intero. Non si riferiva solo alla possibilità e alla necessità di viaggiare, ma alla propensione e al bisogno umano di conoscere, perché è attraverso la curiosità e la contaminazione tra diverse realtà che si evolve nei corpi e nelle menti. In Italia questo sta accadendo: che una generazione relativamente giovane ora al governo insegna ai suoi figli e figlie che l’essere in possesso di cittadinanza italiana (per nascita soprattutto da famiglia italiana eterosessuale) li rende superiori e migliori di chiunque, e che loro vengono prima. Sparita l’ambizione a primeggiare per cultura, sapere, creatività, capacità di accogliere e confrontarsi si promettono epurazioni, si offre l’esempio dell’urlo sulla ragionevolezza, si dileggiano l’istruzione e la mitezza in favore dell’odio. Dal vaffa pentastellato alla caccia al negro leghista l’arcaico regna sovrano.

Lontano, dalla politica degli anni ‘80 del ‘900 è ormai un’eco spenta la voce del presidente partigiano Sandro Pertini, che invitava a svuotare gli arsenali per riempire i granai. Lo stesso esortava, nel discorso di fine anno datato 1978 la gioventù italiana così: “Non armate la vostra mano. Armate il vostro animo. Non armate la vostra mano, giovani, non ricorrete alla violenza, perché la violenza fa risorgere dal fondo dell'animo dell'uomo gli istinti primordiali, fa prevalere la bestia sull'uomo ed anche quando si usa in stato di legittima difesa essa lascia sempre l'amaro in bocca.” Trovate le differenze con gli attuali statisti e governanti contemporanei in Italia.

(21 giugno 2018)

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