Il
mutualismo, da intendersi come strumento di solidarietà e condivisione
autogestita del benessere fuori dalle forme caritatevoli private e
pubbliche, è una costante della storia del movimento operaio – contadino
e artigiano.
È
stato un fenomeno diffuso nei paesi che hanno, più o meno direttamente,
assistito alla Rivoluzione industriale. Per quanto concerne l’Italia,
la pratica, che pure ha precedenti nelle formule corporativistiche
preunitarie, trova origine teorica e materiale nel Risorgimento,
laddove, ottenuta l’Unita nazionale, emergevano anche le problematiche
di carattere sociale. Le proposte di organizzazione mutualistica trovano
infatti scaturigine nel Risorgimento democratico, in quella, ancora
elitaria o comunque assai minoritaria, parte che aveva animato e guidato
i moti patriottici, constatando come l’agognata Unità avesse lasciato
intatti, nella gran parte del Paese, i vecchi assetti feudali di
proprietà terriera estensiva. Un problema di diseguaglianze che toccava,
per certi aspetti in modo ancor più preponderante, gli emergenti centri
industriali.
La
figura di riferimento di questa tendenza non può che essere quella di
Giuseppe Mazzini, ricordando che i mazziniani saranno i primi, tra gli
elementi progressisti, a finire nelle attenzioni della repressione nel
Regno d’Italia, dopo i “clericali” ed i “borbonici”, cioè i reazionari, i
nostalgici dei vecchi stati. Mazzini aveva subito certo l’influenza del
socialismo utopistico dei primordi (“Capitale e lavoro nelle stesse
mani”, un suo motto), rifiutando però l’idea dello Stato socialista, a
suo dire negazione del progresso umano, la lotta di classe e
l’abolizione delle classi stesse. Del resto, le sue riflessioni teoriche
guardavano ad un’Italia nel suo complesso profondamente arretrata, in
assenza di una classe operaia strutturata e, perciò, faceva più
affidamento sulla piccola borghesia, intellettuale o meno,
dell’artigianato e della piccola proprietà, esprimendo, comunque, punti
di vista molto destabilizzanti per l’epoca.
Su
impulso di questi postulati, nella Seconda metà dell’Ottocento si
affermavano un po’ per tutto il Paese, aprendo sedi anche nei centri più
piccoli, le associazioni di mutuo soccorso “far gli operai”. Vi si
iscrivevano, appunto, operai, contadini ed artigiani.
Il
cuore di queste organizzazioni era rappresentato dalla cassa comune, il
Banco del mutuo soccorso, nome notoriamente ripreso dalla celebre band
di rock progressivo degli anni Settanta del Novecento, con il versamento
periodico d’una quota associativa in vista dell’aiuto verso uno o più
associati in difficoltà, solitamente per malattia.
Il
simbolo del mutuo soccorso è in genere la stretta di mano, segno di
accordo e intesa. Si tratta di organizzazioni magari mai estintesi, dal
punto di vista strettamente formale, e giunte sino ai giorni nostri, un
po’ come per altri istituti associativi quali, ad esempio, le università
agrarie. Non di rado proprio le sedi storiche sono state restaurate, e
con esse gli affreschi e le insegne esterne, divenendo luoghi anche per
conferenze ed attività culturali.
Le
finalità del mutuo soccorso non sono di per loro eminentemente
politiche, anzi: il padronato e lo Stato vi possono vedere un espediente
per smussare, se non smorzare del tutto, la conflittualità sociale e
politica. Tuttavia, le sedi del mutualismo diventano indubbiamente anche
luoghi di scambio e di confronto tra persone che vivono perlopiù le
medesime condizioni sociali e di vita. Da qui, la maturazione della
consapevolezza di sé e, di conseguenza, la volontà di emancipazione.
Sono
i tempi che, altresì, stanno cambiando: cresce la coscienza di classe
nella società e, anche per l’Italia, “nel fosco fin del Secolo morente”,
il proletariato, urbano e rurale, si affaccia sulla scena politica.
Ecco il Secolo breve.
*Federazione del Sociale Usb Viterbo e Silvio Antonini, storico documentalista
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