Marco Aime Antropologo e scrittore
Non basta indignarsi per l’atteggiamento bullesco e per i toni sprezzanti del ministro dell’Interno, lui semplicemente fa il suo sporco lavoro, quello di distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali. Fa propaganda, anche se sulla pelle degli altri.
Quello che spaventa è il grande, sempre maggiore, consenso che questa linea riscuote tra gli abitanti del Paese. Tra quegli “italiani brava gente”, che per decenni si sono cullati su questo mito della bontà, dimenticando peraltro un ventennio di dittatura con tanto di leggi razziali. Almeno prima essere buoni era considerato un valore. Ora no. Meglio passare per cattivi, che a essere buoni non sia mai che si faccia la figura dei coglioni.
Sono cresciuto in una generazione che si era illusa che il razzismo fosse una di quelle cose rimaste sui polverosi scaffali della storia. Invece no, è qui, tra noi, in noi e non ha il volto arcigno che ci si attende. Non ha neppure una falsa teoria della razza o della superiorità “bianca” a cui appoggiarsi, semmai si aggrappa un neo tribalismo che assegna diritti sulla base del luogo di nascita. Nella migliore tradizione della nota “banalità del male”, il neo-razzismo indossa la maschera del buon senso, del sentire comune.
Primo Levi si chiedeva se era possibile condannare un intero popolo per ciò che era accaduto, conscio del fatto che no tutti avevano certamente partecipato a certe nefandezze. La risposta fu “Sì”, perché troppi erano stati in silenzio. Proviamo a pensare a cosa sta accadendo ora in Italia, in Ungheria, in Polonia, in Austria e in Francia senza minimizzare per favore, proviamoci noi che non la pensiamo come chi riesce persino a ironizzare e a fare sarcasmo sulle tragedia umane. Perché quelle parole di Primo Levi non ci cadano addosso come pietre, quando sarà troppo tardi.
Forse, spero, Orbàn, Le Pen, Salvini, Strache passeranno, ma quando non ci saranno più loro, non avremo più scuse. Dovremo guardarci in faccia e non sarà una cosa facile.
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