dinamopress Serena Tarabini
Erdogan ha fatto arrestare Enis Berberoğlu, deputato e vicepresidente del partito laico e kemalista CHP. Condannato a 25 anni di carcere per le denunce dei rapporti tra ISIS e il Sultano, è stato arrestato ieri. Decine di migliaia di persone sono scese subito in strada: da Ankara stanno andando a Istanbul.
L'attacco
all'opposizione in Turchia alza nuovamente il tiro. Il bollettino
quotidiano di arresti che si sussegue dal fallito golpe del 15 luglio,
ha riporta ieri un nome di spicco: quello di Enis Berberoğlu, deputato e vicepresidente del principale partito di opposizione del Paese, il laico e repubblicano CHP.
Il giorno prima, il tribunale di Istanbul aveva emesso per lui una
condanna a 25 anni. Il parlamentare è stato immediatamente condotto in
carcere.
Questa
volta non si tratta di un arresto di un membro della presunta rete
golpista facente capo a Fetullah Gulen. Emis Berberoğlu, che è anche un giornalista, è stato condannato per aver fornito allo storico quotidiano di opposizione Cumurhurriet, un video che documentava la consegna di armi da parte dell'intelligence
turca a truppe dell'ISIS. Il materiale confluì in un inchiesta che
venne pubblicata dal giornale provocando un enorme scalpore. Valse anche
al direttore della testata, Can Dundar, una condanna a 10 anni nello stesso processo per "rivelazione di segreto di Stato". Nessuno tocchi Caino.
Da
parte del CHP, il partito social democratico di ispirazione kemalista
che rappresenta la seconda forza politica del Paese, è partita
immediatamente una levata di scudi. Secondo il leader del partito, Kemal
Kılıçdaroğlu, dopo il risultato del referendum presidenziale (mai
accettato dalle forze di opposizione) è in atto un secondo colpo di
Stato. In una dichiarazione stampa rilasciata alla CNN turca dopo una
riunione di partito, la sera stessa dell'arresto, l'esponente politico
ha lanciato una chiamata alle piazze senza precedenti: una marcia per la
democrazia e la giustizia da Ankara fino al carcere di Maltepe a Istanbul, dove è rinchiuso il deputato del CHP. Insieme a tante altre vittime dell'ondata repressiva cavalcata da Erdoğan.
Decine
di migliaia di persone hanno risposto all'appello e in queste ore
stanno conducendo pacificamente una marcia destinata a durare almeno una
settimana, il tempo minimo necessario per coprire a piedi la distanza
di 400 kilometri che intercorre tra Ankara e Istanbul.
Tra
i partecipanti alla marcia ci sono giovani, anziani, studenti,
impiegati, liberi professionisti, avvocati, parlamentari. Vederli nelle
foto e nei tanti video che stanno facendo il giro dei social network è
commovente. Rappresentano la Turchia che ha detto No al referendum,
quella a cui la deriva autoritaria di Erdoğan sta cambiando maggiormente
la vita.
«La
marcia continuerà fino a che non ci sarà giustizia in questo Paese», ha
detto Kiliçidarolu prima di iniziare la marcia, che sta conducendo di
persona, reggendo un cartello con la parola "giustizia". Se in occasione
del referendum aveva evitato per motivi di sicurezza di convocare
manifestazioni di piazza, ora agli scrupoli dettati dalla prudenza sono
finiti. Quella in corso in questo momento è una mobilitazione
straordinaria in sé e per il contesto repressivo in cui si svolge,
perché molto raramente ormai la Turchia scende in piazza contro Il
governo.
Finalmente
il maggior partito di opposizione ha rotto gli indugi, si mobilita con
forza per il primo arresto tra i suoi deputati, mentre ben poco aveva
fatto quando a novembre scorso erano stati incarcerati 12 deputati del
partito filo curdo HDP, fra cui i suoi due leader
che si trovano ancora in carcere. Al contrario, la solidarietà e il
sostegno dei membri e dei sostenitori dell'HDP sono arrivati subito.
Quanto
sta accadendo indica anche un'altra delle tante contraddizioni e
divisioni che consentono a Erdogan di continuare a detenere il potere:
il deputato del CHP, come a suo tempo quelli dell'HDP, è finito in
carcere per effetto della caduta dell' immunità parlamentare approvata
nell'agosto 2016 grazie ai voti del suo stesso partito.
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