Verso una civiltà della decrescita è un libro densissimo, meritoriamente edito da Marotta & Cafiero che lo mettono in vendita a soli 10 euro, che contiene i contributi di ventidue fra studiose e studiosi, da Serge Latouche a Veronika Bennholdt- Thomsen, da Mauro Bonaiuti ad Alberto Castagnola, da Yves Cochet a Joan Martinez-Alier e a Mary Mellor e Giacomo D’Alisa.
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comune-info.netAlberto Melandri*
Il testo è preceduto da una precisa e ricca introduzione di Marco Deriu, che offre una panoramica generale sui temi trattati. Il libro costituisce un’ottima introduzione ai vari rami della ricerca compresi sotto l’ombrello della decrescita, orientati a promuovere un’uscita dalla civiltà rovinosa della crescita verso, appunto, una civiltà della decrescita, ‘un orizzonte di senso’, come lo definisce Latouche, necessario per superare le crisi economica, sociale, ecologica, di equità, di genere, intergenerazionale, climatica che stanno rovinando il mondo e chi lo popola.
Uno dei filoni di ricerca più originali che emerge dal testo è l’angolatura del pensiero femminista verso la decrescita, troppo sottovalutato secondo Veronika Bennholdt- Thomsen (qui un suo saggio splendido, È il mondo di tutti, dicono le donne, cambiamolo) e Paola Melchiori ; quest’ultima afferma che “ quello della decrescita (..) è tra i movimenti sociali quello più “assomiglia” al femminismo nella critica al modello di produzione e di civiltà. Tuttavia , non vi sono riferimenti al femminismo nella sua letteratura principale, né nelle discussioni al suo interno”.
Mary Mellor considera uno degli elementi centrali dell’ecofemminismo la convinzione che “l’ingiustizia sperimentata dalle donne sia connessa con il degrado e lo sfruttamento del mondo naturale”; “Le economie insostenibili sono state costruite da uomini dominatori ( e da qualche donna) in funzione degli interessi degli ‘uomini dominanti’ (e di qualche donna). Se l’ineguaglianza di genere nelle strutture economiche non viene affrontata, vi è il rischio che l’agenda della decrescita possa bloccare la crescita insostenibile, ma possa rafforzare l’ineguaglianza di genere nelle economie sostenibili”. Ancora Paola Melchiori , facendo rifermento alla tematica, più volte sottolineata da Latouche, della necessità di ‘decolonizzare l’immaginario’ si chiede:
Giacomo D’Alisa nel suo contributo “La scaturigine economica dei rischi ambientali”, esaminando le strategie applicabili per la risoluzione dei vari aspetti delle crisi, riporta le riflessioni di Funtowicz e Ravetz, che esaminano tre diverse strategie scientifiche. La prima comprende “ le normali procedure della scienza applicata” per la risoluzione di problemi quali la costruzione di un ponte per superare un piccolo fiume o casi simili. Quando lo scenario si complica e bisogna “realizzare un ponte con la campata più lunga mai realizzata in una zona a rischio di inondazione e (…) la realizzazione dell’opera comporta la delocalizzazione di persone ed attività socio-economiche” i consulenti devono essere pronti ad “affrontare situazioni imprevedibili” che vanno oltre quelle che prima sono state definite come ‘le normali procedure della scienza applicata’. Ma quando poi, i problemi diventano ancora più complessi, come ad esempio nel caso della costruzione del ponte sullo stretto di Messina, “non basta più in questi casi il giudizio (…) del gruppo di scienziati che dà l’assenso e certifica la validità di un certo studio e risultato scientifico”. Si rende necessario il ricorso a quella che Funtowicz e Ravetz chiamano la ‘scienza post normale’ quando la comunità che prende le decisioni va allargata a ”tutti quelli con un interesse nell’attività in questione” -, quindi anche le popolazioni che devono spostarsi o coloro che devono delocalizzare le loro attività produttive – che hanno il diritto di esprimere la loro opinione che deve avere la stessa dignità del parere dei tecnici.
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* Cies Ferrara, Pontegradella in transizione
comune-info.netAlberto Melandri*
Il testo è preceduto da una precisa e ricca introduzione di Marco Deriu, che offre una panoramica generale sui temi trattati. Il libro costituisce un’ottima introduzione ai vari rami della ricerca compresi sotto l’ombrello della decrescita, orientati a promuovere un’uscita dalla civiltà rovinosa della crescita verso, appunto, una civiltà della decrescita, ‘un orizzonte di senso’, come lo definisce Latouche, necessario per superare le crisi economica, sociale, ecologica, di equità, di genere, intergenerazionale, climatica che stanno rovinando il mondo e chi lo popola.
Uno dei filoni di ricerca più originali che emerge dal testo è l’angolatura del pensiero femminista verso la decrescita, troppo sottovalutato secondo Veronika Bennholdt- Thomsen (qui un suo saggio splendido, È il mondo di tutti, dicono le donne, cambiamolo) e Paola Melchiori ; quest’ultima afferma che “ quello della decrescita (..) è tra i movimenti sociali quello più “assomiglia” al femminismo nella critica al modello di produzione e di civiltà. Tuttavia , non vi sono riferimenti al femminismo nella sua letteratura principale, né nelle discussioni al suo interno”.
Mary Mellor considera uno degli elementi centrali dell’ecofemminismo la convinzione che “l’ingiustizia sperimentata dalle donne sia connessa con il degrado e lo sfruttamento del mondo naturale”; “Le economie insostenibili sono state costruite da uomini dominatori ( e da qualche donna) in funzione degli interessi degli ‘uomini dominanti’ (e di qualche donna). Se l’ineguaglianza di genere nelle strutture economiche non viene affrontata, vi è il rischio che l’agenda della decrescita possa bloccare la crescita insostenibile, ma possa rafforzare l’ineguaglianza di genere nelle economie sostenibili”. Ancora Paola Melchiori , facendo rifermento alla tematica, più volte sottolineata da Latouche, della necessità di ‘decolonizzare l’immaginario’ si chiede:
“Come
è possibile descrivere sia la società della crescita che quella della
decrescita, senza mai nominare il patriarcato, sia come colonizzazione
dell’immaginario che come forza agente in cui tutti viviamo, che tutti
agiamo o subiamo, uomini e donne?”.
Un altro tema
presente in diversi interventi è quello del rapporto fra crescita e
felicità: Marco Deriu riporta l’osservazione di Latouche sulla crescita, considerata “il fattore che ha reso il capitalismo sopportabile,
perché ha permesso ai paesi occidentali di scongiurare ribellioni e
rivoluzioni senza affrontare il problema di fondo della ripartizione e
della giustizia. Il diritto all’equità e alla redistribuzione della
ricchezza è stato per lungo tempo barattato con l’accesso al consumismo”
; ma oggi vediamo come il consumismo non produce felicità, ma
soprattutto “frustrazione, indebitamento, sovraimpiego, stanchezza” e
“nel frattempo le disuguaglianze sono a loro volta terribilmente
cresciute”. Quindi l’idea che la crescita sia apportatrice di felicità è
smentita dai fatti, come conferma il cosiddetto ‘paradosso di
Easterlin’ “per cui nel corso della vita la felicità di una persona non
dipende dalle variazioni di reddito: in un momento dato, quelli che
hanno un reddito più alto sono ‘in media più felici di quelli che hanno
un reddito più basso. Nel corso della vita, tuttavia la felicità media
di una coorte di persone rimane costante, nonostante una sostanziale
crescita del reddito, contraddicendo l’inferenza che reddito e benessere
procedano insieme“. Easterlin prosegue il suo discorso rilevando come
“la soddisfazione nella vita derivi da fonti multiple, non solo dai beni
materiali, ma anche dalla vita famigliare, dalla salute, dall’utilità
del lavoro e cose simili”.Giacomo D’Alisa nel suo contributo “La scaturigine economica dei rischi ambientali”, esaminando le strategie applicabili per la risoluzione dei vari aspetti delle crisi, riporta le riflessioni di Funtowicz e Ravetz, che esaminano tre diverse strategie scientifiche. La prima comprende “ le normali procedure della scienza applicata” per la risoluzione di problemi quali la costruzione di un ponte per superare un piccolo fiume o casi simili. Quando lo scenario si complica e bisogna “realizzare un ponte con la campata più lunga mai realizzata in una zona a rischio di inondazione e (…) la realizzazione dell’opera comporta la delocalizzazione di persone ed attività socio-economiche” i consulenti devono essere pronti ad “affrontare situazioni imprevedibili” che vanno oltre quelle che prima sono state definite come ‘le normali procedure della scienza applicata’. Ma quando poi, i problemi diventano ancora più complessi, come ad esempio nel caso della costruzione del ponte sullo stretto di Messina, “non basta più in questi casi il giudizio (…) del gruppo di scienziati che dà l’assenso e certifica la validità di un certo studio e risultato scientifico”. Si rende necessario il ricorso a quella che Funtowicz e Ravetz chiamano la ‘scienza post normale’ quando la comunità che prende le decisioni va allargata a ”tutti quelli con un interesse nell’attività in questione” -, quindi anche le popolazioni che devono spostarsi o coloro che devono delocalizzare le loro attività produttive – che hanno il diritto di esprimere la loro opinione che deve avere la stessa dignità del parere dei tecnici.
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Mauro Bonaiuti presenta, verso la fine del libro, una serie di ’scenari di futuro’ (qui il paragrafo completo, Disapprendimento e pensiero creativo),
partendo da una considerazione sul “complessivo rallentamento della
produttività che caratterizza le società capitalistiche avanzate” e
sull’ “incapacità dimostrata dalle economie avanzate negli ultimi
decenni di generare stabilmente crescita e occupazione”. In questo
quadro si delineano quattro diversi possibili scenari di futuro:
“il primo è il collasso della società” un destino che ha accomunato
l’impero romano, la civiltà Maya o l’isola di Pasqua. “Un secondo
scenario è quello che comporta qualche forma di involuzione autoritaria o
tecnocratica” come la reazione autoritaria che colpì l’Europa dopo la
crisi del ’29. Un terzo scenario è quello presentato da un certo numero
di economisti, convinti che l’innovazione tecnologica offrirà nuove
occasioni di rilancio, anche se “non esistono segnali all’orizzonte che
lascino presagire l’avvento di un tale novello Prometeo”. Anzi ci sono
segnali che fanno pensare che entro alcuni decenni si raggiungerà il
picco nella disponibilità di energia con successive fasi di
disponibilità sempre più decrescente di essa. Un quarto scenario può
essere quello dell’”avvento di una transizione verso una società
resiliente o di ‘decrescita serena’ “. Bonaiuti conclude affermando che
“Prima che l’insensatezza abbia il sopravvento,
riconoscere e, per quanto possibile, comprendere il tipo di dinamiche
in cui siamo inseriti ci sembra condizione necessaria per accompagnare
la grande transizione verso un progetto di futuro (…) socialmente
desiderabile”.
È proprio a questo obiettivo che questo saggio a ventidue voci si propone di offrire il suo contributo..
* Cies Ferrara, Pontegradella in transizione
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