I
veri delinquenti gestiscono banche, manovrano governi, svuotano di
risorse un paese e quando vanno in difficoltà pretendono di essere
salvati a spese di tutti i cittadini.
Ideologia? Giudicate voi…
Da
circa tre anni le due principali banche venete – Veneto Banca e
Popolare di Vicenza – navigano in acque pessime, pure avendo centinaia
di sportelli, migliaia di dipendenti e entinaia di migliaia di
correntisti. Colpa delle “sofferenze”, dei “crediti incagliati” o peggio
ancora “inesigibili”. Ovvero di prestiti concessi e non restituiti, né
restituibili.
Non
stiamo parlando di poveri lavoratori che hanno acceso un mutuo presso
questi istituti – per loro non c’è possibilità di fuga o di non
restituzione, grazie all’ipoteca che grava sull’immobile – ma di imprese
più o meno grandi, di imprenditori, faccendieri e truffatori ben
ammanicati. Una parte delle imprese è stata travolta da dieci anni di
crisi, che hanno dissanguato anche gli “eroi” delle mitiche filiere del
Nordest, i distretti, ecc, ora costretti a diventare contoterzisti
(fabbricanti di componenti che poi verranno assemblati altrove) per
conto delle filiere tedesche. Ma una parte ancora più grande delle
“sofferenze” riguarda un mondo di magliari più o meno legato alla
politica o alle varie massonerie locali, tutti naturalmente travestiti
da imprenditori.
Queste
due banche avrebbero ormai dovuto prendere la strada obbligata delle
imprese fallite: liquidazione coatta amministrativa, nomina di uno o più
commissari da parte del governo, vendita delle attività in positivo per
soddisfare almeno in parte i creditori.
Strada
certamente dolorosa, per i dipendenti che avrebbero perso il lavoro, ma
ancora di più per gli azionisti e gli “obbligazionisti senior”, quelli
professionali. In alternativa, secondo le infami regole fissate di recente dall’Unione Europea, si sarebbe potuto ricorrere al bail in,
massacrando anche in questo caso azionisti e obbligazionisti, ma anche i
normali correntisti con più di 100.000 euro depositati (e solo per la
quota eccedente, visto che fino a quella cifra c’è la garanzia dello
Stato). E’ la strada fatta percorrere a Banca Etruria e altri tre
istituti regionali (CariChieti, Banca Marche, CariFerrara), rifilando
una clamorosa sòla ai tanti ignari “obbligazionisti subordinati” – ossia
“non garantiti” – cui le banche in genere rifilano carta straccia
aziendale.
Ma, come spiega anche Luigi Zingales: “In
un sistema ideale, dove i bond vengono venduti solo agli investitori
istituzionali, il bail-in è corretto. In Italia, dove sono stati
rifilati alle famiglie, no”. Dunque
Pier Carlo Padoan e Gentiloni hanno preferito non bissare la pessima
esperienza renziana su Etruria e le altre, preferendo attendere che
arrivasse un “cavaliere bianco” in grado di salvare il salvabile.
Peccato
che il cavaliere in questione si sia presentato con le fattezze di
avvoltoio di Banca Intesa, che ha offerto un euro – 1 euro – per
“comprare” soltanto le parti buone delle due banche venete. Ossia
sportelli, conti correnti e dipendenti. Mentre pretende che le
“sofferenze” – quantificate dal Sole24Ore
in almeno 20 miliardi – vengano comprate da qualcun altro. In più,
pretende anche un fondo di risoluzione per sistemare i dipendenti che
riterrà eccedenti, dunque da licenziare (fondendo tre banche radicate le
territorio andranno come minimo smaltiti i doppioni che prima si
facevano concorrenza).
Diciamo
la verità: a fare i banchieri così sono buoni tutti, anche noi. Anzi,
potremmo offrire anche 2 euro – il doppio! – per fare esattamente la
stessa operazione e magari salvare qualche posto di lavoro in più.
Fin
qui tutto sembra andare secondo le famose “regole di mercato”: due
banche vanno verso il fallimento, una terza è disposta a prendersele,
naturalmente buttando a mare tutto quello che non le serve e potrebbe
provocare danni (sofferenze, debiti, cause legali, ecc).
Il problema è però: chi diavolo mai dovrebbe farsi avanti per
“comprare” le parti deteriorate che non valgono più nulla, pagandole per
di più a “valore di libro” (gli importi esatti dei prestiti non
restituiti e fin qui tenuti tra le “attività”)?
Solo un imbecille patentato, ovvio, un pollo da spennare.
E
questo imbecille si sta facendo avanti. Si chiama Stato italiano e
intende mettere 20 miliardi per tappare un buco immenso da cui non
tornerà mai indietro un euro.
Ovviamente
si tratta di soldi nostri, pagati con le tasse oppure dirottati verso
questo scopo, anziché verso la spesa pubblica sociale (sanità, pensioni,
istruzione, prevenzione calamità naturali, ecc).
Il governo aveva fiutato l’aria che spirava nelle banche già da tempo, e dunque a Natale 2016 aveva
previsto un “fondi di garanzia” – guarda le coincidenze – da 20
miliardi, con cui eventualmente affronatare le prevedibili crisi nel
sistema bancario. Il triplo netto di quanto speso in 15 anni per
privatizzare Alitalia. Ci venne detto che si trattava solo di
“garanzie”, ossia promesse di muovere soldi veri sono in casi
straordinarissimi.
Il
caso è ora qui. E basta da solo a fagocitare tutto quel tesoretto che
sarebbe dovuto servire a coprire l’intero sistema bancario nazionale. E
neanche va bene, così com’è.
Il
governo dovrà infatti varare un decreto correttivo del vecchio fondo di
garanzia, perché quello prevedeva solo due modalità di intervento
pubblico: a) “l’acquisto
di azioni delle banche per rafforzare patrimonialmente” gli istituti,
oppure b) “garanzie su passività di nuova emissione”. Traduciamo: o per
entrare nelle banche come azionista, per risanarle e magari guadagnarci
qualcosa se l’operazione fosse andata a buon fine, oppure per consentire
alla banca di reperire sul mercato nuova liquidità (le garanzie statali
servono in questo caso a restituire credibilità operativa a un istituto
che l’ha persa).
Qui,
invece, si stratta di buttare soldi in un pozzo senza fondo, per
soddisfare la marea di creditori che si presenteranno a riscuotere
qualcosa che le due banche non potrebbero mai dare.
Si
regalano soldi pubblici a operatori finanziari privati, insomma, che
sarebbero stati altrimenti “bastonati” dal fallimento delle due banche.
Dov’è
l’interesse pubblico, statuale, nell’operazione? Non c’è. Lo Stato non
ottiene nulla in cambio, neanche la salvaguardia dell’occupazione. Le
parti in attivo delle due banche, infatti, verrebbero prese da Intesa a
gratis. Tutto il resto è fare da ufficiale pagatore verso privati.
Confermiamo
l’offerta precedente. Anzi, l’alziamo: offriamo 10 euro per ognuna
delle due banche, invece del misero euro dell’”offerta” di Intesa. Ce le
date?
Come dite? Non siamo abbastanza delinquenti? Lo sospettavamo…
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