global project Riccardo Bottazzo
25 / 6 / 2017
Una lunga striscia di sabbia. Una
volta lo chiamavamo fiume Adige. E la Piave, solo per restare in Veneto, non è
ridotta molto meglio. In quanto al lago di Garda, uno dei bacini idrici più
grandi d’Italia, siamo all’allarme rosso: il livello sta scendendo di due
centimetri al giorno e attualmente è attestato sui 70 cm, contro i 128 o 130
dei tre anni precedenti.Le altre regioni italiane non sono messe meglio. Solo nell’ultimo anno, in Sicilia, le riserve idriche sono scese del 15 per cento. In Emilia, le città di Parma e Piacenza hanno dichiarato lo stato d’emergenza. La Sardegna è alla disperazione. Rispetto alla stagione precedente, le precipitazioni sono state minori del 40 per cento e il rifornimento idrico per le coltivazioni hanno registrato punte del 90 per cento di deficit. Anche se la situazione migliorasse improvvisamente, saranno ben poche le coltivazioni dell’isola che riusciranno a sopravvivere.
E poi leggi che il Food sustainability index – lo studio internazionale dell’Economist Intelligence Unit che mette in relazione risorse e sostenibilità – piazza l’Italia al sesto al mondo per quantità di acqua a disposizione!
Stavolta però, i cambiamenti climatici non c’entrano. O meglio, c’entrano a livello globale. L’eccezionale ondata di caldo ha colpito tutto il bacino Mediterraneo sino al nord Europa. Solo in Italia, è stata registrata una temperatura media di 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Fatto salvo per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nessuno mette più in dubbio che questi picchi siano imputabili alla nuova stagione climatica verso cui l’intero pianeta si sta avviando, oramai, senza possibilità di ritorno.
Ma perché allora abbiamo scritto che, nel caso dell’Italia, i cambiamenti climatici non c’entrano con la siccità? Perché l’Italia avrebbe tutti i mezzi per far fronte perlomeno a questa prima fase dei cambiamenti se avesse dei politici all’altezza di gestire le risorse a disposizione. Politici capaci di uscire dalla fase emergerziale per impostare una oculata politica di gestione del bene comune.
Ed invece è l’opposto: il tema dei cambiamenti che avrebbe bisogno di strategie più a lungo che a breve termine, è sottovalutato – per dirla in maniera gentile – dai nostri politici di Governo e anche di opposizione. Evidentemente, è un tema che, al contrario di quelli legati alla “sicurezza” e al “degrado”, non porta facili consensi.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Siamo uno dei Paesi più ricchi d’acqua e sprechiamo al bellezza di 2,8 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno – più di un quarto del totale – convogliandola in acquedotti che sono delle autentici scolapasta. Anche gli acquedotti dell’antica Roma erano più funzionali degli attuali.
E non è tutto. Anche noi italiani, siamo spreconi. Colpa nostra certamente, ma anche di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto una efficace informazione. Il nostro consumo pro capite è superiore al 25 per cento rispetto alla media europea.
E vanno pesati anche i consumi dovuti ad una agricoltura che ha fatto dello spreco, dell’insostenibilità e dei sussidi statali il suo punto forte. L’89 per cento delle nostre risorse idriche se ne vanno a coprire queste produzioni. E anche qua, siamo gli ultimi in Europa con un utilizzo di oltre 2 mila e 200 litri per italiano all’anno. Come dire che se ogni giorno ciascuno di noi beve circa due litri d’acqua, ne consuma quasi 5 mila per l’alimentazione. Basterebbe solo adottare la dieta mediterranea – si legge nel Food sustainability index – privilegiando i prodotti di stagione prodotti da una agricoltura per quanto possibile sostenibile e non aggressiva verso l’ambiente, per abbassare a 2 mila litri al giorno il consumo pro capite e rientrare nei parametri europei.
Tutti discorsi che la politica di governo, impegnata a salvare banche e a costruire emergenze sui migranti, non vuole ascoltare. Preferisce dichiarare “Stati di emergenza” – come ha fatto il governatore del veneto, Luca Zaia – che hanno il solo obiettivo di mungere qualche milionata di euro allo Stato. Euro che finiranno nelle tasche degli agricoltori in modo da che possano continuare a fare agricoltura proprio come la fanno adesso e che, di sicuro, non verranno utilizzati per mettere in efficienza il nostro disastrato sistema idrico. Senza contare che la cattiva gestione delle risorse idriche ha avuto come conseguenza in tante amministrazioni, il loro affidamento al privato. Cosa che, come era lecito aspettarsi, ha comportato solo un aggravio di spesa per i contribuenti ed un peggioramento della gestione complessiva della “merce” in termini di sprechi. Più ne viene adoperata, e più il privato guadagna.
Quello che non vogliono sapere, i nostri amministratori, è che gli studi della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Desertificazione, hanno inserito nelle zone a rischio anche l’Italia. Il 70 per dell’intera Sicilia, il 58 per cento della Puglia e del Molise e, in percentuali poco minori anche le altre regioni, rischiano di trasformarsi in un Sahara.
Se va avanti così, tra i futuri migranti climatici, che tra il 2008 e il 2015 sono stato oltre 200 milioni, presto ci saremo anche noi italiani.
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