Non è la siccità - o, almeno, non è soltanto la siccità - se è vero che oltre un terzo dell'acqua viene dissipata; lo afferma la stessa Acea
spiegando che "la rete idrica a Roma è molto vecchia, [...] e a causa
di rotture o di allacci abusivi perde il 40% dell'acqua". Non è neppure
un'emergenza - ossia una "circostanza imprevista", come da definizione della Treccani - perché persino chi gestisce il servizio idrico nell'area romana ha ammesso, parlando col Corriere della Sera, che "questa siccità va avanti da due anni".
E, però, nonostante tutto, da qualche giorno ecco decretata la siccità
come la causa d'ogni male, e sui giornali compare di nuovo quella parola
che in Italia spesso prepara l'assoluzione d'ogni peccato più d'una
confessione al prete: "emergenza".
Naturalmente,
la siccità è tra le cause dello stato del lago di Bracciano e, più in
generale, di quello di tante riserve d'acqua in Italia ma, se è vero che
l'acqua che viene prelevata poi si perde per strada, e dunque si spreca
per il 40% a causa di una rete idrica con qualche acciacco di troppo,
e se tutto ciò era noto da tempo, e se da tempo va avanti anche la
siccità, ecco che allora diventa difficile parlare sul serio di
emergenza e si dovrebbe invece iniziare a spiegare come mai si sia
arrivati al punto di disperdere - e quindi sprecare - molta parte
dell'acqua captata. Ecco che allora la siccità, aggravando le sofferenze
di un sistema, più che la causa dello stato delle cose, appare come
l'elemento in grado di rendere evidenti a tutti alcuni problemi come
appunto quelli relativi alla gestione dell'acqua. E questo genere di
questioni hanno a che fare, più che con la siccità, soprattutto con
l'opera dell'uomo e, più di tutto, con la politica.
Se
tutto questo è vero, allora era anche del tutto prevedibile che sarebbe
finita così: è da mesi che il livello del lago di Bracciano si abbassa e
lentamente si scopre il fondo, emergono resti archeologici e restano
all'asciutto persino i frangiflutti. Tutto ciò, però, salvo poche
eccezioni sino a qualche giorno fa non faceva notizia. Eppure, di storie
da raccontare da quelle parti ce ne sarebbero state tante; sarebbe
stato bello leggerle per tempo sui giornali, e invece nulla; nulla e
quasi neppure il banale resoconto delle proteste che pure da quelle
parti si facevano sentire.
C'è
da chiedersi come mai, e perché - salvo la stampa locale e localissima -
l'informazione abbia perso la consuetudine con la cronaca e con il
racconto della realtà salvo poi finire per stereotipare ogni cosa, come
accade adesso con la riduzione d'una storia nota da mesi al racconto di
una emergenza che emergenza a quanto pare non è. Al di là del rapporto
col potere, per chi fa cronaca alcune risposte sono evidenti e
spiacevoli poiché rischiano di avere il sapore del declino d'un
mestiere.
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