La notte in cui la sinistra perde le sue roccaforti storiche e trionfa il forzaleghismo, costringe il segretario Pd a un cambio di strategia difficile e doloroso: puntare a fare il pieno dei voti pur sapendo che in quel campo in molti non sono più disposti a concedergli la leadership della coalizione.
L'Espresso M. DamilanoE' stata una prova elettorale figlia di una doppia assenza. Uniti nel distacco dalle urne, per una volta, l'elettorato e i leader. Il popolo è restato al mare e i segretari sono andati in vacanza. Matteo Renzi alla festa di San Giovanni, Beppe Grillo resta a casa e diserta la sua sezione elettorale di Sant'Ilario. Ma la lontananza ostentata dei capi dalle telecamere e dai comizi - è solo una consultazione locale - non basta a cancellare in una notte d'estate la disfatta della sinistra in tutte le sue forme, il centrosinistra unito, a Genova e a L'Aquila, il Pd di Renzi, l'abbraccio con l'ex leghista Flavio Tosi a Verona, il Movimento 5 Stelle costretto ad assistere al trionfo del primo dei suoi sindaci, il Pizzarotti di Parma che fosse ancora nel Movimento oggi sarebbe da mettere in vetrina, altro che Virginia Raggi. E soprattutto la resurrezione della destra.
Su 25 capoluoghi al voto il centrosinistra ne amministrava 16, il centrodestra sei. Il centrodestra ne espugna quindici, il centrosinistra si ferma a cinque, nonostante la conquista inattesa di Lecce, da sempre in mano al centrodestra, e di Padova, dove cade il sindaco-sceriffo Massimo Bitonci, più in linea con Salvini che con Zaia. Ma il Pd perde in Lombardia roccaforti storiche come Sesto San Giovanni, ritorna all'opposizione a Como e Lodi, la città del numero due del Pd Lorenzo Guerini, va sotto a Pistoia nella rossa Toscana e in Emilia a Piacenza, affonda in Liguria, nella città del ministro Andrea Orlando La Spezia e soprattutto a Genova.
La Lanterna non è più rossa, per la prima volta svolta a destra, trainata dal governatore forzista Giovanni Toti e dalla Lega, al termine di una lunga crisi della sinistra locale che andava avanti da anni, dalla vittoria di Marco Doria alle primarie del 2012 fino alla sconfitta alle regionali del 2015 di Raffaella Paita. Fine delle industrie di Stato, della mediazione del partito e del sindacato, ma anche tramonto di una identità che aveva resistito contro tutti i cambiamenti e superato ogni tempesta. La destra vince nei quartieri popolari, dove il popolo ha preferito restare a casa.
Il forzaleghismo perde a Padova contro il candidato del Pd Giordani in alleanza con il civico Arturo Lorenzoni, ma vince contro se stesso a Verona, dove il competitore era l'ex Flavio Tosi con la sua compagna Patrizia Bisinella e il supporto del Pd, nel Veneto che ha atteso con preoccupazione il decreto governativo di salvataggio per Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, destinato a infiammare le polemiche nei prossimi giorni. E il berlusconismo torna a L'Aquila dopo la giunta di centrosinistra che aveva gestito il dopo-terremoto, forse la sconfitta più amara per il Pd, con l'uscente Massimo Cialente che balbetta: «Io non ci sto capendo più niente. Il nostro elettorato non va più a votare».
Matteo Renzi non c'è, non ha voluto mettere la faccia neppure per un istante su queste amministrative, nonostante il profluvio di parole, rassegne stampa on line, comparsate tv. Come aveva fatto un anno fa, quando aveva tolto di peso alle sconfitte di Roma e Torino per indicare nel referendum costituzionale la vera partita da vincere, e si è visto com'è andata.
Eppure è segretario del Pd dal dicembre 2013, con la breve interruzione di quest'anno per rivincere le primarie. In questi anni ha perso Roma, Torino, Genova, Venezia, Perugia, capoluoghi di provincia da tempo in mano al centrosinistra. Si è battuto contro il Movimento 5 Stelle e scopre che l'elettorato moderato torna a preferire il centrodestra.
L'unico vittorioso, Giordani a Padova, nega l'appartenenza di partito e si veste da civico. Ora Renzi si trova di fronte alla necessità di un cambio di strategia difficile e doloroso: puntare a fare il pieno dei voti del centrosinistra, sapendo che in quel campo in molti non sono più disposti a concedergli la leadership della coalizione? Nel Pd torneranno ad alzare la voce non solo gli avversari («cambiare linea», dice subito Orlando), ma anche i sostenitori finora silenziosi, come Franceschini, e amici come il ministro Delrio.
Il gioco alternativo, andare da soli e puntare all'alleanza con Berlusconi, il Nazareno-bis, è più difficile. L'altro Matteo, Salvini, prende una botta a Padova ma ha ragione di esultare per il resto del bottino. Canta andiamo a governare imitando Rovazzi, anche lui ha il suo Gianni Morandi da affiancare, la vecchia gloria, ovvero Silvio Berlusconi.
Cambi di strategia anche nel centrodestra: per Berlusconi, indubbio vincitore di questa prova elettorale, sarà più difficile da domani dire che vuole andare da solo. Anche perché Salvini farà di tutto per costringerlo a un matrimonio di interesse, il listone unico, la coalizione, il Perimetro, lo chiama Daniela Santanchè nella notte. Il Perimetro della destra, se unito, potrebbe vincere le elezioni. Ma Berlusconi, in tutta evidenza, non ne ha molta voglia. Non ha nessuna intenzione di consegnare il suo partito alla Lega soltanto perché si è vinto a Genova. E così il Vincitore Berlusconi e lo Sconfitto Renzi hanno in comune un problema e la soluzione potrebbe essere il ritorno alla legge elettorale tedesca bocciata in Parlamento.
Perché per Berlusconi vincere con il centrodestra unito equivale quasi a quello che significa per Matteo Renzi perdere con il centrosinistra. Trovarsi imprigionati con alleati scomodi che ti vogliono superare o eliminare. Con un elettorato, quello di M5S, che ha preferito restare a casa. E tanti cittadini che restano a guardare, in attesa di una novità che per ora non si vede. Per evitare che anche nel 2018 a vincere sia il partito dell'astensione, trionfante a Trapani. Con i candidati sindaci indagati e l'elettorato lontano dalle urne, il Comune sarà commissariato. In un pezzo d'Italia che assomiglia sempre più a un racconto di Saramago.
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