26 / 6 / 2017 global project Anna Irma Battino
Le
proteste e i tafferugli nei diversi Pride mondiali non sono una novità.
Kiev, Mosca, Belgrado sono solo alcune delle tante città che sono
diventate teatro di violenze omofobe, in occasione delle manifestazioni
per i diritti gay.
Un fatto
non nuovo anche a Istanbul. Ieri il corteo per il Gay Pride, che si è
tenuto ininterrottamente dal 2003 senza incidenti, ad eccezione
dell’anno scorso, si è trasformato, per il secondo anno consecutivo, in
una giornata di tensione. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva
imposto il divieto di manifestare per questioni di ordine pubblico, che
riguardavano sia la minaccia di attacchi terroristici da parte dello
Stato islamico sia per le minacce arrivate da un gruppo giovanile
ultra-nazionalista che aveva definito il corteo "immorale".
Migliaia di persone hanno comunque sfidato il diktat e sono scese in piazza.
La
polizia, schierata in forza già dal mattino, prima ha impedito ai
manifestanti l'accesso in piazza Taksim, poi è intervenuta sparando
proiettili di gomma per disperdere il corteo arrivando infine ad usare
anche gli idranti. Le forze dell’ordine hanno arrestato una decina di
persone, rilasciate solo questa mattina.
Il
quattordicesimo Pride di Istanbul ha ricalcato i sentimenti di
pregiudizio a sfondo religioso, che sempre più stanno prendendo piede
nel paese anatolico dando di fatto piena legittimità alle posizioni dei
fondamentalisti islamici, a danno di centinaia di migliaia di gay,
lesbiche e trans del paese. Istanbul era vista come un luogo sicuro per i
membri della comunità gay da tutto il Medio Oriente, inclusi i profughi
provenienti dalla Siria e dall'Iraq. Un clima che però sta
drasticamente cambiando dietro la spinta politica ed ideologica di
Erdogan e del suo partito. Teniamo presente che le cariche contro i
manifestanti di ieri si sono scatenate durante la lettura di un testo di
rivendicazione dei diritti delle persone Lgbt.
In
Turchia, il fanatismo estremista sta sempre più condizionando e facendo
regredire il piano dei diritti dei cittadini. Se a questo aggiungiamo
che la polizia non ha preso di mira solo i manifestanti, ma ha anche
tentato di intimidire la stampa, notiamo come la repressione per mano
dell’esercito sia ormai una prassi oliata e certificata. Niente di meno
che un’ulteriore riconferma dell’intolleranza e un’ulteriore riconferma
dell'autoritarismo strisciante in Turchia sotto la consolidata egemonia
del Partito di giustizia e sviluppo, Akp
Anche
se l'omosessualità è stata legalizzata in Turchia dal 1923, il paese ha
uno dei peggiori record nelle violazioni dei diritti umani contro la
comunità Lgbt. Anche se l'omosessualità non è un crimine in Turchia, a
differenza di molti altri paesi musulmani, la sua persecuzione sociale è
storicamente diffusa. Il presidente Erdogan e il suo
partito Akp mostrano sempre meno interesse ad espandere i diritti per le
minoranze, i gay e le donne e chi esprime qualsivoglia forma di
dissenso.
L’intolleranza verso i
cittadini Lgbt esiste in gran parte della società e questo rende
difficile attuare una contrapposizione forte rispetto a determinati
eventi: 41 reati di odio contro le persone lesbiche, gay, bisessuali o
transgender che hanno portato alla morte dal 2010 al giugno 2014.
Possiamo
citarne alcuni, come nel 2009 quando Eda Yildirim, un lavoratore di
sesso transessuale, è stato decapitato e bruciato vivo. Nel 2015, un
altro lavoratore di sesso transessuale, è morto dopo essere stato
pugnalato 200 volte da un cliente. Non ultima nel 2016, una giovane
donna transessuale chiamata Hande Kader, una delle portavoce della
comunità Lgbtq istanbuliota, che è stata violentata e bruciata viva.
Nessuno
degli accusati o degli indagati ha mai risposto penalmente o è stato
perseguito dalla legge. Questo è un chiaro segnale di come l’ascesa di
Erdogan abbia incrementato i sentimenti conservatori, più islamisti e
più omofobi nel paese. Non è da meno la stampa, dato che l’ostilità alla
comunità Lgbt è penetrata nelle organizzazioni di stampa
pro-governative della Turchia. Un esempio: sulla scia dell'attacco
terroristico di Orlando nel 2016, quando 49 persone furono uccise in una
discoteca, una delle maggiori emittenti turche etichettava l’accaduto: "50 pervertiti uccisi in discoteca ".
La
corrente che tira dal Bosforo non promette niente di buono: la continua
stretta repressiva sta chiudendo qualsiasi spazio di agibilità
politica. Chiunque provi a contrastare le scelte del governo incontra
repressione e polizia ed è ormai difficile sentirsi levare voci
discrepanti a quelle del Sultano. E ciò che è accaduto ieri durante il
Pride non è che l’ennesima riconferma. Sul sito dell’Istanbul Pride si
legge: “Vorremmo sottolineare, ancora una volta, che noi non siamo in un
posto particolare, in una città particolare. Noi siamo ovunque. Non
vogliamo che la nostra voce sia udita solo per un giorno, ma tutti i
giorni. Per questo diciamo ancora una volta: fateci l’abitudine, noi
siamo qui e non ce ne andremo”.
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