Il segretario minimizza la debacle. Il timore del logoramento.
Alessandro De Angelis
Politics reporter, L'Huffington Post
Niente autocritica, dopo la botta. In nottata,
Matteo Renzi scrive, anzi è costretto a scrivere rispetto alle
intenzioni di continuare a non mettere la faccia sul voto: "Il risultato
- si legge sul suo profilo facebook - non è un granché, poteva andare
meglio. Ma non è un campanello d'allarme. Le amministrative sono altra
cosa rispetto alle politiche". Soliti toni sul "chiacchiericcio"
annunciato nei prossimi giorni dei "soliti apocalittici", gente "che non
ha mai preso un voto e commenterà con enfasi". Parole tranchant anche
rivolte a chi, come Andrea Orlando, chiede una riflessione
sull'isolamento del Pd: "Qualcuno dirà che ci voleva la coalizione,
ignorando che c'era la coalizione sia dove si è vinto, sia dove si è
perso".
La verità è che la sconfitta brucia.
Il Pd passa da 14 a 4 capoluoghi
di provincia e sprofonda nella zone rosse: Genova, La Spezia, Pistoia,
Piacenza. Sopra il Po il centrosinistra vince solo Padova. Altro che
voto locale.
È l'ennesima sconfitta che arriva a un anno da Roma e
Torino e sei mesi dopo il referendum. A microfoni spenti anche nel suo
partito in parecchi iniziano a constatare che il mito del "con me si
vince" si è incrinato, per usare un eufemismo. Si arrocca, Renzi. Mette
le mani avanti, prova a minimizzare, anche per aggiustare la "linea" dei
suoi che fino a quel momento avevano usato, come Ettore Rosato a Porta a
Porta, una parola impronunciabile: "sconfitta". Meglio parlare di luci e
ombre, dire che è andata meno peggio del previsto. Pare che gli exit
arrivati nel pomeriggio fossero assai peggiori:
è andata bene a Lecce,
Padova Taranto, Lucca.
Il Nazareno è deserto, col solo Matteo Ricci alle prese con numeri e
dati. Pare una metafora di un partito prosciugato. Un renziano di rango
spiega quale è il vero problema, che con le città c'entra ben poco: "Con
questo voto si cristallizza il quadro politico nazionale. Gentiloni è
più forte". Il che tradotto significa che quella tentazione, difficile
ma mai sopita di elezioni anticipate, va repressa. Il tempo in questo
quadro è sinonimo di logoramento. Al momento, nel quartier generale
renziano, nessuno pensa che Forza Italia possa indurire il suo
atteggiamento parlamentare, neanche dopo la risurrezione del
centrodestra nelle urne. Il problema però non è questo. È il timore di
una trappola a sinistra. C'è un motivo se il capogruppo del Ettore
Rosato, a Porta a Porta, già adesso invoca chiarezza sulla manovra
economica di ottobre dagli alleati di governo. Secondo i renziani,
quelli di Mdp stanno solo aspettando che si chiuda formalmente la
finestra elettorale per poi "sfilarsi" dalla maggioranza, già a ottobre.
E costringere il Pd ad approvare la manovra con Forza Italia. Sarebbe
il primo atto di una lunga campagna elettorale che mira a "schiacciarlo"
al centro e ad aprire nuovi spazi a sinistra.
Logoramento è anche il dibattito interno. In queste settimane già si è
registrato un forte pressing sulla necessità della "coalizione", anche
da parte di un padre nobile come Romano Prodi. La frana nei ballottaggi è
destinata a intensificarlo, anche all'interno. Andrea Orlando martedì
chiederà scelte radicali: "È solo il tentativo di arrivare a un nuovo
leader per il 2018" dicono al Nazareno. Meglio negare la frana. E
arroccarsi. Senza parlare dell'ennesima sconfitta.
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