Sergio Cabras è uno che non ha più molta voglia di parlare, preferisce ascoltare il silenzio, dice. Una scelta che, a prenderla sul serio, è difficile non condividere. Nel diluvio di parole inutili che ci piovono addosso, si dovrebbe parlare solo quando si pensa di aver davvero qualcosa di meglio del silenzio da dire.
di Sergio Cabras |
Non capita spesso. Il problema
nasce dal fatto che Sergio vive di quel che produce con la terra ma ne
ha parecchie di cose da dire. Per questo scrive libri che parlano di
temi seri, con un punto di vista che non può non interrogare tutti. Come
nel caso dell’ultimo, “L’alternativa neo-contadina” (sotto,
l’introduzione), un testo che pone, tra l’altro, la gran domanda delle
domande: come possiamo vivere meglio? Cabras racconta le sue scelte e le
idee che l’hanno portato a compierle, andando – diremmo noi – alla
ricerca di mondi nuovi. Il cammino aperto da Cabras sembra inoltrarsi
senza esitazioni fuori dal Sistema, una dimensione preferita a quella,
necessariamente più collettiva, del dentro-e-contro (o magari oltre) il
Sistema dominante, che abbiamo visto in altri percorsi nati da uno
stesso o da un simile rifiuto del pensiero e delle relazioni sociali
dominanti. Un confronto sempre ricco, quando non contrappone identità.
In questo libro non si parla, dunque, di modelli agricoli o bucolici.
Anzi non si parla di modelli, finalmente. Ben altro è il terreno che
propone, affrontando domande che le persone aggrappate a quel che resta
del fare e del pensare critico – per esempio chi cerca l’autonomia, o
almeno l’indipendenza, nella produzione del cibo e di quel che serve o
desidera – non possono non porsi
Questo non è un libro che parla dei pregi dell’antica vita contadina e nemmeno veramente di agricoltura: nell’alternativa neo-contadina di cui parlo l’aspetto neo è altrettanto importante di contadina, ma ciò che soprattutto è al centro del discorso oggetto di questo libro è l’alternativa. Certamente mi rivolgo soprattutto a chi, nell’esser contadino nel contesto del XXI secolo in Europa, vede una scelta di vita che ha delle ragioni profonde e in profondo dissenso col modello di civiltà – sempre che questa parola sia adeguata – che ci vediamo intorno. È più che altro di queste ragioni che mi interessa qui parlare. Non è quindi un libro sull’alternativa contadina come modello di agricoltura altro da quello dominante (a questo ho dedicato il mio lavoro precedente[1]), quanto piuttosto sulla scelta di una dimensione di vita neo-contadina come alternativa esistenziale al modello unico del Sistema.[2]
Non ci mancano le informazioni su cosa succede nel mondo, abbiamo raggiunto un livello di sviluppo, economico, tecnologico, di istruzione diffusa…che ci permetterebbe di tentare strade nuove e diverse. Queste strade possono darsi sia a livello individuale che di piccoli gruppi locali che, più ampiamente, del modello di società. Abbiamo le condizioni e le risorse di base per poter sperimentare forme di vita e di economia più sensate di fronte ai gravi pericoli che sappiamo avere davanti. Ed invece, ciò che sta davanti agli occhi di tutti noi è che tutto procede sempre più come se si trattasse di un percorso obbligato e senza alternative che si possano considerare credibili verso quello che sappiamo essere l’inevitabile esito tragico dell’insostenibilità di questo sistema.
Sono pochi e sempre meno gli entusiasti/estremisti del mainstream che rifiutano di riconoscere l’evidenza di questa insostenibilità – che peraltro è ben visibile, oltre che scientificamente dimostrata, sotto molteplici aspetti. Ma ancor meno, purtroppo, sono coloro i quali, pur vivendo con disagio crescente questo stato di cose, fanno il passo di cambiare direttamente qualcosa di strutturale nella propria vita, dissociandosi dalla propria partecipazione a sostegno di questo Sistema (partecipazione che avviene nei fatti, seppur spesso contrariamente alle proprie convinzioni).
Credo che una dimensione di vita (e quindi un’economia, una rete di relazioni sociali, una cultura…) neo-contadina sia la via maestra verso un’alternativa possibile. Perché il Sistema dominante si regge sulla collaborazione di fatto sul piano economico, della produzione, dei consumi e dell’uso del denaro da parte di tutti: è anche un meccanismo dominato dall’alto, ma non solo. E non è sufficiente contrapporvisi solo sul piano culturale o dell’informazione, perché si tratta di un meccanismo preparatissimo ad assorbire e riciclare o rendere irrilevanti questo genere di critiche o contestazioni. Occorre un’alternativa che poggi su basi fondamentalmente altre ed indipendenti da questo Sistema e l’autoproduzione/la produzione indipendente del cibo (ma, a partire da questo, di molte altre cose, materiali ed immateriali) è l’unica possibilità di produzione di beni e di valore direttamente dall’interazione con la Natura e perciò in modo basilarmente (anche se non totalmente) indipendente da ogni Sistema.[3] La vita contadina è inoltre una possibilità alla portata delle persone comuni e non una accessibile solo a chi è dotato di particolari mezzi e capacità: non per nulla è stata (e per moltissimi nel mondo è tuttora) la forma di vita umana più diffusa a tutte le latitudini e in tutto il corso della Storia.
Si avverte da parte di un numero crescente di persone che sarebbe questa la via per rendere le nostre società ed economie ecologicamente sostenibili, capaci di futuro, per permettere una vita dignitosa anche agli altri popoli e per restituire vivibilità e senso alla nostra stessa quotidianità. Eppure molti ostacoli, pratici, ma forse ancor più mentali, culturali, si frappongono davanti a chi pensa di fare una scelta del genere. Sembra la cosa più logica da fare, ma al tempo stesso sembra incompatibile con ciò a cui riconosciamo valore, ciò che la modernità ci ha dato e che temiamo di perdere. Tra la sostenibilità ed il progresso vediamo, quando andiamo alla sostanza ed alle scelte vere (cioè fuori dai facili alibi e dai palliativi del cosiddetto “sviluppo sostenibile”) un conflitto insanabile, un bivio davanti al quale non ci decidiamo a scegliere quale strada prendere. Il problema è che in questo caso, intanto, la strada sta andando avanti comunque da sola, portandoci con sé senza attendere le nostre (non-) decisioni.
Ciò dovrebbe dirci non solo che forse è il momento di avere più coraggio; non solo ricordarci che gli esseri umani sono stati capaci di molte cose che non erano credute possibili al tempo in cui sono state tentate e poi realizzate. Ma anche che una tale contraddizione potenzialmente autodistruttiva è priva di senso e che forse vediamo di fronte a noi un bivio che non ha ragione di esistere. Probabilmente, però, ci mancano oggi gli strumenti teorici adatti a riconoscerlo e ce ne servono di nuovi. Forse quelli che abbiamo usato finora non servono più. E lo stesso potrebbe dirsi di molti tra quelli che tuttora ci appaiono come più estranei al modello che vogliamo cambiare e forieri perciò di possibilità nuove. Ma che potrebbero non esserlo.
Pensare ad una scelta neo-contadina come alternativa all’esistente equivale, se vogliamo guardare in profondità, a mettere in questione gli assiomi ed i presupposti stessi della cultura dello Sviluppo e della Modernità e confrontarsi con la necessità ed il tempo ormai giunto per un passaggio di fase storica, non solo dal punto di vista materiale, economico, politico, tecnologico, ma anche e soprattutto culturale. Nella visione del mondo, nelle relazioni tra le persone, nella percezione di sé e del senso della vita.
Questo libro è un tentativo di proporre la visione di una possibilità di alternativa ad un tempo teorica e legata strettamente alla pratica, che si pone da un punto di vista radicalmente critico non solo verso il mainstream, ma in parte anche verso i filoni più in voga tra quelli che ad esso si contrappongono e che fin ora, purtroppo, non mi pare siano riusciti ad andare oltre la difesa di nicchie culturali che si vanno peraltro sempre più restringendo.
Quella che chiamo l’Alternativa neo-contadina è po’ il percorso pratico-teorico al quale ho dedicato finora la mia vita, ed è a partire da questo che scrivo. Perché sono convinto che si debba prima praticare e poi parlare: entrambi gli aspetti sono importanti e, per chi ha a cuore il cambiamento della società, necessari. Ma credo ci sia un’ordine di precedenza, prescindendo dal quale ci si annovera tra gli intellettuali intellettualisti come ne abbiamo avuti e ne abbiamo fin troppi, che spesso dicono ma non fanno e perciò parlano di cose che non conoscono, perché non sanno cosa siano nel viverle, finendo non di rado per agire contrariamente a quanto predicano.
D’altra parte, questo libro è anche il risultato di un conflitto interno: quello tra le ragioni del praticare l’alternativa e quelle del volerla comunicare. Che è anche un conflitto tra la realtà e le parole, l’essere e l’apparire, il realizzare e il rappresentare. La vita contadina, a causa del molto lavoro, i pochi guadagni ed un certo isolamento geografico e sociale, lascia pochissimo spazio, pochissimo tempo, pochissima occasione per il lavoro politico, culturale, per tradurre adeguatamente l’esperienza in parole, argomentazioni, con il necessario studio, le sue ragioni ed i suoi contenuti profondi. E questi in parte si perdono e fors’anche un po’ si corrompono nel farsi trasformare in parole. E nondimeno è uno sforzo che va fatto, un rischio che va corso per chi come me non ha fatto la scelta di lasciare la città solo per un fatto personale, bensì come una forma di alternativa a tutto tondo. Nei primi anni di vita in campagna, amavo condividere, con gli amici del primo casolare in cui ho abitato, l’idea che dovevamo autoprodurci in modo naturale e genuino tutto, dalle patate alla filosofia.
Questo conflitto tra il fare e il dire, tra il realizzare ed il proporre, tra l’essere e il comunicare, è non solo un problema di fondo per tutti coloro che vedono e vivono la vita neo-contadina come la possibilità di un’alternativa di sistema valida non solo per sé stessi ma a livello complessivo. È centrale nel passaggio storico in cui tutti ci troviamo. Oggi le tecnologie, l’economia basata sul denaro liquido, i consumi (energetici e non), ci permettono un senso di libertà e di protagonismo individuale ( – falso, vero o apparente?) con cui ci identifichiamo. Ed è forse proprio la paura di perderlo a trattenerci dal prendere concretamente vie alternative a questo Sistema; dal correre il rischio di dover rinunciare ad almeno parte di tutto ciò che esso ci permette. Siamo ormai convinti che chi non comunica non esista e che chi non appare non valga nulla, non sia. Anche solo quel piccolo apparire (esso stesso una forma di comunicazione) che ci dà il poter sfoggiare un nuovo modello di telefonino, un vestito o una macchina alla moda o, viceversa, l’aderire esteriormente ad una forma di look, di protesta o trasgressione, “di tendenza” che incarna simbolicamente il tema del presente, il conflitto all’ordine del giorno, lo “stato dell’arte” dell’evoluzione sociale. O ciò che è ritenuto tale.
Essere fuori dalla Storia, non essere gente “del nostro tempo” ci terrorizza, ci toglie ogni valore, ci fa sentire in fondo…un po’ meno umani.
Eppure quante persone esistono sulla Terra che vivono la propria vita del tutto fuori da questo “mondo” della comunicazione? La maggior parte di loro vive a latitudini ed in contesti diversi da quelli delle società dello sviluppo, dalle realtà metropolitane, e guarda ad orizzonti anche temporali molto diversi: più lenti, più costanti, più ripetitivi, più circolari; non necessariamente in dovere di essere così diversi e reciprocamente incomunicanti di generazione in generazione; digiuni della nostra coazione a testimoniare quel cambiamento continuo e conflittuale che chiamiamo “il Progresso”.
[……]
Sulla strada delle alternative radicali e concrete sembra di intravedere un grande rischio all’orizzonte: quello di perdere questo “esserci”, questo partecipare ( – reale o apparente? capace di fare la differenza o in realtà del tutto irrilevante?) alla Storia, all’evolversi della società: ciò che siamo convinti, come occidentali e moderni, ci renda veramente umani e renda la nostra vita degna di essere vissuta. Il rischio di perdere tutto ciò che pure di buono questa società moderna, questo mito della Crescita ha saputo realizzare.[4]
Su questo timore fa leva il “terrorismo” – un po’ trito ormai – di chi accusa di voler “tornare alle candele e alle caverne” chi parla di proposte come quelle della Decrescita: accuse che sono una delle manifestazioni più chiare di quanto la modernità non sia scevra da elementi di superstizione.
Ma qui sta anche un problema reale: il problema che mi ha portato a scrivere questo libro e soprattutto a sentire per anni la necessità di scriverlo. L’innegabile necessità umana di comunicare: di mostrare al nostro prossimo un pericolo incombente non appena lo abbiamo scorto, così come qualcosa di meraviglioso e bellissimo quando lo scopriamo.
Nessuno dice – non certo io – di rinunciare alla nostra fondamentale natura di esseri comunicanti. Non scriverei se pensassi così. Ma si tratta di rimettere le cose in una giusta prospettiva: giusta perché reale.
C’è una realtà che esiste al di là del linguaggio. Lo scrittore di fantascienza americano Philip K. Dick ha detto “La realtà è quella cosa che, anche quando smetti di crederci, non svanisce” ed, aggiungerei, è ciò che esiste anche prima e senza che le dai un nome o la rappresenti con qualche altra forma comunicativa. Per addentrarci nella conoscenza della realtà non abbiamo solo il linguaggio, né solo il metodo scientifico. […..]
L’alternativa neo-contadina è una via pratica, empirica, che si pone su un piano differente: guarda e si apre una strada verso quei mondi che si vedono solo quando uno le cose che molti considerano impossibili, non credibili, fuori dalla realtà, comincia a farle. Ed allora, attraverso l’esperienza diretta, nuove visioni e nuove possibilità si aprono e diventano realistiche: altro è immaginare un programma e discuterne, altro camminare sulla strada che lo realizza.
D’altra parte, su ogni strada abbiamo bisogno di mappe: esse non sono né possono sostituire la strada ed il camminare, ma sono utili quando ci sembra di aver perso la via.
Per chi è interessato a fare una scelta neo-contadina, per chi già la vive o anche per chi si interroga su alternative autentiche e possibili all’esistente, questo libro vorrebbe essere un manuale teorico su una via eminentemente pratica. Vorrebbe essere, come una bussola, utile a ritrovare la direzione quando sembra di averla persa: qualcosa di molto probabile quando si cammina su una strada che effettivamente non c’è, che sta ad ognuno di noi aprirsi, inventarsi a modo suo.
[1] Terra e futuro. L’agricoltura contadina ci salverà, S. Cabras, Ed. Eurilink, 2014
[2] Prego il lettore di concedermi per il momento di usare questa parola come viene usata correntemente da coloro che a questo Sistema, almeno idealmente, si contrappongono: senza definire esattamente cosa con essa si intenda. Più avanti nel corso del libro cercherò di approfondire in modo più puntuale cosa c’è a mio avviso dietro a questo concetto.
[3] Il modello di vita ed economia contadina è – nei suoi tratti funzionali di fondo – sempre uguale e sempre presente alla base di tutte le civiltà umane in ogni tempo ed in ogni luogo (sebbene quasi sempre in posizione subalterna, almeno nelle società complesse): ciò credo ci autorizzi a dire che si tratta di un modello di per sé fondamentalmente indipendente da ognuna delle diverse forme socioculturali che (comunque a partire da esso) si sviluppano.
[4] E lo ha realizzato anche a prezzo, non va dimenticato, di tante vite umane e tante tragedie, sia da noi che presso i popoli che hanno pagato in tutti i sensi per il nostro sviluppo.
“L’alternativa neo-contadina” è pubblicato in cartaceo con YouCanPrint (piattaforma di autopubblicazione – www.youcanprint.it) ed oltre che sul loro sito è disponibile/ordinabile sia sui principali bookstore online sia nelle librerie fisiche (anche delle grandi catene) – 330 pagine, 19,90€;
c’è anche la versione ebook, sia in mobi (kindle) che in ePub (kobo ecc…) pubblicato con StreetLib Selfpublish (www.streetlib.it) ed anch’esso scaricabile dai bookstore su internet – 6,99€.
DA LEGGERE
Il mestiere del contadinoSono un contadino
Impiegati? No, contadini
L’agricoltura contadina può salvarci
Siate generosi con chi lavora la terra
Le terra non è un supermercato
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