dinamopress Antonello Sotgia*
Iniziano a emergere nuovi elementi rispetto al rogo del grattacielo di Londra. I rischi per chi ci viveva dentro derivavano anche dalle priorità stabilite nella gestione dell'edificio: i lifting esterni e l'abbellimento della struttura, invece che la sua messa in sicurezza. Il decoro uccide ancora.
La Grenfell Tower, questo è il nome del mini-grattacielo distrutto dal fuoco a Londra.
120 appartamenti su 24 piani. Uno di quei pezzi edilizi che, in
origine patrimonio pubblico, sono stati sottoposti nel tempo ad una
vendita selvaggia. La loro cannibalizzazione è stata condotta su interi
blocchi.
Ci sono appartamenti in mano a nuovi proprietari, altri ancora
(pochi) rimasti in quelle di inquilini “resistenti”. Più spesso, preda
di agenzie immobiliari. Queste, messi alla porta i vecchi residenti
impossibilitati a poter acquistare la stanza dove magari risiedevano da
sempre, affittano gli spazi “liberati”. Avviene nella città europea in
testa alla classifica per il costo delle locazioni.
Molti di questi pezzi sono disseminati, come questa torre, anche in zone centrali e semicentrali della città.
Rappresentano l’eredità insediativa di un’attività di pianificazione
pubblica orientata a non confinare l’abitare popolare all’interno di
ghetti. Con il tempo, obiettivi e soprattutto numero degli alloggi
pubblici, sono cambiati. Dagli anni 80 un combinato disposto, vendita
del patrimonio e rigido contenimento degli spazi assegnati ai locatari
per giunta gravati da una specifica “tassa sulla stanza”, ha finito con
far crollare le percentuali di chi abita all’interno di programmi di council house.
Alla
fine degli anni 70 del 900, oltre un terzo degli abitanti delle città
inglesi vive in case inserite nel programma dell’abitare popolare.
Oggi non superano il 6%. Quando gli edifici vengono venduti come uno
spezzatino e accanto a chi rimane arrivano nuovi vicini, ingaggiati
dalle agenzie immobiliari, si realizzano due ingressi separati: quello
per i ricchi nuovi locatari più defilato, per chi non si è riusciti a
tirare fuori da lì. A raccontarlo è una recente inchiesta del Guardian.
Per il mercato immobiliare inglese buttare giù e ricostruire,
non sempre è un’operazione redditizia. Si preferisce abbellire la
facciata di una casa dal riconosciuto fascino architettonico, sventrarla
e riconfigurarne l’interno. Si vende insieme, il nuovo con “quella
faccia un po’ cosi”, quel sapore di antico, che piace tanto alla
rendita. Questo nelle zone centrali.
Nelle zone subito a ridosso del centro, come nel caso di questo condominio torre di Kensington, la ristrutturazione consiste spesso solo nella sistemazione della facciata. Ci si concentra nel lifting.
Le case devono essere tirate a lucido. Solo così si riesce a strappare
il miglior reddito. Loro e quelle all’intorno. Senza stare tanto a
guardare a questioni di sicurezza e di impiantistica. A chi le abiterà.
Per
un paradosso quella torre è stata tirata su vicino a Kensington park, i
giardini dove, nell’omonimo romanzo di James M. Barrie, vive Peter Pan.
È stato lui a dirci che la stagione dell’infanzia è maledettamente
complicata. Non possiamo, però, rifiutarci di crescere.
I due giovanissimi architetti veneti, Gloria Trevisan e Marco Gottardi,
proprio la Grenfell Tower avevano scelto quale punto di partenza per
farlo. Insieme, nella vita e nel praticare la passione dell’architettura
non permessa in Italia ai giovani, ancora di più ai giovani bravi. Sono
stati traditi due volte, proprio ora che avevano iniziato a prendere
confidenza, lavorando, con quella disciplina. Dalla città che vende sé
stessa come uno spezzatino edilizio. Dall’architettura che,
assecondandola, nega il proprio principio istitutivo: rendere sicuro
l’abitare.
Questo chiede e ottiene la città liberista.
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