“Oggi, 7 giugno 2017, alle ore 18, circa, ho chiuso la mia attività didattica come professore ordinario di Storia delle dottrine politiche. La denominazione del corso era Storia delle idee politiche e sociali ed era dedicato ad “Antonio Gramsci: vita opera pensiero”.
L’ultima lezione ha avuto ben sette (7) studenti come pubblico. Quasi un record; in altre lezioni il corpo discente è stato di 3-4 persone. Un finale inglorioso di una ingloriosa carriera, forse. Ma anche un segnale del precipizio in cui il sistema accademico italiano è finito, nella complicità dei molti, nell’acquiescenza dei più, in non pochi casi nella complicità di studenti e docenti, nell’indifferenza del mondo esterno. Le “riforme” che si sono succedute nel corso dell’ultimo quarto di secolo hanno devastato l’università italiana, nel tentativo di renderla “adeguata” al mercato, di aziendalizzarla, di “modernizzarla”, di “internazionalizzarla”.
Il risultato è stato un generale scadimento del livello di discenti e docenti, uno spaventoso impoverimento culturale, la perdita di quella “funzione civile dell’insegnamento universitario” che il mio maestro Norberto Bobbio rivendicava come cifra peculiare del suo docente, il dimenticato (ingiustamente) Gioele Solari, di cui fu erede accademico. Mi sono collocato, indegnamente, in quel solco, ma preferendo la storia alla filosofia, anche se ho optato per una materia, la Storia delle idee, che in qualche modo è un ponte tra i due ambiti, quello della riflessione teorica e quello della ricostruzione storica.
Ho sempre cercato di dare un senso “politico” al mio lavoro, perché concepisco la figura docente come quella di un intellettuale, ossia di qualcuno che “abbraccia interamente la sua epoca” (Sartre), e che osserva il mondo, “grande terribile e terribilmente complicato” (Gramsci), provando a dare il suo contributo per cambiarlo, in meglio. E oggi non è difficile accorgersi che il mondo in cui viviamo è orribile, e lo diviene sempre di più. E chi studia per mestiere, chi è pagato per insegnare, per fare ricerca, non può disdegnare la società e i suoi problemi, non può chiudersi in quella che un tempo si chiamava torre d’avorio; ma d’altro canto non può neppure ridurre il proprio lavoro a tecnica. Perciò Antonio Gramsci è diventato il “mio” autore.
Anche grazie al bagaglio gramsciano, ho cercato di trasmettere agli studenti nel corso dei tanti anni di insegnamento la mia passione (ricordando loro il significato della parola “studium”, passione, appunto), parlando di temi, autori, problemi, spaziando dall’antichità ai nostri giorni, anche se mi sono dedicato soprattutto all’età contemporanea. I miei 7 studenti, che ringrazio, sono la prova che forse ho fallito. Ma lascio anche con sollievo un mondo al quale ormai mi sento profondamente estraneo. (Però non rallegratevi troppo, non smetterò di studiare, scrivere e tentare di suscitare cultura…)”
Angelo D’Orsi
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