venerdì 23 giugno 2017

Canapa. Chiaramonte (Associazione Canapa e Filiera): “Dopo la legge si deve fare la filiera. Due i punti irrinunciabili per lo sviluppo”.

Antonino Chiaramonte, presidente dell’Associazione Canapa e Filiera
Confronto sulla filiera della canapa al ministero delle Politiche agricole il 28 febbraio 2017. Le associazioni degli agricoltori di settore sanno già cosa chiedere in vista della definizione dei decreti attuativi e di eventuali nuovi interventi legislativi al tavolo tecnico convocato dal dicastero.
Antonino Chiaramonte, presidente dell’Associazione Canapa e Filiera che ha il suo baricentro fra Calabria e Sicilia, referente nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori per il settore, ha bene in mente due punti fondamentali da portare al tavolo ministeriale. Il presidente dell’associazione è stato fra gli uomini fondamentali nella definizione della legge 242 del 2 dicembre 2016 entrata in vigore il 14 gennaio 2017.
“Sul settore noi italiani siamo rimasti indietro, siamo i trogloditi della canapa, nonostante il nostro noto passato da grandi produttori mondiali – dice Antonio Chiaramonte – Colpa di aver abbandonato tutto per decenni. Il problema oggi, rispetto per esempio a Francia e Germania che hanno continuato a coltivare canapa, è che siamo indietro non solo come mezzi adatti alla filiera, ma anche come varietà della pianta stessa. Sul fronte normativo, fino alla nuova e recentissima legge, avevamo solo due circolari, una del 2002 su fibre e semi da utilizzare per mangimi animali e l’altra del 2009 per la canapa industriale e semi da poter inserire nell’alimentazione umana”.
Canapa Oggi (CO): Dopo la stretta finale ecco arrivata la Norma che ha dato i contorni giusti al settore della canapa.
Antonino Chiaramonte (AC): “Si stava iniziando dalle tre proposte di legge di Adriano Zaccagnini (Sel), Loredana Lupo (M5S), Nicodemo Oliverio (Pd) che erano composte da 13 articoli. Incontrai l’onorevole Dorina Bianchi a inizio 2015 che era alla commissione Agricoltura della Camera, mi disse che nel settore stavamo facendo cose grandi, lei poteva intervenire. Così fu, quindi le portai la nostra proposta fatta da 10 articoli: ne parlammo insieme e lei, alla fine, presentò l’incartamento come proposta di legge affiancandola alle tre precedenti. Conteneva anche degli incentivi per i giovani imprenditori. Quando la commissione riunì le quattro proposte in una sola, l’ossatura era quella della nostra, semplificata nei dieci articoli. Noi avremmo preferito che, fra le altre caratteristiche, per la canapa utilizzabile nelle colture si scegliesse un livello massimo di Thc pari all’uno per cento, ma va benissimo lo 0,6 tanto in qualsiasi condizione ambientale e per la stragrande maggioranza, le piante non giungono neppure allo 0,2 per cento”.

CO: Adesso è il momento di una fase nuova, dare corpo alla regolamentazione del settore basandosi sulla nuova legge, da qui il primo incontro del 28 febbraio. Quali sono questi due punti che come associazione ritenete vitali?
AC: “Con la nuova legge è stato compiuto un enorme passo avanti, però è come aver fatto una macchina ma non la benzina. In Italia non abbiamo un polo sementiero e dobbiamo dipendere per la stragrande maggioranza dall’estero e penso subito alla Francia. Noi non abbiamo più l’autonomia del seme. Se, per esempio, un giorno il paese transalpino non ci desse più i semi, potremmo chiudere tutta la filiera o, comunque, verrebbe messa in forte crisi. Occorrono al più presto due o tre poli sementieri, uno a Nord, l’altro a Sud e possibilmente un terzo al Centro Italia”.
“Dopo 70 anni in cui questa nostra Nazione ha abbandonato la coltura della canapa, abbiamo perduto anche le nostre varietà di canapa come la Carmagnola che era eccezionale, ma oggi in quantità così esigua che non potrà mai soddisfare il fabbisogno della filiera; l’abbiamo provata, qualche seme all’Università di Piacenza che ha fatto degli studi, ma nulla che consenta di utilizzarla per 2000 ettari: non avremmo semi neppure per farne due di ettari. La filiera ha potenzialità enormi ma dipendiamo troppo dai paesi limitrofi. Doppiamo rigenerare una o più varietà italiane. Dobbiamo quindi localizzare da subito due o tre aree, individuare tutti assieme sei o dieci aziende dalle caratteristiche giuste, i vivai per fare le prove genetiche di laboratorio e appezzamenti a diverse quote e con terreni di diversa natura per iniziare la produzione del seme da riproduzione, tale da essere tracciabile, riconoscibile, coltivabile con tutti i requisiti che permettano produzioni veramente italiane fin dal seme di partenza”.

CO: Indipendenza fin dall’inizio della coltura, perfetto. E poi?
AC: “Secondo punto che faremo presente al ministero, sarà quello della lavorazione e sfruttamento della canapa, pianta che può essere utilizzata tutta, senza buttare via nulla. Basti pensare che ai migliaia di modi già conosciuti per sfruttarla, si potranno scoprire tante altre utilizzazioni della canapa. Oggi dal seme si ricava olio e qualsiasi altra cosa, non solo a scopo alimentare o medico, visto che in Romania e Ungheria è sfruttato anche nell’industria di precisione, come nell’orologeria. Come sfruttare tutta la fibra che viene fuori dopo la trebbiatura in un campo? Sapremmo cosa farne, ma non ci sono le condizioni. Adesso occorrono grandi spazi, grande logistica e mezzi di trasporto per portarla impacchettata in lontani centri di lavorazione, fattori estremamente costosi, che non valgono la spesa. Eppure per gli imprenditori agricoli della canapa, ci sarebbe tanto su cui trarre profitto”.
CO: Quindi, quale strategia, idea, proposta è venuta in mente a voi di Canapa e Filiera?
AC: “In breve, è così complicato fare una legge che stabilisca l’intervento in edifici degli ultimi 40 anni realizzati col classico foratino, per l’utilizzo di materiale a base di canapa consentendo di ottenere grande risparmio energetico e ambienti più salutari? Negli anni sono state fatte sanatorie su sanatorie per edifici abusivi, leggi per eliminare le coperture di amianto, altre sui doppi vetri e su tanto altro. Si potrà fare anche questa, no? Ho visto abitazioni normalissime che per restare calde d’inverno richiedono 8 o 10 ore di riscaldamenti accesi. D’estate si devono azionare per ore i condizionatori per tenerle fresche. Al contrario, in quelle abitazioni nelle quali è stato applicato un ‘cappotto’ interno in canapa spesso 8 centimetri in media, è necessario tenere accesi gli impianti solo per 3 o 4 ore. La tenuta termica dei rivestimenti in canapa è altissima. In estate questo materiale tiene freschi gli appartamenti in maniera sorprendente, senza contare il contenimento dell’eccesso di umidità”.

CO: In bioedilizia le proprietà della canapa sono sorprendenti, occorrerebbe quindi una spinta istituzionale in questo senso.
AC: “Serve un piano nazionale di ristrutturazione delle abitazioni più recenti, avrebbe delle ricadute positive enormi su più linee. La formazione di maestranze con corsi seri per l’utilizzo del materiale. Un’ottima rigenerazione del patrimonio dei fabbricati nazionali. Nuovo slancio al settore edile che, come conseguenza, avrebbe altro lavoro per anni. Fortissimo risparmio energetico grazie al risparmio sulle ore di accensione degli impianti di riscaldamento d’inverno e dei condizionatori d’estate. Le aziende agricole avrebbero un profitto certo non solo dai semi, ma anche dalle fibre. Si tratterebbe di un piano di investimento dai sicuri risultati per la salute pubblica e antagonista del disavanzo commerciale sull’acquisto di energia. Sarebbe anche una spinta economica importante per il mondo agricolo”.
CO: Tutto questo implica anche una necessaria diffusione degli impianti di trasformazione dei fusti della canapa.
“Naturalmente si tratterà di rendere possibili investimenti anche in nuovi impianti di trasformazione della fibra, i due esistenti oggi sono troppo lontani, insufficienti. Servono strutture grandi per lavorare la canapa al meglio e avere materiale di qualità. Impianti, a oggi, costosi: imprenditori o gruppi di investitori dovrebbero vedere la convenienza nell’edificare questi impianti grazie alla possibilità di dare un grande sbocco commerciale anche alle fibre che devono trovare un impiego certo. Dalla prima delle nostre proposte fino a quest’ultimo aspetto, è tutto interconnesso e nulla può essere lasciato in secondo piano se si desidera un vero sviluppo della filiera della canapa”.

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