Ma come fanno i piazzisti a farlo nonostante la normativa che regola il settore delle telecomunicazioni e la raffica di multe inflitte negli ultimi anni dal Garante della concorrenza (Agcm), dall’Autorità delle comunicazioni (Agcom) e dal Garante della Privacy. E, soprattutto, c’è una soluzione per uscirne?
Partiamo dai numeri. Con appena 5 centesimi a recapito, le aziende comprano tariffari completi di nome, cognome e numero di telefono da contattare per vendere i nuovi contratti. Nominativi che, poi, finiscono in una catena complessa di società che se li scambiano. E via via i dettagli aumentano: sesso, professioni, preferenze e status sociale. Una schedatura illecita, dal momento che la normativa prevede che si possano contattare solo i consumatori che hanno espressamente dato il loro consenso. E, invece, queste liste sono perlopiù composte da numeri che compaiono negli elenchi telefonici pubblici, da quelli presenti illegalmente su Internet e dai nominativi di chi, magari, compila un modulo per partecipare a un concorso sul web, attiva una carta fedeltà o un account online e, senza accorgersene, firma anche il consenso all’utilizzo dei propri dati personali per scopi pubblicitari.
Proprio come è capitato a circa 2 milioni di ex utenti della telefonia fissa di Telecom passati ad altri operatori che, nel corso del 2015, hanno ricevuto a casa una telefonata da parte di una società di telemarketing che, per conto dell’ex monopolista, ha tentato subdolamente di riconquistarli con offerte promozionali. Peccato che si tratti di un illecito gravissimo, come ha sancito il Garante della Privacy visto che, una volta che un contratto viene disdetto o scade, vengono meno anche tutte le autorizzazioni rilasciate dal cliente, a partire da quelle relative al consenso al trattamento dei dati personali. Entro poche settimane si saprà l’ammontare della sanzione che Tim sarà costretta a pagare. Un importo che, tuttavia, dovrebbe fare il solletico al big della telefonia. Del resto il gioco del telemarketing aggressivo vale la candela: un fatturato miliardario contro poche migliaia di euro si sanzioni.
Cosa che, del resto, avrà immaginato anche Fastweb che non si è fatta scrupoli a utilizzare oltre 14 milioni di nominativi, forniti illegalmente da una società specializzata nel settore delle banche, per promuovere offerte commerciali anche a quanti non hanno mai dato il proprio consenso. Anche se la Corte di cassazione nelle scorse settimane ha confermato alla compagnia una multa di 300mila euro, al 30 giugno 2016 i ricavi totali di Fastweb si sono attestati a 881 milioni di euro, in crescita del 2%.
Registro delle opposizioni - Del Registro delle opposizioni, gestito dalla Fondazione Ugo Bordoni su incarico del ministero dello Sviluppo economico e finanziato dagli operatori di telemarketing, tutti parlano ma pochi ne hanno capito il ruolo. Dovrebbe difendere i cittadini dalle chiamate indesiderate, ma rovescia l’onere in capo al consumatore e a vantaggio delle società. “Tanto che su oltre 115 milioni di linee telefoniche attive, comprendendo anche quelle mobili, a luglio 2016 risultavano iscritte appena 1,5 milioni di numerazioni”. In altre parole, solo se legalmente si è dato il consenso a un gestore telefonico a chiamarci ci si può iscrivere per manifestare il diritto di opposizione alle chiamate. Ma se l’utenza non compare nell’elenco ed è quindi riservata, perché volontariamente non si è mai data l’autorizzazione (come accade per la maggior parte dei numeri fissi e mobile), l’intestatario non può iscriversi. Insomma, una beffa che lascia all’utente un’unica speranza: chiedere all’operatore, ai sensi delle norme sulla privacy, di non essere più ricontattato.
Rivolgersi all’Authority – Per questo motivo il Garante della privacy ha attivato un canale che permette al cittadino di segnalare eventuali violazioni di marketing telefonico attraverso l’invio di un modulo per le segnalazioni di ricezione telefonate pubblicitarie indesiderate per le utenze telefoniche riservate (scaricalo qui). Poi, quando un corposo numero di reclami si accumula sul tavolo del Garante, scatta l’avvio di un’indagine che potrebbe portare a una multa al gestore.
Come chiedere il rimborso per le forniture non richieste – A braccetto con il telemarketing va l’attivazione di forniture non richieste, a scapito della buona fede di chi è all’altro capo del telefono. Meglio ricordare che si può recedere da un contratto a distanza entro 14 giorni, senza fornire alcuna specifica motivazione e senza costi. Il termine per esercitare il diritto decorre dalla conclusione del contratto nei contratti di servizi e da quando si entra in possesso del bene nei contratti di vendita di beni. Se, invece, non si riuscisse a liberarsi da questo contratto “estorto”, è possibile rivolgersi al Corecom della propria Regione che si occupa proprio dei contenziosi tra utenti e gestori dei servizi di telecomunicazioni. Si tratta di un servizio gratuito, di facile accesso e che garantisce in tempi rapidi la definizione della controversia. Dal momento che rappresenta il passaggio antecedente alla denuncia che va fatta all’Authority, solitamente i gestori decidono di accettare la conciliazione per evitare poi l’apertura di un’indagine. Il motivo è chiaro: davanti al Garante, il gestore telefonico deve dare prova della conclusione del contratto portando il contratto firmato o, comunque, riproducendo la registrazione integrale della telefonata di accettazione. Prove che, il più delle volte, non esistono. Il Corecom della Lombardia nel primo semestre 2016 ha restituito ai cittadini una somma di quasi 2 milioni di euro.
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