giovedì 8 settembre 2016

Classe Operaia. Birrificio Messina, la fabbrica salvata dai lavoratori.

Quindici operai licenziati nel 2011 dalla precedente gestione, hanno investito mobilità e Tfr per continuare a produrre birra. Il nuovo stabilimento ha inaugurato il 29 luglio. Una storia di riscatto che gli stessi protagonisti stanno andando a raccontare in giro per l'Italia.

Birrificio Messina, la fabbrica salvata dai lavoratori
L'Espresso di Fabio Grandinetti
 
"La fabbrica non può guardare solo all'indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica”. Adriano Olivetti, l'industriale piemontese che nella prima metà del Novecento portò musica, libri e socialità nelle dinamiche di produzione, si sarebbe congratulato con i lavoratori del Birrificio Messina. Lo avrebbe fatto perché, dopo cinque anni di sofferenze, questi 15 operai sono diventati padroni di se stessi. La loro storia, ora, la raccontano in giro per l'Italia. In questi giorni sono stati a Napoli, in occasione della terza tappa della manifestazione “Un futuro mai visto”, promossa dalla Fondazione Con il Sud e dedicata proprio ad Adriano Olivetti.
La birra messinese viene prodotta dal 1923 dalla famiglia Presti-Faranda. Alla fine degli anni '80 l'Heineken rileva lo stabilimento, ma dopo un buon periodo iniziale, decide di chiudere l'impianto. Intervengono quindi gli eredi dei Faranda che tornano a produrre la birra sotto il nome di Triscele Srl. Ma nel 2011 i 41 operai dell'azienda ricevono la lettera di licenziamento. “Era cambiata la destinazione d'uso dei terreni – racconta Mimmo Sorrenti, attuale presidente del Birrificio Messina –. Avevano assunto un valore dieci volte superiore a quello iniziale di quattro milioni di euro. Noi operai abbiamo spinto per il trasferimento della produzione, ma il vecchio proprietario ci ha tradito”.


Le ricerche di nuovi investitori cadono nel vuoto e, nel 2014, 15 dei 41 lavoratori decidono di investire mobilità e Tfr per continuare a produrre la birra, diventando padroni-operai: fondano una cooperativa, cercano finanziatori, raccolgono 3,2 milioni di euro, affittano due capannoni da 1200 mq forniti dall'assessorato alle Attività produttive della Regione, comprano nuovi macchinari, completano il percorso burocratico. Da qualche giorno gli ingredienti (tre qualità di malto e quattro di luppolo) sono in cottura ed entro fine mese inizierà l'imbottigliamento. L'obiettivo è arrivare anche all'estero nel 2017, magari con la vendita online.

Quella dei mastri birrai siciliani è una storia che può contribuire al superamento di “schemi e paradigmi ormai inappropriati per interpretare il presente e il futuro del Meridione”, dice il presidente della Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo. Una rottura culturale che la Fondazione ha rivisto in personaggi come Danilo Dolci, Renata Fonte, Franco Basaglia e Don Lorenzo Milani, ai quali sono dedicate le altre tappe di “Un futuro mai visto”.

Dallo stabilimento di Larderia, 10 km a sud di Messina, verranno fuori la Birra dello Stretto (la vecchia etichetta Birra Messina è proprietà di Heineken), la Doc 15 e la Cruda 15. Quindici come i soci fondatori dell'attività. “Siamo tranquilli – racconta Mimmo Sorrenti –, perché siamo alle nostre dipendenze. Abbiamo lottato e ottenuto quello che volevamo”. C'è un senso di rivalsa nelle sue parole: “L'operaio non ha bisogno solo di soldi, ma anche di comprensione, responsabilità e fiducia. Noi siamo una famiglia, da anni festeggiamo il Natale tutti insieme. Ora la fabbrica sarà la nostra seconda casa”. Il lavoro che incontra la comunità, come nei sogni di Olivetti.

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