Anthony Atkinson occupa un posto speciale
fra gli economisti. Nell'ultimo mezzo secolo, a dispetto delle tendenze
dominanti, è riuscito a collocare il tema della disuguaglianza al centro
del suo lavoro, dimostrando che l'economia è anzitutto e soprattutto
una scienza sociale e morale.
repubblica.it di THOMAS PIKETTY
Nel suo nuovo libro, "Disuguaglianza. Che
cosa si può fare?" - più personale dei suoi precedenti e totalmente
centrato su un piano d'azione - ci offre le linee guida di un nuovo
radicale riformismo. Qui c'è qualcosa che ricorda il riformismo sociale
progressista del britannico William Beveridge e il lettore potrà godersi
il modo in cui Atkinson presenta le sue idee.
Atkinson, studioso inglese la cui prudenza è leggendaria, rivela un lato
più umano, si butta nella disputa e presenta un elenco di proposte
concrete, innovative e convincenti per dimostrare che le alternative
esistono ancora, che la battaglia per il progresso sociale e
l'uguaglianza deve rivendicare la propria legittimità, qui e ora.
Propone benefici universali per le famiglie finanziati dal gettito di
una tassazione progressiva. Difende anche l'idea di posti di lavoro
garantiti nel settore pubblico a salario minimo per i disoccupati e la
democratizzazione dell'accesso alla proprietà di beni attraverso un
innovativo sistema nazionale di risparmio, con rendimenti garantiti per i
depositanti. In "Disuguaglianza. Che cosa si può fare?", Atkinson
lascia il terreno della ricerca accademica e si avventura nel campo
dell'azione e dell'intervento pubblico. Così facendo, ritorna al ruolo
dell'intellettuale pubblico, che non ha mai davvero abbandonato, sin
dagli inizi della sua carriera. Si assume dei rischi e propone un vero
piano d'azione. Atkinson traccia distinzioni e prende posizione in modo
assai più drastico di quello che in genere la sua innata cautela lo
induce a fare. Non ha scritto un libro divertente, ma nelle sue pagine
troviamo l'ironia mordace che i suoi studenti e colleghi conoscono bene.
L'idea di tornare a una struttura fiscale più progressiva ha un ruolo
decisamente importante nel piano d'azione proposto da Atkinson.
L'economista non lascia alcun dubbio: lo spettacolare abbassamento delle
aliquote fiscali per i redditi più alti ha contribuito fortemente
all'aumento della disuguaglianza a partire dagli anni Ottanta, senza
produrre benefici corrispondenti per la società nel suo complesso.
Perciò non dobbiamo perdere tempo, dobbiamo invece buttare alle ortiche
il tabù secondo il quale i tassi d'imposta marginali non devono mai
superare il 50 per cento. Atkinson propone una riforma di vasta portata
dell'imposta britannica sui redditi, con aliquote massime innalzate al
55 per cento per redditi annui superiori alle 100.000 sterline e al 65
per cento per quelli al di sopra delle 200.000, oltre a un innalzamento
del tetto per i contributi alla previdenza nazionale. Tutto questo
renderebbe possibile finanziare una significativa espansione della
sicurezza sociale e del sistema di ridistribuzione dei redditi in Gran
Bretagna, in particolare con un netto aumento dei benefici per le
famiglie (che raddoppierebbero, addirittura quadruplicherebbero in una
delle varianti proposte) e anche con un aumento dei benefici
pensionistici e per la disoccupazione per quanti hanno minori risorse.
Se queste proposte, giustificate statisticamente e finanziate dal
gettito fiscale, venissero adottate, si verificherebbe una caduta
significativa dei livelli di disuguaglianza e povertà nel Regno Unito.
Secondo le simulazioni, quei livelli scenderebbero dai loro attuali
valori quasi americani fino al punto di avvicinarsi alle medie dei Paesi
europei e dell'Ocse. Questo è l'obiettivo centrale del primo gruppo di
proposte di Atkinson: non si può pretendere tutto dalla ridistribuzione
fiscale, ma è comunque da lì che si deve partire.
Il piano d'azione di Atkinson però non si ferma qui. Al centro del suo
programma sta una serie di proposte che puntano a trasformare lo stesso
funzionamento dei mercati del lavoro e del capitale, introducendo nuovi
diritti per quelli che oggi ne hanno di meno. Anziché scendere nel
dettaglio delle proposte, voglio concentrarmi in particolare sul
problema del più ampio accesso a capitale e proprietà. Atkinson qui
presenta due idee particolarmente innovative. Da un lato, richiede la
costituzione di un programma nazionale di risparmio che consenta a ogni
risparmiatore di ricevere un rendimento garantito sul proprio capitale
(al di sotto di una certa soglia di capitale individuale). Data la
fortissima disuguaglianza di accesso a equi rendimenti finanziari, in
conseguenza soprattutto della scala degli investimenti da cui una
persona parte (situazione che con tutta probabilità è stata aggravata
dalla deregulation finanziaria degli ultimi decenni), trovo questa
proposta particolarmente valida. Nella prospettiva di Atkinson, essa è
strettamente collegata al più ampio problema di un nuovo approccio alla
proprietà pubblica e al possibile sviluppo di una nuova forma di fondo
patrimoniale sovrano. L'autorità pubblica non può rassegnarsi a
continuare semplicemente ad accumulare debiti su debiti e a privatizzare
incessantemente tutto ciò che possiede.
D'altro lato, accanto a questo programma di risparmio garantito e
assicurato, Atkinson propone di istituire una "eredità per tutti", che
assumerebbe la forma di una dotazione di capitale assegnata a ogni
giovane cittadino/a al raggiungimento dell'età adulta, cioè al
compimento dei diciotto anni. Questa dotazione sarebbe finanziata da
imposte sugli immobili e da una struttura fiscale più progressiva.
L'unica critica che si può muovere al piano d'azione di Atkinson è la
sua eccessiva concentrazione sulla Gran Bretagna. Tutte le sue proposte
sociali, fiscali e di bilancio sono concepite per un governo britannico e
lo spazio dedicato alle questioni internazionali è relativamente
limitato. Per esempio, solleva brevemente l'idea di un'imposta minima
sulle grandi multinazionali, ma poi la possibilità di una tale imposta è
confinata alla categoria delle "idee da perseguire", senza alcuna
proposta concreta. Considerato il ruolo centrale che ha il Regno Unito
nella concorrenza fiscale europea, oltre che nella mappa mondiale dei
paradisi fiscali, ci si sarebbe aspettati una trattazione più rilevante
di proposte per la definizione di una tassazione comune sui profitti,
oppure per lo sviluppo di un registro mondiale (o almeno euro-
americano) dei titoli finanziari. Atkinson allude chiaramente a questi
aspetti, così come alla creazione di una "Autorità fiscale mondiale" e
al possibile aumento degli aiuti internazionali all'1 per cento del Pil,
ma vi dedica meno attenzione che alle proposte strettamente attinenti
al Regno Unito.
Questo stesso limite, tuttavia, costituisce anche il principale punto di
forza del libro. Atkinson ci dice che i governi, anche se hanno timori,
non hanno alcuna reale scusa per l'inazione, perché è ancora possibile
agire su una base nazionale. Il nucleo centrale del piano d'azione
proposto da Atkinson potrebbe essere realizzato nel Regno Unito senza
doversi preoccupare di aspettare fumose prospettive di cooperazione internazionale. Se è per quello, potrebbero essere adattate e applicate anche in altri Paesi.
(Traduzione di Virginio B. Sala)
IL LIBRO Anthony Atkinson: Disuguaglianza Che cosa si può fare? (Raffaello Cortina, pagg. 392, euro 26)
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domenica 24 gennaio 2016
LIBRO Anthony Atkinson: Disuguaglianza Che cosa si può fare? (Raffaello Cortina).
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