dinamopress Chiara Colasurdo
L’esperimento napoletano de l’Asilo. La lotta per il riconoscimento giuridico di spazi di autogoverno e la risposta normativa del Comune di Napoli.
Ma poiché tutto deve cominciare con un qualche si,allora la risposta comincia, la risposta comanda […]
Bisogna cominciare con il rispondere.
L’appello si chiama solo a partire dalla risposta, questa lo precede. J. Derrida
La trattazione che segue vuole essere una bussola per orientarsi nel percorso giuridico e politico intrapreso nell’Ex Asilo Filangieri di Napoli, da una comunità di lavoratrici e lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo dal marzo del 2012. Vogliamo quindi raccontare l’esperienza del “l’Asilo”. Va premesso che si tratta di un bene monumentale nel cuore del centro storico cittadino, patrimonio dell’Unesco completamente ristrutturato nel 2009 in vista del Forum Universale delle Culture. La scelta dell’immobile non fu casuale, da parte del collettivo La Balena, che inizialmente lo occupò insieme al movimento napoletano tutto ed al movimento nazionale di lavorat* dello spettacolo, che sulla scia del Teatro Valle Occupato, negli anni successivi ha prodotto un grosso momento espansivo. Entrare in un luogo spettrale, sottratto all’uso della collettività tutta, appannaggio di una Fondazione fantasma, fino a quel momento inoperante; svelare l’inconsistenza della categoria giuridica dei “beni comuni” introdotta tra le “Finalità ed i valori fondamentali” dello Statuto del Comune di Napoli con delibera di Consiglio comunale n. 24 del 22/09/2011, dall’epoca neo eletta amministrazione De Magistris, che all’art. 3 recita: "Il Comune di Napoli, anche al fine di tutelare le generazioni future, garantisce il pieno riconoscimento dei beni comuni in quanto funzionali all'esercizio di diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico". Con l’occupazione dello spazio, quindi, oltre a denunciare le insostenibili condizioni del lavoro nel settore culturale, immaginando come risposta fattiva l’autorganizzazione, da parte degli stessi operatori culturali, di un Centro di produzione interdipendente (l’Asilo oggi è questo), si arrivò a proporre una sfida politica all’amministrazione comunale: dare sostanza – corpo – ad una mera dichiarazione di principio, praticare l’autogoverno nella gestione di uno spazio di proprietà pubblica attratto nella categoria dei beni comuni. Non solo, l’altra sfida, dalla consistenza altrettanto reale, si è evidentemente palesata nei confronti del piano teorico politico del comune, inteso come cooperazione sociale, produzione ininterrotta dal valore incalcolabile, fecondità inesauribile, condivisione e scambio di intelligenze e competenze. In tal senso la questione si è tradotta nella risposta, una delle tante possibili, alla domanda: cos’è un’istituzione del comune e come si atteggia?
Innovando anche il metodo di gestione dei “centri sociali”, l’Asilo comincia a sperimentare una forma di organizzazione aperta, pubblica, partecipata fondata su un’assemblea di gestione alla quale partecipano tutti i soggetti e le soggettività che di volta in volta vogliono produrre nello spazio, che si alterna settimanalmente ad un’assemblea di indirizzo politico. Una organizzazione fondata su tavoli tematici aperti che strutturano e ragionano sulla proposta culturale.
Di concerto con l’amministrazione comunale, già nel maggio del 2012, la comunità che originariamente aveva occupato lo spazio, collabora alla definizione della delibera n. 400 con la quale si impegna a “garantire una forma democratica di gestione del bene in coerenza con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 43, al fine di agevolare la formazione di una prassi costitutiva di 'uso civico' del bene”, garantendo, al contempo “fruibilità” ed “accessibilità”. Il meccanismo dell’uso civico utilizzato per tradurre normativamente l’autogoverno dello spazio, consta, prioritariamente dell’individuazione di una destinazione d’uso, che la delibera n. 400 individua nello scopo culturale e di valorizzazione della cultura come bene comune in applicazione dell’art. 3, Cost., valorizzando la “produzione artistica, lo studio, la ricerca, e l’elaborazione critica e culturale”; il secondo elemento è la comunità di riferimento, che al 2012 la delibera, su indicazione della comunità, intercettava nei “lavoratori dell’immateriale”, comunità informale e non soggetto giuridico costituito. Si rifiutava l’assegnazione ad un soggetto che traeva la sua legittimità ad esistere dal codice civile, e si stabiliva con un atto amministrativo, che anche una comunità informale di “lavoratori ed utenti” avesse il diritto di riappropriarsi di spazi e mezzi di produzione restituendoli alla disponibilità degli abitanti di un territorio, consentendo l’abbattimento dei costi di produzione di lavoratrici e lavoratori della cultura, dell’arte e dello spettacolo. Altra considerazione, in ordine a questo primo step amministrativo, che va sottolineata è che l’uso dell’immobile era ed è completamente gratuito, non dovendosi corrispondere al Comune un canone, che, anzi, l’ente territoriale, nel favorire la piena indipendenza della programmazione culturale e dell’organizzazione della produzione, assume su di sé i costi delle utenze, della guardiania e della custodia, trattandosi, lo si ripete, di un bene monumentale dall’alto valore storico artistico.
La delibera recepiva solo in parte gli indirizzi politici della comunità, dal momento che prevedeva che un “disciplinare elaborato in maniera condivisa e partecipata” avrebbe stabilito le regole di utilizzo dello spazio, in ordine alla responsabilità patrimoniale e non patrimoniale, per esempio, problema giuridico di non poco conto; ed in ordine alla fiscalità, dal momento che nella gestione dello spazio la delibera stessa prescriveva l’autosostenibilità dei costi di gestione.
Di qui l’idea dell’assemblea pubblicamente convocata da l’Asilo per discutere il “disciplinare”, di scrivere un regolamento d’uso dello spazio in un tavolo di autogoverno aperto a chiunque fosse interessato al nuovo modello di gestione in via di sperimentazione ed implicato nell’uso e nella cura materiale del processo e dello spazio. Non regolamento composto di regole generali ed astratte a cui la comunità avrebbe dovuto obbedire, normalizzandosi, ma uno strumento, revisionabile nel tempo, che recepisse esattamente le pratiche di gestione reali che la comunità complessa de l’Asilo sperimentava. Dopo tre anni e mezzo di sperimentazione pratica e di scrittura condivisa, con delibera n. 893 del 29 dicembre 2015 la Dichiarazione di uso civico e collettivo de l’Asilo, viene recepita in un atto amministrativo. Una importante conquista delle lotte, un altrettanto importante precedente giuridico, elaborato anche pensando alla replicabilità dell’esperimento su altri territori.
La delibera è stata emanata anche in attuazione della delibera del Consiglio comunale n. 7 del 9 marzo 2015 avente ad oggetto: “Indirizzi per l'individuazione e la gestione di beni del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli, inutilizzati o parzialmente utilizzati, percepiti dalla comunità come 'beni comuni' e suscettibili di fruizione collettiva”; laddove al punto C del deliberato recita: Nello spirito di quanto rappresentato in premessa l'Amministrazione comunale potrà procedere con apposito regolamento alla eventuale compensazione degli oneri di gestione, laddove giustificato dall'alto valore sociale creato, prevedendo regolamenti di uso civico o altra forma di autorganizzazione civica da riconoscere in apposite convenzioni; e che la richiamata delibera di C.C. n. 7 /2014 rileva, tra l’altro, che “esistono già, nel territorio comunale, alcuni beni immobili e/o aree di proprietà del Comune di Napoli che risultano attualmente utilizzati da gruppi e/o comitati di cittadini secondo logiche di sperimentazione della gestione diretta di spazi pubblici, dimostrando, in tal maniera, di percepire quei beni come luoghi suscettibili di fruizione collettiva e a vantaggio della comunità locale; esperienze che nella loro espressione fattuale si sono configurate come “case del popolo”, ossia luoghi di forte socialità, elaborazione del pensiero, di solidarietà inter-generazionale, di profondo radicamento sul territorio”.
Con la delibera n. 893/2015 la Civica Amministrazione, nel riconoscere la cultura quale bene comune ribadisce “che il Comune, quale ente di prossimità al cittadino e soggetto esponenziale dei diritti della collettività, debba garantire un governo pubblico, partecipato e condiviso di servizi pubblici, beni comuni e di utilità collettive”; dando “costante e fermo impulso allo sviluppo di una nuova forma di diritto pubblico che protegga e valorizzi i beni funzionali alla tutela ed allo sviluppo dei diritti fondamentali, come beni di appartenenza ed uso comune, civico, collettivo e sociale e come veri e propri 'ambienti di sviluppo' civico”. In questo contesto la delibera stabilisce che “la struttura, denominata Ex Asilo Filangieri, può essere attratta alla categoria di bene comune 'in senso eventuale', in analogia con l'art. 822, 2 comma c.c., considerando tale un bene, pubblico o privato, il cui utilizzo sia indirizzato al soddisfacimento dei diritti fondamentali e il cui regime sia caratterizzato dalla partecipazione diretta dei cittadini alla sua amministrazione; che tale modello di uso collettivo rappresenta un regime speciale di pubblicità in quanto facoltà garantita ad una comunità di riferimento [qui i lavoratori dell'arte, dello spettacolo e della cultura] aperta e determinata attraverso l'uso che, nel rispetto del processo di autoregolazione di cui si prende atto può accedere, decidere, programmare le attività, usare ed agire gli spazi”. E più specificamente, con riguardo al governo ed al finanziamento del Centro di produzione interdipendente, l’Amministrazione riconosce ed inserisce “gli spazi dell’edificio del Complesso di San Gregorio Armeno noto come ex Asilo Filangieri in Vico Maffei 4, d’ora in poi denominato “L’Asilo” nel novero delle strutture e degli spazi destinati alla fruizione civica e collettiva; e sostiene “le attività che si realizzano all’interno dell’edificio monumentale ex Asilo Filangieri quale ambiente di sviluppo civico, ed a provvedere, nei limiti delle risorse disponibili, all’assunzione degli oneri di gestione, con relative dotazioni di strutture ed impianti all’uopo necessari per rendere possibile e garantire l’uso collettivo quale “centro di produzione interdipendente delle lavoratrici e dei lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo” aperto a tutti gli appartenenti alla comunità mediante la definizione di una modalità d’uso frutto di processi decisionali inclusivi autodefiniti ed autogestiti e soggetta a revisioni periodiche con procedura ex articolo 18 della regolazione autonòmica”.
Ciò che è interessante rilevare è il processo politico, sociale e culturale, che precede e sovrasta questa complessa vicenda amministrativa di legittimazione della produzione e della cooperazione sociale, connessa alla necessità di attualizzazione delle pratiche di lotta. A tal proposito appare opportuno rilevare che una grossa parte delle realtà sociali attive in Italia, stia insistendo sul piano dei beni comuni, provando ad adattare alle proprie specificità territoriali e sociali, precedenti giuridico/amministrativi esistenti; che tali sperimentazioni giuridiche sono in relazione osmotica imprescindibile col piano del comune e delle comunità, e quindi dalla produzione, riproduzione e cooperazione sociale. Che la verità e la cruda connessione con la realtà di tali esperienze e di chi le pratica quotidianamente, ha il merito certamente di interrogare il piano della decisione pubblica, criticando pragmaticamente il modo in cui si stabiliscono le regole della convivenza civile, facendo di queste istanze collettive e condivise, una questione di democrazia. Un ultimo passaggio che vale come spunto di riflessione riguarda il rapporto con le istituzioni: va riconosciuto all’amministrazione De Magistris il merito di aver avuto l’ardire di rischiare anche a proprie spese, avendo affrontato e superato il monito della Corte dei Conti che premeva per la messa a reddito dello spazio. Ebbene è anche grazie alla sensibilità politica delle istituzioni locali napoletane e del dialogo che genuinamente è stato instaurato tra queste ed i movimenti, che possiamo legittimamente dire oggi che l’Ex Asilo Filangieri è “messo a reddito” (per quanto indiretto) di lavoratrici e lavoratori e di chiunque lotti per l’affermazione e la diffusione della cultura, della sua indipendenza ed accessibilità, di chiunque lotti perché le sorti dei territori vengano decise dalle collettività che li abitano e non da tecnici, burocrati e speculatori di sorta senza alcuna legittimità politica. L’auspicio è che queste pratiche trovino la più ampia diffusione e ricezione.
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