domenica 24 gennaio 2016

#0 Fuori Mercato. Che Roma sarebbe senza l'autogestione?

dinamopress
Una nuova rubrica per raccontare la città dell'autogestione. E l'attacco che sta subendo.
C'è un pezzo di Roma che vive in autogestione. E un altro che grazie all'autogestione può permettersi di studiare una nuova lingua o frequentare il doposcuola, fare sport o guardare un film, andare fuori a cena o avere un avvocato per difendersi dal datore di lavoro o dalle leggi razziste.
In queste settimane è in corso un duro attacco contro tantissime esperienze che garantiscono servizi di questo tipo e, allo stesso tempo, organizzano conflitto nei posti di lavoro, sulla produzione di saperi e rispetto alle nuove pratiche di cittadinanza, contro la gestione neoliberale delle città e della crisi. Sono centinaia le “letterine” ricevute da centri sociali, associazioni, comitati territoriali e collettivi che hanno recuperato e restituito alla città spazi pubblici abbandonati. Letterine che intimano di lasciare questi luoghi e chiedono migliaia di euro di arretrati. In verità, l'offensiva contro le realtà dell'autogestione romana è iniziata molto prima: con i numerosi sgomberi degli ultimi anni, con la diffusione delle retoriche su abusivismo e decoro, con gli attacchi amministrativi. L'onda lunga di Mafia Capitale sta diventando una forma di legalitarismo cieco e ottuso, nell'illusione di comodo che i bandi siano strumento di trasparenza e di valorizzazione del patrimonio pubblico.
Ma non erano proprio i bandi del comune che garantivano gli appalti alle cooperative coinvolte nella maxi inchiesta romana? Qualcuno pensa davvero che si tratti di strumenti amministrativi neutri, oggettivi, che permettono a tutti di competere allo stesso modo? E ancora, cosa significa valorizzare? Significa assegnare tutti gli spazi urbani di proprietà pubblica a chi è più bravo a farci i soldi sopra? A chi ha il conto in banca più grosso e può garantirsi i guadagni più alti? O significa invece proteggere e sostenere tutte quelle realtà che, dal basso, sperimentano nuove forme di welfare dentro la crisi, realizzano progetti di mutualismo e producono cultura in maniera indipendente? Queste realtà possono essere “messe a bando”, secondo le regole del mercato e della concorrenza, alla stessa stregua di chi produce profitti privati o pratica attività speculative? Spazi sociali che per anni hanno garantito, senza chiedere niente a nessuno, accesso alla cultura, percorsi di formazione e luoghi di socialità per i soggetti più deboli, nel cuore della gentrification come nei quartieri più periferici, sono in debito verso la città o è la città ad essere in debito verso di loro?
Per provare a rispondere a queste e ad altre domane, nelle prossime settimane DINAMOpress andrà a trovare alcune delle esperienze che compongono il fitto tessuto dell'autogestione a Roma. Racconteremo l'importanza che rivestono per i territori in cui vivono, le attività che svolgono e come, attraverso le opportunità che offrono a una larga fetta di popolazione colpita dalla crisi e abbandonata dalle istituzioni, possano configurarsi come prime pratiche di autogoverno.
Nella prima puntata spiegheremo attraverso quali strumenti giuridici le istituzioni cittadine – quelle attuali e le precedenti – hanno avviato l'offensiva contro gli spazi sociali. Metteremo in fila le diverse delibere e i vari provvedimenti che minacciano centinaia di realtà. Dalla secondo puntata, invece, vi racconteremo alcuni di questi pezzi di città: esperienze fuori mercato perché resistono alla logica del profitto, aprono spazi di cooperazione, preferiscono i legami solidali ai vantaggi economici e rifiutano le soluzioni individuali ai problemi di tutti.
Stay tuned

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